III. La metro

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Canzone consigliata: The Hellcat Spangled Shalalala, Arctic Monkeys

Quel ciuffo, quegli occhi castani coperti dagli occhiali scuri che si abbassarono leggermente sul naso.

*Penso proprio di sapere di chi si tratta.*

Entrò, tenendo la chitarra davanti a sé, cercando di farsi spazio e scusandosi con le persone lì presenti, per aver interrotto il loro 'ritmo di vita'.
Cercavo di guardarlo senza farmi notare. I miei occhi facevano su e giù tra lo schermo del telefono ed il cantante. Quando però, ad un certo punto, si girò e notò il mio imbarazzante andirivieni di sguardi.

"Moreau!" Esclamò, togliendosi gli occhiali.

*Si ricorda come mi chiamo, notevole.*

Una vampata di caldo mi assalì.

Si avvicinò ciondolante, appoggiando il braccio contro un palo di fianco al mio sedile.
Mi guardava dall'alto con quel suo sorrisetto egocentrico e sicuro di sé.

"Guarda un po' chi si rivede!" Risposi, tentennando.

"Ti ho vista che mi stavi guardando, è inutile che cerchi di girarci attorno..."

*Direi perfetto.*

"Dai, stavo solo scherzando!" Esordì, ridendo.

"Ahhhh ah ah ah" Esclamai io, da un lato sollevata e dall'altro imbarazzata per non aver compreso la sua ironia.

Ci fu un attimo di silenzio a cui, però, decisi di mettere fine:" Qual buon vento ti porta qui, Turner? Non dovresti essere circondato da ragazzine che smaniano per te e da bodyguard muscolosi?"
"Anche io ho dei momenti per me, sai? Ho deciso di farmi un giro a Piccadilly, giusto per vedere un po' di sana vivacità londinese e magari farmi una birra in qualche pub. E tu? Cosa ci fai qui con questo vestito? Guarda che in giro ci sono parecchi malintenzionati."
Alzai gli occhi al cielo.
"Torno a casa per stendere la roba che è ancora nella lavatrice e per mettere a posto il caos che ho lasciato."
Mi guardò sorpreso.
"Che c'è?" Domandai.
"Poi dai da mangiare ai tuoi tre figli, accarezzi i tuoi gatti e aspetti che tuo marito torni a casa?
Quanti anni hai, Cecille? 50?"

*SI RICORDA ANCHE IL MIO NOME-*

Mi strinsi nelle spalle.

"Perché non vieni a berti qualcosa con me? Offro io pur di non farti passare un pomeriggio da cinquantenne disoccupata."

Esitai un attimo:" C-con me?"
Non mi soffermai neanche sull'aggettivo da lui attribuitomi, ero troppo impegnata nel gestire le mie emozioni davanti a quella richiesta.
Mi rigirai verso di lui:" Certo, cioè volevo dire va bene."
Si limitò ad annuire, rimettendosi gli occhiali.
Imbarazzata e lievemente scossa, lasciai ricadere la schiena sul sedile, aspettando solo di arrivare al più presto a Piccadilly Circus.
Giunti, scendemmo insieme, schiacciati dalle mille persone che scendevano come una massa informe.
Fortunatamente, dato qualche spintone qua e là, riuscimmo in parte, a "scappare" da quella selvaggia calca.
Le pareti sporche delle metro mi hanno sempre disgustato, ma lì per lì ci trovai un qualcosa di estremamente artistico e contorto. Solo il pensiero di quei muri che ogni giorno vedevano così tanta gente andare chissà dove, chissà per chi e chissà perché... mi affascinava.
Questi, gli inutili pensieri che mi passano per la testa quando sono fortemente agitata e quello, era decisamente uno di quei momenti.
Turner intanto procedeva con passo svelto schivando l'orda di persone che andava nella direzione opposta.
Un ragazzo, che con la sua chitarra ed un piccolo microfono si esibiva in 505 degli Arctic Monkeys, attrasse particolarmente la mia attenzione. Incantata da quelle soavi melodie mi fermai, quasi dimenticandomi, da quanto surreale fosse quella situazione, di essere con il compositore e con il cantante di quella canzone.

A riportarmi alla realtà fu proprio lui che si avvicinò, dicendomi con aria immodesta:"...comunque io la suono meglio."
Sorrisi, abbassando leggermente la testa e facendo finire qualche ciocca bruna sugli occhi.
Frugai nella tasca della giacca, in cerca di qualche spicciolo da lasciare al ragazzo, il quale mi guardò, ringraziandomi con un cenno del capo mentre continuava a cantare.
"Finito di rimorchiare in una lurida metro londinese?" Chiese, mettendomi una mano sulla spalla.
A quel contatto annuii e venimmo fuori da sotto terra, prendendo una boccata d'aria dopo essere stati in una sauna umana con un odore di urina insopportabile, anche se ormai mi ci ero abituata da tempo.
Mi fece segno di seguirlo e proprio mentre stavamo per incamminarci , un gruppo di ragazzi, si avvicinò a noi, chiedendogli una foto.
"Oddio, ma voi due state insieme?" Chiese uno.
Mi girai istintivamente verso Alex che fece la stessa cosa.
"Ehm no, no...è mia sorella." Rispose lui.
Quelli, soddisfatti e senza farsi troppe domande, lo ringraziarono e si allontanarono.
Io mi rivolsi verso di lui, divertita ma con sguardo interdetto.
"Tua sorella? Davvero? Ti dirò, mi aspettavo una balla un po' più grande, magari che fossi tua madre, dato che mi dai della cinquantenne senza una vita sociale."
"La scusa della sorella funziona sempre."
"Quante volte l'hai già usata?"
"Non troppe... ma dopotutto, avresti preferito essere la mia ragazza e vedere le nostre foto girare per tutto il mondo?"
Diventai subito paonazza.
"Oh... no, certo che no. Nel senso..."
"Ho capito quello che intendi dire, non ti incasinare Moreau." Mi interruppe, sorridendo.

Girammo per Piccadilly, alla ricerca di un piccolo pub dove appartarci per bere qualcosa. Non parlammo molto durante il tragitto, anche perché avevo una paura tremenda di farmi ancora strane uscite, perciò rimasi in silenzio. Turner invece snocciolava nomi di alcuni pub che conosceva e a voce alta tracciava il tragitto per arrivarcisi.

Giungemmo di fronte al Queen's Head, un posticino al Quindici di Denman Street. Carino, non troppo appariscente.
Aprì la porta e mi fece entrare.

"Joseph!" Esclamò Alex.
"Turner!"  Rispose un ragazzo dietro il bancone mentre spillava un boccale di birra che gli colava sulla mano. Ci venne incontro, lasciando la postazione, per poi dare una pacca sulla spalla dell'amico e guardarmi. A dire la verità ci stavano guardando TUTTI.

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