Digitai un veloce messaggio alla mia migliore amica dove l'avvertivo che ero arrivata sana e salva mentre Carl parcheggiava la macchina accanto al marciapiede ai piedi di un appartamento in perfetto stile newyorkese. Aprì la porta e mi fece passare poggiando lo zaino sul pianerottolo. La casa era piccola, ma accogliente, c'era una piccola cucina subito affianco all'entrata e davanti a me due divani di un rosso antico e confortevole.
<Vieni, ti mostro la tua stanza, era di mio figlio, quindi è un po' da maschietto> rise facendomi strada in mezzo al piccolo salottino. Aprì la porta e accese la luce, le pareti erano dipinte di un color caramello molto rilassante, sulla scrivania c'era una lampada da studio e accanto era poggiata una piccola sedia girevole, davanti alla scrivania c'era un letto da una piazza con le lenzuola azzurre e verdi e sopra il letto erano state montate delle mensole anch'esse color beige, sopra di esse c'erano una sfilza di soldatini tutti in ordine di grandezza.
<Avrei dovuto liberare le mensole, ma nessuno prima aveva mai preso in considerazione di affittare la mia stanza e quindi non ho mai messo negli scatoloni le cose di mio figlio> sorrise guardando quegli oggetti come se fossero l'unica cosa che gli era rimasta dall'infanzia del figlio.
<Sai Carl, penso che non dovrebbe affittare questa camera e tenerla così com'è, è evidente che ci tiene e non è giusto che qualcuno la rovini o la trasformi> sospirai poggiando lo zaino per terra. Carl mi posò una mano sulla spalla e mi guardò con quello sguardo verde e luccicante.
<Beh, ci penserò, ma nel frattempo voglio che tu resti. Io non sono quasi mai in casa, guido la metropolitana per tutto il giorno e la sera lavoro in una tavola calda, quindi ti ho lasciato un mazzo delle chiavi di casa sulla scrivania e il frigo è sempre pieno, ma immagino che una fanciulla giovane come te preferisca mangiare fuori, comunque la cucina è come quella di chiunque altro. Io ora devo andare, il bagno è l'ultima porta a sinistra e ti ho lasciato degli asciugamani puliti sul letto, se preferisci gli accappatoi, ne trovi uno rosa nell'armadio laggiù, spero che ti troverai bene> sospirò mettendosi un capellino con il logo della metropolitana.
<Grazie mille e mi trovo già bene, grazie davvero Carl> dissi.
<Non ringraziarmi e fai come se fossi a casa tua, sono felice di ospitare una ragazza gentile come te> sorrise felice. Uscì di casa in fretta e furia ed io presi gli asciugamani e scappai in bagno cercando di essere il più veloce possibile per non essere in ritardo il primo giorno dello stage.Attraversai la strada con il cuore in gola e le mani sudate, lo studio era pieno di ragazzi della mia età seduti a delle scrivanie intenti a lavorare, a scrivere al computer, pensai di essere arrivata in ritardo, ma una ragazza dai capelli rossi e voluminosi, poco più alta di me mi fece accomodare nella sala d'attesa in un immenso atrio che offriva un panorama di New York pazzesco. La grande porta metallica si aprì e sulla soglia apparve un uomo alto con un accenno di barba bionda e degli occhi color cioccolato incredibilmente ipnotici.
<Miss Dempsey?> chiese in tono duro.
<Sono io> mi alzai e lo raggiunsi, "certo che sei tu, eri l'unica seduta lì" puntualizzò la mia vocina interiore. Zitta!
<Prego si accomodi> sospirò sedendosi all'altro capo della scrivania con aria elegante ed estremamente annoiata. Mi sedetti sulla morbida sedia di pelle nera, lo studio era più grande della casa di Carl, probabilmente era il triplo di casa sua e di norma gli studi così grandi sono importanti, eppure non ne avevo sentito parlare in particolar modo, a San Francisco.
<Il suo curriculum ci è arrivato all'ultimo momento> mormorò guardandomi per la prima volta negli occhi, aveva uno sguardo così duro che dovetti abbassare lo sguardo incapace di sostenerlo, era incredibilmente intimidatorio.
<Sì, mi scusi, ma la mia mail ultimamente ha riscosso dei problemi e probabilmente si è spedito in ritardo> mentii, non era vero lo avevo mandato all'ultimo momento perché è stato all'ultimo momento che mi sono spinta oltre San Francisco.
<No, non è vero. Mi scusi, ma la realtà è che mi sono spinta oltre la città in cui vivo solo quando ho capito che non volevo limitarmi> ammisi. Se volevo essere un avvocato dovevo imparare a mentire, il professor Stewart lo diceva sempre, ma non penso si riferisse anche al colloquio. Lo vidi incespicare con le labbra mentre abbozzava un sorriso divertito e soddisfatto.
