Capitolo 9

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- Ma dobbiamo per forza andare sempre in auto? - chiese James.
- È un quarto d'ora a piedi, sinceramente non mi va. Preferisco cinque minuti in auto - tagliò corto John, ma poi si accorse che Sherlock non lo stava seguendo. Rimaneva fermo vicino a Mary e James, creando una situazione fisica a dir poco metaforica.
- Sono quindici minuti, John, quindici. Facciamo una passeggiata -

- Certe volte mi chiedo se lo faccia di proposito, giusto per non essere d'accordo con noi - bisbigliò James a Mary mentre si dirigevano a piedi a Kendal Street – Vuole discutere su tutto -
- Non è che voi due andiate proprio d'accordo, in effetti, ma il problema è che anche io comincio ad avere problemi a sopportarlo, e tra poco anche mio padre - ribatté Mary.
- Moriarty riesce a rovinarci la vita anche dal carcere - disse James con una risata triste - Ci hai fatto caso? -
Mary trasalì - Bè... sì - balbettò senza guardarlo.

Suonarono il campanello e in poco tempo la porta venne aperta. Ruth Baker e Thomas Watson fecero capolino dallo stipite con un grande sorriso stampato in viso.
- Eccoli! I miei nipoti preferiti! - esclamò Thomas. Mary avrebbe voluto fargli notare i diversi errori presenti nella sua frase: solo James era suo nipote, Mary non aveva nessun legame di sangue con lui; l'amore dei parenti è incondizionato e fare preferenze è moralmente sbagliato, sia nei confronti del preferito che degli altri; in più, John era figlio unico, perciò James era anche l'unico nipote. Ma non disse nulla, si limitò a sorridere mentre entrava nell'ampio soggiorno.
Era appunto da un anno che non metteva piede lì dentro, ma la casa era perfettamente come la ricordava. Il pavimento di marmo era coperto da pesanti tappeti sui toni verdi e marroni, il tavolo ovale occupava gran parte della sala, che era contornata da un comò sulla sinistra, un pianoforte sulla destra e una grande finestra davanti. Dal soffitto piuttosto alto pendeva un lampadario ingombrante che a Mary non era mai piaciuto. Dalla sala da pranzo si accedeva al salotto, occupato da qualche divanetto.
Nonostante l'arredamento maestoso e vittoriano della sala da pranzo, una delle altre stanze della casa era in stile molto moderno. La vecchia camera di John, che era poi diventata la stanza dove dormiva James quando rimaneva a cena dai nonni, alla quale nel 2000 era stato aggiunto un pouf ripiegabile che si trasformava in un letto, in modo che anche Mary potesse rimanere a dormire. Con il tempo le visite ai genitori di John erano diminuite, a dispetto della vicinanza di quella casa da Baker Street, tanto che ormai la cameretta era stata trasformata in una specie di studio, dove le finestre erano spesso chiuse, il pouf ripiegato in un angolo e il lettino nascosto da una sovraccoperta e coperto da libri o vestiti appena stirati.

