CHRISTOPHER HOPE
Brandon si era alzato presto quella mattina, dopotutto doveva accompagnare sua sorella all'aeroporto, era venuto in camera mia e mi aveva chiesto se volevo andare con lui ed io mi ero limitato a scuotere la testa, certo che non volevo andare con lui. Juliet, o meglio Claire stava partendo per andare a New York esattamente a sette ore di aereo da qui e a 2906 miglia in auto. Le avevo detto io di andarsene questo è vero, ma lei mi aveva creduto con una tale facilità, dopotutto forse era meglio per entrambi. Cominciai a guidare verso l'aeroporto senza nemmeno accorgermene, sapevo che lei era ancora lì e che probabilmente si aspettava di vedermi, ma non potevo dirle addio, non ci sarei riuscito neanche volendo perché all'ultimo le avrei chiesto di restare e lo avrebbe fatto, sarebbe rimasta a costo di rinunciare a quella grande opportunità e per cosa? Per me, per un semplice ragazzo che non fa che combinare guai da quando è nato, se fosse rimasta l'avrei solo rovinata, dopotutto ero stato io la causa dell'incidente di cui era rimasta vittima, avevo finito per farle più male io di quanto avrebbe potuto farle suo padre. Dentro di me non ero nemmeno arrabbiato per quello che mi aveva tenuto nascosto perché era comprensibile, ma il dubbio che non me lo avrebbe mai detto se non fosse stato per suo fratello continuava a tormentarmi e tormentarmi senza lasciarmi un briciolo di quello che in sei corti, ma intensi mesi avevamo avuto. Continuavo a girare intorno all'aeroporto senza sapere cosa fare e continuando a pensare alle sue labbra, ai suoi occhi così profondi e pieni di dolore, dopotutto erano stati loro a farmi innamorare di lei. Il dolore nel suo sguardo mi aveva attirato dal primo giorno in cui l'avevo vista e la sua bizzarra scelta di letture mi aveva lasciato scosso e ancora non la conoscevo. Pioveva e mentre parcheggiavo immaginai la sue testa poggiarsi sul finestrino freddo e inevitabilmente lo feci io per lei, immaginandola al mio fianco, in un atto di coraggio scesi dalla macchina e corsi all'interno del grande edificio controllando le partenze, salii le scale mobili correndo, ma mi bloccai dietro una colonna di marmo quando la vidi abbracciare Camille sorridendo, lei piangeva, ma Claire non faceva altro che asciugarle le lacrime stringendola a se con forze e affetto. Mi voltai posando la schiena contro la colonna e mi lasciai scivolare giù sbattendo il sedere per terra, girai la testa per guardarla ancora e lei si guardava intorno salutando suo fratello in cerca di me. Nathan la abbracciò e non potei fare altro che stringere i pugni per non saltargli addosso e allontanarlo da lei, era mia di nessun altro e io la stavo lasciando andare via da me perché ero stupido e non avevo ancora capito quanto fosse importante per me. Sentii le mie guance bagnarsi di acqua salata e mi affrettai ad asciugarle, io non piangevo mai da quando avevo quattro anni, da quando mio padre mi aveva detto che mamma non sarebbe più tornata, ma il vederla partire aveva scosso qualcosa dentro di me che nemmeno immaginavo ci fosse. Avevo sbagliato ad andare lì, avevo sbagliato e ora lei aveva appena oltrepassato il filo rosso e per un secondo, uno solo incrociò il mio sguardo e sorrise, poi si riscosse, probabilmente credeva di averlo immaginato, ma quando tornò a guardare nel punto in cui mi aveva visto io mi spostai lasciandole credere di aver immaginato tutto e lei proseguì verso l'aereo che l'avrebbe portata via da me e avrebbe confermato il vuoto che già si era impossessato di me.
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Non è logica è istinto
ЧиклитJuliet è una ragazza semplice e comune che frequenta la Berkeley University insieme a suo fratello. Si è impegnata molto a creare quella realtà frivola che le calza a pennello e che la fa sembrare come tutte le altre ragazze della sua età; purtroppo...