<Frequenta la BCU> disse tornando freddo.
<Sì> risposi in tono altrettanto duro.
<È un'ottima università, da qui posso leggere che ha ottenuto una borsa di studio molto prestigiosa, Miss Dempsey> continuò. Si allentò un po' la cravatta e tornò alle domande.
<Perché ha scelto di fare il semplice avvocato di ufficio e non uno privato?> sorrisi a quella domanda, nessuno me lo aveva mai chiesto prima.
<Credo che sia giusto difendere anche coloro che non possono permettersi un avvocato privato> annunciai con tono fermo e professionale. Sorrise anche lui, sembrava quasi... stupito?
<Ma lei ha le capacità di un avvocato penale professionista ed è ancora all'università, ha detto che non vuole limitarsi prima. Lo sta facendo second il mio modesto parere> dichiara fissandomi con sguardo imperscrutabile. Sostenni il suo sguardo stavolta.
<Non mi sto limitando su questo fronte, voglio dare le stesse possibilità dei ricchi anche coloro che sono meno ricchi, è piuttosto semplice Mr...> lessi Turner nella targhetta d'oro sulla scrivania. <...Turner> terminai. Il signor Turner si accigliò e si allentò ancora la cravatta, aveva caldo forse?
<Quando può cominciare Miss Dempsey?> chiese con una strana smorfia sul viso. Allora non era andata poi così male.
<Da domani sono libera> dissi, il professor Stewart diceva sempre che un bravo avvocato non si concede né subito né tantomeno facilmente.
<Bene, alle otto la voglio nel mio ufficio> disse congedandomi. Mi alzai dalla sedia soffice, ma mi fermò con un gesto della mano.
<Lo sa che due stagisti su cento saranno assunti come assistenti vero?> domanda lasciandomi di stucco. Fingo indifferenza e superiorità, ma lui sorride lo stesso.
<Certo> affermo uscendo dalla grande porta di metallo con la schiena dritta, avevo provato quella scena con Camille così tante volte che non pensavo mi sarebbe venuta così bene. Uscii dall'ascensore saltellando come un lama e cercando di contenere la felicità del mio successo, non vedevo l'ora di raccontarlo a Camille e a Brandon e anche a Carl, anche se lo conoscevo da poco volevo festeggiare e in città lui era l'unico che conoscevo. Entrai nell'enoteca più alla moda che vidi sulla strada di ritorno a casa e comprai lo champagne più costoso che trovai, non appena arrivai a casa lo misi in frigo e aspettai che arrivasse l'ora di chiamare Camille.
Erano le otto e mezza, quindi a San Francisco erano le cinque e mezza e lei aveva appena finito di fare gli esercizi per la pancia piatta, potevo finalmente chiamare. Rispose al terzo squillo.
<Sono così fiera di te!> squittisce e subito dopo tossisce capendo che me ne sono accorta.
<Ma, in realtà...> abbozzo un sorriso, ma tanto lei non mi può vedere.
<Bugiarda, stai sorridendo, ti conosco bastarda! Cominci domani quindi eh, a che ora? Voglio sapere ogni dettaglio> annuncia strillando. Merda è telepatica quella ragazza.
<Alle otto!> esclamo in preda all'euforia. Comincio a raccontarle del mio colloquio orgogliosa e la sento battere le mani e sospirare ogni volta che prendo una pausa per respirare.
<Se il tuo capo è bello me lo presenti?> mi chiede con tono disperato, tanto so che non dice sul serio.
<No, ci lavorerò solo per una settimana e poi non ho controllato se ha la fede, ma probabilmente ce l'ha> la informo e lei sospira di nuovo, sorrido perché so che se anche volessi presentarglielo lei all'ultimo si tirerebbe indietro dicendo che ama mio fratello suo malgrado.
<Guasta feste> rispose.
<Oh ma smettila, parlami di te e Bran piuttosto> la esorto e la sento rabbuiarsi dall'altro capo del telefono.
<Devo fare la doccia tesoro, ci sentiamo domani alle tue otto del mattino> afferma fingendo di sorridere. Alzo gli occhi al cielo perché so che sta solo evitando il discorso, probabilmente comincerà a piangere non appena metterò giù, ma non vuole che io lo sappia. Sciocca ti conosco anche io!
<Vai allora, ti voglio bene> sussurrai.
<Te ne voglio anche io Scricciolo> risponde e riattacca senza lasciarmi il tempo di sgridarla.
Maledetta stronza.
