Capitolo 16

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- Casa dolce casa! - Decretò Moriarty chiudendosi la porta alle spalle mentre Powell, uno dei suoi complici più fidati, spingeva Sherlock e John attraverso il soggiorno.
- Tu vivi... qui? - commentò John. La cosa strana era quella: la casa era tutto meno che particolare. Piccola ma non eccessivamente, si accedeva dalla porta direttamente al soggiorno, che ospitava un divanetto di pelle nero da due o tre posti che fronteggiava una televisione a schermo piatto, non troppo grande, non troppo piccola. Tra i due si frapponeva un tavolino basso dalla forma ovale, sul quale stanziavano da chissà quanto bottiglie, briciole e pile di fogli pieni di calcoli e progetti incomprensibili. Il soggiorno si stringeva poi in un corridoio che correva sulla sinistra a un'altra stanza che doveva essere la cucina. Le pareti erano occupate per metà da una libreria che partiva rasoterra e correva su tutto il perimetro della stanza. La parte superiore della parete, fino al soffitto, era completamente spoglia, se non fosse per una foto incorniciata appoggiata sopra alla libreria. Le pareti, la libreria e il pavimento erano tutti dello stesso colore, probabilmente dello stesso materiale: legno di mogano liscio e lucido, senza venature, piuttosto scuro ma tendente al rossastro, che dava un clima di calore opprimente alla casa. Il corridoio terminava nel buio, finché Powell non accese la luce che lo illuminò vagamente.
- Attento a come ti muovi, Powell - Minacciò Moriarty - Ricordati che è casa mia, non prenderti troppo spazio - Lui annuì e riprese a scortare John e Sherlock verso la fine del corridoio. Lì l'abitazione si faceva più inquietante: il corridoio era stretto e claustrofobico e si trasformava in un soffocante vicolo cieco quando la porta frontale era chiusa, come in quel caso. Dopo una breve pausa Powell continuò verso quella porta superando quelle laterali, poi, dopo un cenno di assenso concesso da Moriarty, la aprì, fece entrare Sherlock e John e la chiuse a chiave dall'esterno. John tirò un sospiro.
- Se trovi un modo per uscire da questa situazione giuro che costruisco una statua in tuo onore, Sherlock - disse sedendosi sul letto singolo di Moriarty. Sherlock invece si stava guardando intorno. Cosa si fosse aspettato nella camera da letto di un serial killer non lo sapeva neanche lui, ma l'arredamento era anche lì pressoché ordinario, seppure all'antica e reso spaventoso dalla mancanza di luce. Il letto stretto perfettamente centrato sulla parete che continuava in mezzo alla stanza, la moquette blu scuro e in un angolo un armadio nello stesso stile della libreria del soggiorno. Le pareti erano nude ma presentavano i segni di immagini strappate con poca cura. La finestra era stretta e lunga, come se fosse stata tirata dall'estremità superiore da chissà quale forza estranea. La serranda un po' cadente che la oscurava era aiutata da una stretta ma pesante tenda a quadri verdi e blu scuro. Sembrava la camera da letto di un bambino infelice.

- Arrivo subito, Powell, tu intanto entra in auto - disse Moriarty tranquillamente ma con diffidenza nei confronti del suo interlocutore.

- Per favore, facci uscire da qui - disse Sherlock quasi toccando la porta con le labbra.

- Sherlock Holmes che mi chiede un favore! Questa me la segno - replicò Moriarty con il solito tono allegro e squillante. Parlò così forte che le sue parole vennero riproposte più volte dall'eco nel corridoio.

- Perchè ce l'hai con noi? Si può sapere cosa ti abbiamo fatto di tanto male? - continuò Sherlock sinceramente.

- Oh no no no - cinguettò l'assassino - il problema non siete voi tutti, il problema è tua figlia.... E anche voi che date sempre fastidio, ma il problema principale è lei, quella piccoletta mi fa venire i nervi ogni singola volta che la incontro. E non credo ci sia bisogno di ricordare "cosa mi abbia fatto di tanto male", dico bene? –

- Tre anni di carcere, quando avresti potuto uscire senza problemi già dalla prima notte? La colpa è tua, non sua –

- Sbagliato di nuovo! L'umiliazione, parliamoci chiaro, è stata essere disarmato da una quindicenne. Una volta finito in prigione mi sono goduto la vacanza, considerando che il danno ormai era fatto - spiegò l'assassino ridacchiando istericamente.

La figlia di Sherlock Holmes - Word GamesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora