Neanche la doccia fredda riuscì a farmi smettere di pensare a quello che era appena successo. Passai davanti alla porta della mia stanza nella speranza di poter entrare, ma quando sentii Camille urlare tirai dritto verso il parcheggio e con l'asciugamano in mano cercai di salire in macchina non pensando al fatto che non avevo le chiavi, così dovetti entrare in camera e cercando di sembrare invisibile presi le chiavi e mi richiusi la porta alle spalle. Camille sembrava estremamente arrabbiata e Bran era seduto sul mio letto cercando di farsi ascoltare, non si erano nemmeno accorti di quando ero entrata.
Cominciai a guidare verso il bar più vicino, era un sabato mattina e l'unico posto che valeva la pena di frequentare il sabato mattina era la caffetteria sulla settantesima a pochi chilometri dal campus.
Entrai e presi posto ad un tavolo ad anglo isolato e vicino ad una finestra ampia e luminosa, la pioggia della sera prima si era dissolta lasciando spazio ad un sole splendente e caldo, mi persi a guardare fuori dalla grande finestra e non sentii il cameriere che mi chiedeva cosa volessi ordinare.
<Un cappuccino con un croissant alla nocciola, per favore> chiesi nel tono più gentile possibile. Il ragazzo era di bassa statura e aveva dei capelli verdi luminosi ed estremamente vistosi. Mi sorrise scrivendo.
<Ma lei non è quella del cappuccino e il croissant alla marmellata di albicocca?> domandò lasciandomi sorpresa. Frequentavo quel bar quasi tutti i sabati, ma di solito ero con Nathan o con Camille, poi per qualche motivo, da quando era cominciato il nuovo anno scolastico non avevo più avuto tempo o voglia, eppure c'era ancora qualcuno che si ricordava ancora la mia ordinazione.
<Ho voglia di cambiare stamattina, grazie> gli sorrisi luminosa.
Non conoscevo Christopher, mi resi conto che non lo conoscevo affatto. Non sapevo niente di lui: da dove veniva, chi erano i suoi genitori, qual'era il suo colore preferito, perché aveva scelto giurisprudenza. Non sapevo niente di lui eppure mi sembrava di conoscerlo da sempre e la cosa mi turbava, non capivo come una cosa del genere potesse essere possibile. Lasciai dieci dollari sotto il piattino del croissant in quanto fossero gli unici soldi che mi erano rimasti nella tasca dei pantaloni. Io e Brandon potevamo ancora contare sul conto fiduciario in quanto avendo già compiuto diciotto anni i nostri genitori non erano più stati in grado di modificare i termini del testamento riguardante appunto il conto fiduciario, ma Brandon faceva un qualche lavoro con il quale guadagnava abbastanza da poter pagare l'affitto e il cibo senza prelevare un centesimo, che lavoro facesse non me lo aveva mai svelato. Uscii dal bar e cominciai ad avvicinarmi alla macchina cercando le chiavi nelle tasche dei jeans, ma non c'erano.
<Signorina, ha dimenticato le chiavi sul...> mi voltai di scatto. Christopher era in piedi davanti a me con un grembiule marrone legato in vita e un cappellino con la visiera in testa.
<Cosa ci fai qui?> chiese con voce roca. Mi venne da ridere e quasi non riuscii a trattenermi, così gli sfilai le chiavi dalla mano e corsi verso la macchina sfrecciando via, quando guardai negli specchietti lo vidi in mezzo al parcheggio con la mano con la quale mi porgeva le chiavi ancora protesa in avanti, a quel punto mi abbandonai ad una risata fragorosa.
L'entrata per il parcheggio del campus era alla mia destra, ma il mio piede premette sull'acceleratore e tirò dritto, quel giorno volevo sgarrare. Cominciai a pensare al fatto che Christopher lavorava, mio fratello lavorava ed era ora che anche io mi trovassi un lavoro, mi fermai in ogni bar o tabaccheria che incontrai, ma tutti mi dissero la stessa cosa: mi dispiace non abbiamo bisogno di personale. L'ultima spiaggia fu il night club che mi guardava dall'altra parte della strada, lasciai la macchina nel parcheggio vuoto e tirai la porta verso di me per aprirla non accorgendomi che di fianco alla maniglia c'era attaccato un adesivo con su scritto "spingere".
Il locale era enorme, tutti gli sgabelli erano sopra i tavoli rotondi ammucchiati in un angolo, era la prima volta che entravo in un night club e devo ammettere che aveva un certo fascino.
<Ehi ragazzina, il locale è chiuso> disse una voce roca e cattiva alle mie spalle. Mi voltai intimorita e vidi un grande e grosso petto avvolto da una camicia nera aderente, alzai lo sguardo di circa trenta centimetri e due occhi caldi e chiusi in due fessure mi stavano squadrando, aveva un'aria cupa, quasi malinconica, faceva davvero paura.
<M-mi scusi, i-io non volevo disturbarla> risposi spostando lo sguardo. Quello del ragazzo si addolcì e fece un sorriso sghembo quando mi guardò le scarpe, avevo delle ballerine gialle con un fiocchetto turchese sopra, erano le mie preferite, non capivo cosa ci fosse di divertente nel loro design.
<Chi cerchi?> mi domandò quella sua voce dura.
<Il proprietario> dissi stavolta in tono più sicuro, non potevo voler lavorare in un night club se non riuscivo almeno a sembrare una forte. Sorrise ancora, stavolta guardandomi in faccia, aveva gli occhi più scuri che avessi mai visto, ma brillavano come mai avevo visto brillare qualcosa.
<Ce lo hai davanti> rispose fiero. Aggrottai le sopracciglia e mi sentii arrossire. Come poteva un ragazzo giovane come lui essere il proprietario di un posto come quello?
<Beh, io starei cercando lavoro...> cominciai. Restò colpito e in un gesto fluido prese due sgabelli da sopra il tavolo più vicino e mi fece sedere, per poi fare anche lui lo stesso, anche da seduto era incredibilmente alto.
<Ballerina, cameriera o...>
<Non sono una spogliarellista!> esclamai di colpo senza dargli il tempo di finire la frase. Rise buttando la testa all'indietro, mi sembrava davvero che si prendesse gioco di me. Nel ricomporsi gli cade una ciocca dei capelli lisci, setosi e scuri quanto gli toccò il viso e se la ravvivò con la mano dietro l'orecchio.
<... barista, stavo per dire barista, lo vedo che non sei una spogliarellista, sembri più una maestra d'asilo, e comunque non tutti i night club hanno le spogliarelliste> disse in tono divertito. Lo guardai torva.
<Davvero?> chiesi arrossendo di nuovo, non ero a mio agio, ma doveva esserci un lavoro anche per me, non potevo essere tanto sfigata.
<Davvero. Allora hai dell'esperienza?> mi domandò sempre con lo stesso sorriso stampato sulle labbra. Scossi la testa e lui si fece improvvisamente serio.
<Frequento la BCU e prima di oggi non avevo bisogno di un lavoro, ma qualche solo in più non fa mai male> sorrisi, ma vidi che non era affatto convinto così continuai <sono una persona molto affidabile, ho il senso dell'equilibrio quindi sarei una perfetta cameriera, non so ballare quindi non credo che riuscirei a fare da ballerina in un gruppo sicuramente di un certo livello e per quanto riguarda il bar posso sempre provare> tentai, aveva ancora le sopracciglia aggrottate, ma non sapevo cos'altro dire.
<Sei una ragazzina perché dovresti voler lavorare qui?> chiese.
<Mi servono soldi> risposi.
<Senti...> non sarei riuscita a sopportare un altro no, così mi alzai dallo sgabello e feci per uscire alzando la mano in segno di saluto, ma lui me la afferrò e mi fermò. La sua mano era gigantesca ed incredibilmente bollente.
<Cominci stasera, vieni alle sette> disse tornando al suo tono serio e deciso. Ce l'avevo fatta, o mio dio ce l'avevo fatta, avevo un lavoro, certo era un night club, ma era sempre un lavoro.
<Grazie mille> gli saltai al collo e lo abbracciai, non so neanche perché lo feci, ma ero davvero felice. Raccolsi le chiavi della macchina che mi erano cadute a terra e procedetti verso la porta.
<Ehi principessina!> esclamò, mi fermai di colpo, non è che mi voleva già licenziare? Mi voltai e lui mi sorrise.
<Ci sono ancora tre cose che devo raccomandarti> sospirò. Mi avvicinai a lui di nuovo aspettando che parlasse quando era troppo impegnato a ridere di me.
<Primo: metti qualcosa di appropriato, jeans corti e canotta o maglietta a maniche corte, ma scollata, non è Starbucks qui. Seconda cosa: vedi di non andare via prima che i clienti abbiano smesso di ordinare> alzai gli occhi al cielo intuendo che si riferiva alle due volte in cui lo avevo interrotto.
<Ultima?> chiesi. Sorrise ancora di più.