Avrei voluto sentire la voce di Chris in quel momento, ma non sarebbe stato possibile, ormai lui mi odiava e io non lo avrei perdonato mai per aver immischiato mio fratello e tutti i ragazzi nei suoi affari sporchi e poco ortodossi. "Hai seriamente detto poco ortodossi?" chiese la voce irritante del mio subconscio.Carl rientrò poche ore dopo lasciandomi il tempo di parlare con Brandon, ebbi quasi la tentazione di chiedergli di Chris, ma mi trattenni e a stento riuscii a sopravvivere alla breve telefonata.
<Già di ritorno?> chiese Carl togliendosi il cappello con la visiera con il logo della metropolitana e buttandolo a terra con rabbia.
<Sì, posso essere invadente?> chiesi curiosa dal suo gesto. Sbuffò, ma non per quello che gli avevo detto e si rivolse a me con un sorriso.
<Oh ti prego trattami come un ragazzo della tua età, magari riesci a fermi sentire un ventenne> disse sedendosi accanto a me sul divano rosso. Lo guardo nei suoi occhi verdi e luminosi.
<Come mai è stata una brutta giornata?> domandai curiosa. Sorrise e si passò una mano tra i capelli, diamine Christopher era ovunque.
<Mi hanno licenziato, da entrambi i lavori, sto diventando troppo vecchio e bisogna avere lavoro disponibile per i giovani> continuò sbuffando, pensai che per quella sera lo champagne non sarebbe stato appropriato, certo io ero stata assunta, ma Carl -il padrone di casa- licenziato. Gli sorrisi nel modo più gentile possibile e senza dire niente accesi la televisione e cominciammo a guardare How I met Your Mother ridendo e smorzando un po' la situazione spiacevole. Era incredibile come mi sentissi a mio agio con un uomo dell'età di mio padre, era simpatico ed estremamente gentile, inoltre tutto ciò che diceva era così intelligente da far quasi paura.
Dopo esserci dati la buonanotte andai in quella per una settimana sarebbe stata la mia stanza e mi buttai sul letto a peso morto sospirando. Presi il caricabatterie del cellulare e lo collegai alla presa più vicina al letto, mi metteva ansia non avere il cellulare vicino di notte. Lo accesi e notai l'orario sul display, mezzanotte, avevo solo sei ore per dormire. Spensi lo schermo per poi riaccenderlo d'istinto accorgendomi di non avere il numero di telefono di Christopher, mi venne mal di testa nel pensarlo e sospirai spegnendo di nuovo lo schermo e posando il cellulare sul comodino sul quale era adagiato un trofeo di basket dell'anno 1998, lo presi in mano, era piuttosto pesante, lessi l'iscrizione incisa sopra: campionato nazionale di basket classe 1998. Lo riposi di nuovo sul comodino, cominciai ad immaginare il figlio di Carl e lo immaginai con i suoi stessi occhi verdi e lucenti. Carl aveva i capelli e le sopracciglia bianche quindi non potevo immaginare il colore dei capelli del figlio, ma lo immaginai biondo e con il viso magro e appuntito. Proprio come quello del padre, mi resi conto che non avevo sentito nominare nessuna donna e cominciai a creare film nella mia testa nei quali succedeva di tutto, non sapevo niente di quella famiglia, ma era palese che mancava il tocco femminile di una donna in quell'appartamento. Non riuscendo a dormire mi alzai dal letto e cominciai a spulciare tra i cassetti della scrivania, sapevo che era sbagliato, ma ero troppo curiosa di dare un volto al famoso figlio di Carl, chissà magari era anche carino. Estrassi dall'ultimo cassetto una foto in bianco e nero ce ritraeva un uomo giovane e bello che teneva un bambino per mano, sicuramente quelli erano Carl e suo figlio, la foto però era sbiadita e nonostante avessi l'impressione di conoscere quel ragazzo non riuscii a riconoscerlo, magari lo avevo visto nei corridoi della BCU. Andai in salotto nella continua ricerca del ragazzo senza nome, aprii un cassetto del tavolino del salotto e sul retro di quella che immaginai fosse una fotografia lessi: il diploma. Girai la fotografia che mi cadde dalle mani non appena identificai quel volto. Lo conoscevo, certo che lo conoscevo, cavolo se lo conoscevo. Il cuore cominciò a battermi all'impazzata senza lasciarmi respirare, riposi la fotografia nel cassetto e lo chiusi lentamente per non fare rumore. Corsi in camera e digitai un veloce messaggio a Camille che volevo partecipasse a quello stupore più assoluto.A Camille 01:18 a.m.
Carl è il padre di Christopher!!!
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Non è logica è istinto
Romanzi rosa / ChickLitJuliet è una ragazza semplice e comune che frequenta la Berkeley University insieme a suo fratello. Si è impegnata molto a creare quella realtà frivola che le calza a pennello e che la fa sembrare come tutte le altre ragazze della sua età; purtroppo...