I. Wednesday

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AVVISO IMPORTANTE!!
Ad ogni capitolo vi suggerirò una canzone da ascoltare durante la lettura. In tal modo da farvi immergere in questa storia e trasmettervi le sensazioni e le emozioni che ho provato io stessa scrivendola.
Spero vi affezionerete ai personaggi, poiché non tutti sono totalmente frutto della mia immaginazione ahah.
Ora la smetto e vi lascio al racconto...
Buona lettura<3.

Canzone consigliata: From the Ritz to the Rubble, Arctic Monkeys.

*Driiiiiiiin*

*Driiiiiiiin*

...

..."Mhh"

..."OH MERDA"

Quale giorno migliore dopotutto per svegliarsi in ritardo, se non quello dove avrei condotto la mia prima intervista?

Mi alzai dal letto ancora in mutande. Feci per andare in bagno e naturalmente diedi con il piede uno di quei colpi al comodino che Dio solo sa quanto avrei voluto amputarmelo dal dolore. Dopo aver imprecato un po' contro quell' orrendo mobile rifilatomi da mia madre, raggiunsi finalmente la meta.
Guardai lo specchio: avevo due borse sotto gli occhi che avrei potuto usarle per la spesa, la bavetta come i bambini sotto il labbro inferiore, i capelli che non si capiva se fossero veramente capelli o una montagnetta informe di paglia bruciata e gli occhi cisposi.

Insomma... una discarica umana.

Mi lanciai l'acqua direttamente in faccia senza far troppo caso al bagno che pian piano stava diventando il set di Titanic. Una spruzzata di deodorante e corsi verso la mia camera aprendo violentemente l'armadio. Dirvi che non c'era niente è dir poco.

"Oh beh... bene. A lavoro come ci vado? In mutande?"

Nel soqquadro e nella disperazione generale mi ricordai che tutti i miei amatissimi indumenti erano fradici nella lavatrice, dato che per lo scarso tempo ne facevo più o meno una ogni due settimane e quando la facevo ci mettevo LETTERALMENTE tutti i vestiti. Non iniziate a farmi la paternale sulla mia vita da single, avevo i miei tempi ed i miei metodi... anche se pessimi.

Sbuffando voltai gli occhi verso il soffitto, in cerca di parole da usare appena arrivata in ufficio per non farmi licenziare.
Entrai nuovamente in bagno, aprii impetuosamente l'oblò della lavatrice, ed estrassi un vestito nero, leggermente scollato, che usavo spesso per andare a lavorare.
"MA DA QUANDO È COSÌ CORTO?!"  Esclamai, portandomi sconfortata e senza speranze, l'abito alla fronte.
"Sti cazzi... non sarò né la prima né l'ultima a girare di Mercoledì per Londra con un vestito bagnato e che ha avuto qualche intoppo in lavatrice...o forse sì".
Non mi lasciai scoraggiare da così poco, anche perché le mie preoccupazioni andavano ben oltre un vestito accorciato e fradicio.
Solite Nike, biscotto con cui mi stavo per strozzare, spazzolata fulminea di denti, cappotto per coprire lo scempio di vestiario che nascondevo sotto, quattro giri di chiave e giù per le scale.
Iniziai a correre in mezzo alla fitta nuvola di persone di Piccadilly Circus, la quale si muoveva su e giù verso chissà dove, urtandosi l'un l'altro. Mentre scendevo gli scalini della Subway londinese, con una certa fretta, pensavo al mio futuro alquanto prossimo: io con sette figli da sfamare senza una sterlina in tasca, un marito inesistente, una casa sudicia con i ratti che mi camminavano attorno e le tarme che ci mangiavano i muri. Poetico no? O forse dovrei dire decisamente realistico?
Mi lanciai dentro la metro prima che le porte si chiudessero, scaraventandomi in mezzo alla calca di persone già sudate e sufficientemente inacidite. Allungai il braccio, ancorandomi al palo giallo "dai mille morbi" e fu così che diedi inizio a quella giornata che si prospettava un vero e proprio fiasco.
Appena misi piede a Notting Hill mi rimisi a correre verso lo "Sharpener" il mio, ormai probabilmente , ex ufficio. Costruito con mattoni gialli, usurati dal tempo poiché lanificio molti anni prima. Era un buco? Sì. Con gente insopportabile? Ovviamente.
Mi gettai contro la porta e appena entrata, mi accorsi di avere lo sguardo di tutti, puntato addosso: chi aveva le fotocopie ancora svolazzanti in mano, chi sorseggiava un caffè facendo gossip e chi correva da una stanza all'altra.
Si palesò bruscamente il mio capo che mi prese per un polso e mi disse :" Si può sapere dove accidenti eri finita Cecille?! La band che devi intervistare è qui da più di mezz'ora e..." si interruppe guardandomi dal basso verso l'alto  "... che cosa diavolo hai addosso?"
" Lunga storia..." Lo bloccai, affannata.
" Va bene, va bene, non perdiamoci in chiacchiere. Dovrei già licenziarti ma voglio proprio vedere come te la cavi, Cecille Moreau".
Alzai gli occhi al cielo, ancora con il fiatone. "Prendi la cartella per appuntare le domande ed una matita, corri verso la sala 505. Lì troverai i ragazzi, sono gli..."
Mentre invano stava cercando di dirmi il nome del gruppo, io ero già partita facendo rimbombare i miei passi leggiadri in mezzo ai corridoi.
Prima di entrare sospirai, portandomi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio.
"Salve...troppo formale. Ehi ciao... no no no no. Buongiorno... sì vabbè chi sono il panettiere sotto casa? Forza Cecille ce la puoi fare, dopotutto è solo un'intervista no? Due domande, due risate et voilà... come bere un bicchier d'acqua...o almeno spero."
Dopo questo mio commovente discorso per auto convincermi che tutto sarebbe andato per il meglio, mi feci coraggio ed aprii quella porta.

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