Capitolo 15

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Una strana sensazione mi invase lo stomaco quando all'aeroporto vidi Camille con un foglio bianco in mano con su scritto il mio cognome. La abbracciai e lei mi confidò che non vedeva l'ora di usare quel foglio per quell'occasione come tutti facevano nei film. Lei e Carl cominciarono a chiacchierare di New York durante tutto il tragitto in taxi ed io rimasi affascinata ad ascoltarli parlare di una città che entrambi conoscevano molto meglio di me. La mia migliore amica aveva prenotato una stanza nell'hotel più vicino al campus e dopo che avevamo lasciato lì Carl con la promessa che la mattina dopo saremmo andati a fare colazione insieme ci facemmo accompagnare dal tassista al campus. Era tutto così familiare e quando entrai nella mia camera quasi mi mancò il color caramello delle pareti nella stanza d'infanzia di Christopher Hope.
<Allora, Juliet, cos'hai in mente> mi domandò con insistenza Camille. Poggiai lo zaino sulla scrivania e cominciai ad estrarre i vestiti per riporli nell'armadio.
<Carl ha perso il lavoro e non può più permettersi di pagare le bollette> sospirai. Lei mi guardò incitandomi a continuare.
<Pensavo di trovargli un lavoro ben retribuito e un appartamento qui> conclusi. Camille si mise una mano sulla fronte e cominciò a scuotere la testa, poi mi guardò come se quello che avevo detto fosse l'ammissione di un crimine.
<Non pensi di doverne parlare con Chris prima?> ribadì seria.
<Forse, ma non ho intenzione di farlo> risposi altrettanto seria.
<Ti stai mettendo nei guai Juliet> disse la mia amica. Probabilmente aveva ragione, ma non sarebbe bastato a fermarmi, l'unica cosa a cui non riuscivo a smettere di pensare erano i guai in mio fratello si era cacciato con la brillante idea di spacciare droga. Mi precipitai nel bagno del campus per fare una doccia e poi mi infilai il pigiama buttandomi sotto le coperte e sprofondando in un sonno tormentato da immagini in bianco e nero di un bambino che aveva perso la madre troppo presto.
Dopo la colazione con Carl avrei dovuto avere la lezione di economia, ma saltai tutta la giornata all'università immergendomi in siti internet dove avrei potuto trovare posti di lavoro adatti ad un cinquantenne amante del golf. Apparve l'annuncio di un country club che cercava personale per qualcuno che gestisse il loro negozio di mazze da golf e golf Cart, mi sembrò perfetto, così trascrissi l'indirizzo su un post-it e chiamai un taxi che mi accompagnasse al country club.
Il posto era incredibilmente verde e decine di signori più o meno dell'età di Carl si aggiravano nel campo accompagnati da giovani ragazzi in divisa da camerieri, ma che trasportavano grosse borse ricolme di mazze da golf. Entrai e chiesi alla receptionist dove sarei dovuta andare per chiedere informazione per quel lavoro di cui parlava l'annuncio. La ragazza dai capelli rossi tagliati in un caschetto disordinato mi accompagnò all'interno di quella che sembrava una dependance dove un uomo di mezza età alto come me era impegnato a scrivere su fogli sparsi cercando di capire cosa stesse facendo, la sua espressione era talmente confusa che mi venne da ridere.
<Signor Collins, questa ragazza vorrebbe informazioni sul posto di lavoro come amministratore del negozio per le mazze da golf e golf Cart> disse attirando la completa attenzione del signor Collins che cominciò a studiarmi mettendomi a disagio. Probabilmente pensava che fossi io a cercare quel lavoro. Uscì da dietro la scrivania e venne verso di me con passo lento e silenzioso, mi porse la mano e gliela strinsi.
<Salve signor Collins, io sono Juliet Dempsey e volevo chiederle informazioni sul lavoro per...> cosa avrei dovuto dire? Un amico? Il padre del coinquilino di mio fratello? Troppo complicato <...mio padre> conclusi.
<Ma certo signorina, allora mi parli di suo padre, ha delle referenze e come mai non è venuto lui direttamente?> cominciò a chiedere. Mi fece accomodare in un piccolo salottino poco più in là della scrivania su un divanetto color cuoio in pelle scamosciata, era come essere seduti su una nuvola, non che sapessi come sarebbe stato, ma sicuramente c'ero andata vicino.
<Beh si chiama Carl Williams, è sempre stato un amante del golf e se ne intende parecchio, così quando ho visto l'annuncio mi sono precipitata, ecco perché lui non è qui volevo chiedere informazioni prima di parlargliene> lo informai, il signor Collins sorrise e annuì come se gli capitasse tutti i giorni.