Quando Mary entrò in casa fu tentata di raggiugere subito la cameretta, ma decise di aspettare per evitare di mostrare la sua nostalgia nei confronti di quel posto.
Attese quindi la fine del pranzo. Era chiaro che anche i genitori di John si erano accorti del cambiamento rispetto a tre anni prima. I sorrisi erano forzati, le risate rare e le domande nervose ricevevano risposte frettolose. A fine pasto, perciò, Mary fu contenta di alzarsi e rifugiarsi nella sua vecchia stanza.
Quando premette l'interruttore la lampadina si spense e si riaccese a intermittenza per un po', per poi fermarsi su un tono caldo e stanco. Rimase sulla porta per qualche secondo prima di entrare chiudendosela alle spalle. Si guardò intorno, cercando di fissare nella propria memoria ogni singolo dettaglio di quella stanza, quella stanza che ora le sembrava troppo stretta. Osservò i comodini quadrati che affiancavano il letto e il pouf. Entrambi ospitavano una pila di libri, da quelli da bambini, in basso, a quelli più da ragazzi, in cima. E sopra a ognuna delle due pile c'era un oggetto. Mary si sentì mancare per un istante. Sul suo comodino c'era una di quelle sfere di vetro che se girate si riempiono di granelli bianchi. La base era marrone e bianca, di montagne innevate, e nella palla c'era una miniatura di un camoscio. La prese lentamente e la rovesciò. Il liquido ormai si era fatto giallastro e alcune delle sostanze chimiche presenti in esso si erano addensate in strani filamenti che ora cadevano insieme alla neve. Non era nulla, era solo una decorazione, un souvenir di un viaggio di Ruth e Thomas sulle Alpi. Solo che quando era bambina Mary ne era stata rapita e nessuno riusciva a capire il perché. Lo adorava tanto che alla fine Ruth glielo aveva donato, sotto si poteva leggere la scritta in pennarello "A Mary". La stessa cosa era successa a James con l'oggetto che si trovava sul suo comodino: un elefante di legno, grande circa come la palla di vetro. Ormai l'elefante aveva una zampa più corta delle altre e un pezzo di proboscide in meno, ma era ancora lì, impolverato, sulla pila di libri, e, sotto una delle zampe, c'era scritto "A James".
Mary osservò i libri sul comodino. Su quello in cima c'era un cerchio senza polvere in corrispondenza della posizione della palla di vetro prima che Mary la spostasse. "Grande enciclopedia per ragazzi, Volume 9, L'UNIVERSO". La rappresentazione realistica del sole che prendeva tutta la copertina fece sentire Mary piccola. Fin troppo piccola, piccola per quello che aveva affrontato, per quello che stava affrontando e per quello che avrebbe affrontato. Guardando meglio si accorse che alcune delle pagine avevano l'angolo superiore piegato, come dei segnalibri. Pagina 57, il lato oscuro della Luna; pagina 88, Europa, una delle lune di Giove; pagina 180, i buchi neri; pagina 220, le altre galassie. Mary non ricordava di aver segnato quelle pagine, ma non era difficile capire da esse il suo carattere da bambina: ogni pagina piegata parlava di parti dell'universo sconosciute, misteriose. Questo era quello che voleva fare Mary, quello che da sempre aveva voluto fare. Scoprire i misteri, scoprire ciò che gli altri non erano stati in grado di scoprire. Aprì l'ultima pagina piegata, una foto di una nebulosa che prendeva entrambe le facciate. Andava dal celeste al nero ed era circondata da stelle come tanti puntini bianchi, come i corpuscoli che cadevano nella palla di vetro, come la neve che ghiacciava il laghetto della sua casa a Keswick. Mary venne sopraffatta dalle emozioni tutte insieme, dalla paura, dalla nostalgia del mondo. Come aveva fatto a sottovalutare la morte a tal punto? Non avrebbe più potuto scoprire i misteri, non ci sarebbe più stato un futuro per portare a galla le verità dell'universo. Sentì l'improvviso bisogno di sedersi. Provò ad aprire il pouf per trasformarlo in letto, ma le caddero tutti i cuscini e la coperta addosso ancor prima che riuscisse ad aprire le gambe metalliche.
- Serve una mano? - chiese James entrando discretamente in quel momento. Si avvicinò togliendole tutti i cuscini di dosso e insieme riprovarono ad aprirlo.
- Mio nonno diceva sempre che servivano almeno due persone per aprirlo, ricordi? È impossibile aprire il materasso e le gambe insieme - le rivolse un sorriso da sopra il cuscino mentre posavano a terra il pouf ormai aperto.
- Grazie - disse Mary piano.
- Figurati - James si guardò intorno - Wow... era da tempo che non entravo qui dentro. Quando sarà stata l'ultima volta che ci abbiamo dormito? Quattro anni fa? -
- Di più - lo corresse Mary osservando il calendario appeso alla parete - Guarda qui: 24 ottobre 2005 -
- Certo che ne è passato di tempo - commentò James rigirandosi con delicatezza tra le mani l'elefante di legno.
- ...Sì - fu la risposta incrinata di Mary. James si avvicinò alla finestra, aprendo le tende quel che bastava per guardare attraverso il vetro e far entrare un raggio di sole, poi d'un tratto respirò con forza e si voltò.
- Che cosa succede, Mary? - chiese - È da qualche giorno che sei... non so, strana -
- Cosa succede, James? - lo cinguettò lei - Sono due anni e otto mesi che sei... non so, strano - James roteò gli occhi:
- Sai che parlo di una cosa diversa. È da quando sei andata a parlare con Moriarty che sei cambiata. E ogni volta che qualcuno parla di giorni, credo... giorni che mancano a qualcosa, o simili, è come se ti spaventassi. Poi tutto questo interesse per questo caso e questa voglia così forte di... di andartene, volevi andare in Egitto, Mary, in Egitto! Non è proprio vicino. E prima, quando ho menzionato Moriarty, sei rimasta senza parole. Il desiderio di venire qui al più presto e ora la nostalgia di quando eravamo bambini... per favore, dimmi che cosa è successo l'altro giorno, dimmi che cosa ti ha detto Moriarty -
Nella stanza calò il silenzio.
- Nulla di particolare. Semplicemente speravo che fosse lui il mandante e invece mi ha fatto capire con certezza che non lo è. Mi ero sbagliata e ci sono rimasta male, tutto qui. In quanto alle altre cose che hai notato, sono solo tue impressioni -
- Ok... - cedette James dopo qualche secondo, lo sguardo rivolto verso la scrivania, dove stava maneggiando un oggetto che Mary non riuscì a vedere - ma qualunque cosa, non so... insomma qualunque problema, non ti preoccupare, dimmelo -
- Afferrato il concetto, grazie - Mary abbozzò un sorriso e James annuì lentamente prima di uscire dalla stanza. Pochi secondi dopo però rientrò nella stanza, le si avvicinò e le prese le mani - Vieni di là? È brutto senza di te -