<Io sono Hale e mi servirebbe sapere il tuo nome prima di assumerti> sorrise ancora. Possibile che all'inizio sembrasse l'essere più cupo del mondo e adesso non faceva altro che sorridermi?
<Juliet, Juliet Dempsey> risposi. Ci stringemmo la mano e uscii dal locale felice come una pasqua. Avevo un lavoro anche io ed era sicuramente più interessante di quello di Chris.Camille non l'aveva presa molto bene e mentre si preparava per l'appuntamento che era riuscita a farsi proporre da mio fratello mi elencava i motivi per i quali non potevo lavorare in un night club.
<Cami, è solo un lavoro, andiamo> la pregai mentre si provava il sesto vestito. Mio fratello la portava in un ristorante chic, il punto era che Brandon considerava chic anche il Mc Donald.
<Come mi sta questo> chiese guardandosi allo specchio dell'armadio. Era un vestito di pizzo azzurro stretto sul petto e che in vita diventava più morbido. Le maniche lunghe le fasciavano le braccia in modo divino. Era bellissima. Annuii con un sorriso a trentadue denti e lei si infilò le Dottor Martens. Rimasi un attimo a fissarla.
<Mi prendi in giro?> le chiesi. Mi guardò seria e storse il naso.
<Perché? Cosa c'è che non va, non ti piace più il vestito?> domandò perplessa.
<Scherzi? È bellissimo, ma devi mettere i tacchi> risposi ovvia.
<Ma sono scomodi> constatò.
<Ne sono sicura, ma è un appuntamento galante!> esclamai inorridita, alzandomi e spulciando nel suo armadio cercando le scarpe nere con il tacco alto.
<Brandon mi ha vista in pigiama, mentre vomitavo e anche con il dopo-sbornia> rise. Le strappai le Dottor Martens dai piedi, le tolsi i calzini e le infilai delle Rocco Barocco scintillanti, erano le mie preferite.
<Appunto, è ora che ti veda nella tua luce migliore> la aiutai ad alzarsi dal letto e le feci fare una giravolta, brillava come una stella. Si guardò allo specchio e si portò le mani alla bocca mentre le si bagnavano gli occhi castani.
<Ora pensiamo alla tua di serata> disse con tono duro. Alzai gli occhi al cielo sedendomi sul suo letto mentre lei apriva il mio armadio.
<Lo so, devo stare attenta, non devo dare confidenza a nessuno e...> uno strappò mi zittì. Aveva i miei jeans preferiti in mano o almeno quello che rimaneva dei miei jeans visto che ora sembravano mutande.
<Ma cosa cazzo fai?> esclamai inginocchiandomi sulla moquette accanto al resto del pantalone prima che potesse strappare anche l'altro.
<Vai a lavorare in un night club, non in un convento, ti servono cose appropriate> sospirò dandomi una pacca sulla spalla. La guardai furiosa.
<E proprio i miei jeans preferiti dovevi strappare?> le chiesi.
<Sono tutti i tuoi preferiti> rise, ma non era affatto divertente.
<Appunto, non dovevi strappare proprio niente, scema. Ma tanto me li ricompri> le intimai.
<Sono del secolo scorso dove vuoi che li ritrovi?> ribadì scocciata. Stronza maledetta amavo quei pantaloni. Mi alzai e chiusi l'armadio prima che potesse afferrare le mie magliette. Alzò gli occhi al cielo e si spostò.
<D'accordo, di magliette scollate puoi prendere le mie, su di te faranno molto effetto sconcio visto che io sono piatta> disse lanciandomi una canotta con lo scollo a v piuttosto pronunciato.
<Mi raccomando> le ricordai non appena bussarono alla porta passandole il cappotto nero corto.
<Non dico niente a Bran> disse lei imitando il mio tono di voce in modo buffo.
<Buona serata> sospirai aprendo la porta e strabuzzando gli occhi alla vista di mio fratello avvolto da uno smoking, allora non l'avrebbe portata al Mc Donald, qualcosa mi entrò nell'occhio e cominciai a lacrimare. Erano bellissimi, da soli, ma insieme erano spettacolari.
<Fratellone, trattamela bene...> cominciai <... ah e sei bellissimo> sorrisi.
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Non è logica è istinto
ChickLitJuliet è una ragazza semplice e comune che frequenta la Berkeley University insieme a suo fratello. Si è impegnata molto a creare quella realtà frivola che le calza a pennello e che la fa sembrare come tutte le altre ragazze della sua età; purtroppo...