<Beh, vede devo prima conoscerlo e parlargli del compenso e tutto il resto, quindi posso lasciarle un appuntamento per quando suo padre sarà libero> mormorò alzandosi dal divanetto e procedendo verso la scrivania, lo seguii. Scrisse su un foglietto un'ora e poi mi chiese quale giorno per noi andasse bene e gli risposi che per noi sarebbe stato perfetto anche quello stesso giorno così mi diede un appuntamento per quel pomeriggio.
<Grazie mille> esclamai uscendo dallo studio.
Tornata al campus la prima cosa a cui pensai fu quella di dover comprare una macchina, altrimenti avrei speso tutti i soldi sulle corse in taxi. Cercai annunci di macchine usate su internet, ma non c'era niente che mi potessi permettere visto che quasi tutte le auto erano quasi da rottamare e costavano comunque una fortuna. Mi buttai allora nella ricerca di appartamenti per Carl, appartamenti che potessero avvicinarsi sempre di più all'indirizzo del country club e ne trovai un paio in ottime condizioni, talmente vicine al club che sarebbe potuto raggiungerlo a piedi senza il bisogno di un'auto. Chiamai i proprietari dei quattro appartamenti che avevo adocchiato per i prossimi due giorni e poi cominciai a cercare dei modi carini per dire a Carl che gli avevo trovato un lavoro e dei papabili appartamenti. Non mi ero neanche fermata a pensare che magari lui non voleva vivere a San Francisco, probabilmente mi ero intromessa troppo e non era da me, io di solito mi facevo gli affari miei e non mi intromettevo nella vita altrui con così tanta insistenza. Cosa mi stava succedendo? Il cellulare cominciò a trillare e la fotografia di Brandon prese a lampeggiare sullo schermo, presi in mano il cellulare e cominciai a scrutarlo come se non capissi cosa fosse quella scatola che suonava quando invece cercavo solo un pretesto per non rispondere.
<Pronto> dissi secca.
<Ciao sorellina allora com'è la vita a New York, è da un po' che non ti fai sentire e che Camille non mi da notizie di te> sorrisi, certo che Camille non lo informava di me, come avrebbe potuto se non si parlavano da sei giorni?
<Immagino> risposi.
<Che significa immagino?> chiese guardingo, "oh sì Brandon so tutto, tutto quanto".
<Ma niente, scusa ora devo tornare a lavoro, ci sentiamo dopo okay?> mentii, ero brava ormai ci avevo preso gusto.
<D'accordo, ciao mia bella lavoratrice incallita> chiusi la telefonata e tornai a fissare lo schermo del mio computer cercando di capire cosa stessi facendo. Dovevo parlare con Carl, dovevo parlare con Brandon e diamine dovevo parlare con Christopher che se ancora non mi odiava ci sarebbe arrivato presto, più presto di quanto potessi immaginare. Chiamai l'ennesimo taxi consapevole che probabilmente i tassisti si nascondevano quando il mio numero appariva sul telefono dell'agenzia. Arrivata all'hotel di Carl lo chiamai per farlo scendere e poi farlo salire sul taxi che ci avrebbe accompagnato al country club, erano le 3:20 p.m. e il nostro appuntamento era previsto per le 4:00 p.m. quindi se avesse voluto avrei potuto disdire in tempo.
<Juliet, cosa ci fai qui? Dove andiamo?> chiese sorridente, probabilmente si aspettava che lo portassi da Christopher, non appena gli avessi rivelato la destinazione mi avrebbe portata in un manicomio dicendo agli psichiatri che ero una pazza psicopatica.
<Senti, so che ti portato qui principalmente contro la tua volontà, ma prima di andare a trovare Christopher ti devo portare ad un colloquio di lavoro> sussurrai con aria colpevole e chiusi gli occhi attendendo una reazione poco positiva, ma la sua risata mi colse alla sprovvista e quando entrò nel taxi incitandomi a prendere posto accanto a lui mi preoccupai della sua sanità mentale.
<Lo immaginavo, quali appartamenti dobbiamo visitare dopo il colloquio?> chiese in tono divertito, ma sapevo che non credeva scherzassi, eppure non mi voleva portare ad un manicomio.
<Non sei arrabbiato?> gli chiesi.
<Assolutamente no, volevo trasferirmi a San Francisco da anni, ma non ne avevo mai avuto il coraggio, poi sei arrivata tu e hai realizzato il mio sogno senza nemmeno sapere che era il mio sogno. Ora ho capito perché tu e mio figlio siete amici> mormorò con un sorriso felice sul volto. "Amici" che modo strano per definire me e Chris, certo lui non poteva sapere perché fosse strano, ma lo era, decisamente.

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