Mary si accomodò sul divano e presto Ruth le sisedette accanto.
- Dove eri finita prima? -
- In camera -
- E mi hai lasciata qui con tutti questi? - parlò più piano indicando con gestodispregiativo Thomas, James, John e Sherlock. Mary ridacchiò: le piaceva cheRuth le parlava ancora in modo così infantile.
- È stato terribile... John deve capire che ormai il tempo è passato e cheil suo comportamento è diventato ingiustificabile -
- Se solo potessi farglielo capire... -
- Non sai quanto lo vorrei, mia cara Mary -
- Io e James siamo stanchi di provarci ormai. E anche mio padre sta cedendo -
- Sherlock ha un bel caratterino, ma prima o poi si arrende anche lui -commentò Ruth con il tono di una che la sa lunga.
- Conosco tuo padre da molto tempo, Mary, ed è sempre stato così. Combatte,combatte e combatte e ogni tanto ci riesce. Guarda per esempio come è riuscitoa superare la morte di tua madre e quella di tuo zio. Spesso mi chiedo comeriusciate voi Holmes ad andare avanti. Siete testardi come nessun altro,qualunque barriera vi costruiscano davanti voi la prendete a testate finché nonsi rompe - Mary rise.
- Il problema è che abbiamo dato così tante testate che ora è la nostra testa aessere rotta - concluse poi mordicchiandosi l'interno del labbro.
- Oh, non dire così - l'ammonì Ruth portandole una ciocca di capelli dietrol'orecchio.
- Cos'altro dovrei dire? - la voce di Mary si era alzata di qualche tono - Cheva tutto bene? Che la vita è bella? Che i miracoli scendono per noi dal cieloogni giorno? Proprio non so cosa inventarmi, ormai - Gli altri avevano smessodi parlare e la guardavano un po' preoccupati. Ruth allora si alzò e tirando Maryper la mano la portò nella camera matrimoniale e la fece sedere sul letto.
- Dopo un po' è difficile sopportare tutto. Prima mamma, una gran partedell'anima di papà con lei e i miei nonni materni che non mi hanno più volutovedere. Poi, neanche due anni dopo, entrambi i miei nonni paterni, nello stessogiorno. Tre anni dopo Mycroft e altri tre anni dopo James, e ok che James èancora qui, ma John no. È come se non ci fosse più, come se ci tenesse tuttilegati a un guinzaglio per non farci andare avanti. Già andare avanti èdifficile, ora è... è impossibile... -
- Ehi, Mary, fermati un secondo. Fai un bel respiro. Lo so che è difficile eche perfino tu ogni tanto traballi, ma purtroppo non possiamo farci niente.Vedrai che con il tempo si sistemerà tutto e che anche John lascerà dietro ilpassato. Prima o poi andrà tutto bene -
- E se per me non ci fosse un prima o poi? - si lasciò sfuggire Mary a bassavoce.
- Che cosa intendi? -
Mary emise quel suono che si fa quando si vorrebbe piangere ma si ride dellaridicolaggine della situazione:
- Lascia stare - disse spostando lo sguardo - Ti basti sapere che stocominciando a pensare che il motivo per cui mi piace fare il lavoro che lapolizia non riesce a fare è che voglio convincermi che le tragedie non capitanosolo nella mia famiglia - Ruth rimase in silenzio.
- Non sapevo dei tuoi nonni paterni, comunque, mi dispiace - disseinfine.
- Dove ti trovavi l'11 settembre del 2001? - chiese Mary in tutta risposta.
- Oh, credo che tutti se lo ricordino. Nel momento in cui si è schiantato ilprimo aereo stavo annaffiando le piante del balconcino. Poco dopo il vicino dicasa mi ha detto di accendere il telegiornale -
- Io ero in classe. E da quando sono uscita da scuola quel giorno ricordoquesti numeri: soltanto il 12% delle vittime aveva origini straniere, questosignifica che i morti non americani sono stati 376. E di quei 376, 67 eranoinglesi. E di quei 67, 2 erano i miei nonni. Ma i numeri non sono finiti. C'èanche il 628, ovvero i giorni passati dalla morte di mia madre, e 22, ossia igiorni che mancavano prima che i miei nonni andassero in pensione. Lavoravanoin uno dei piani che sono stati colpiti per primi della torre che è statacolpita per prima. In un'ora e 42 minuti sono crollate entrambe le torri e un giornoe 4 ore dopo sono stati trovati i corpi dei miei nonni -
- Mi dispiace, non so cosa dire -
- Lo so. Non c'è niente da dire - concluse Mary amaramente.
- Prima o poi andrà tutto bene - aggiunse con la solita puntadi sarcasmo.

La figlia di Sherlock Holmes - Word GamesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora