Giulia aveva ancora i conati di vomito. La mia brusca interruzione al suo rituale quotidiano l'aveva lasciata in bilico, in sospeso con la bile che le era già risalita e che aveva dovuto ricacciare giù, a forza.
Non sapevo bene come comportarmi, e ogni possibile gesto continuava a sembrarmi sbagliato. In realtà credo che lei se ne fosse accorta. Nel suo sguardo scorgevo quel coraggio che aveva sempre pensato di non possedere, e quella scintilla che finalmente le era ritornata.
«Vuoi dirmi qualcosa?», si decise a domandarmi.
Lentamente mi ero avvicinato a lei, che nel frattempo si era alzata ed era tornata in piedi. Eravamo uno di fronte all'altro, per la prima volta vedevo chiaramente ciò che Giulia era sempre stata, e ciò che non aveva mai voluto mostrare al mondo: una ragazza fragile, devastata, desiderosa di qualcosa che le facesse capire di non essere sbagliata come pensava.
«E' questo il tuo segreto, quindi? Sei anoressica?»
Subito dopo aver pronunciato quella frase, me ne pentii. Il mio tono e le parole che avevo usato mi avevano sicuramente fatto sembrare arrabbiato, ignorante. Giulia aveva sicuramente pensato che la considerassi pazza, che condannassi il suo gesto a priori, che magari avrei anche smesso di parlarle per mostrarle il mio sdegno.
Ma in realtà io volevo solo capire. Non pretendevo di sapere la verità assoluta, ero consapevole di essere entrato nella sua vita solo da poche settimane, ma di avergliela allo stesso tempo già stravolta.
E quindi quel mattino non mi arrabbiai con lei. Non iniziai a sparare sentenze, non le parlai di quanto fosse magra e di quanto tutto ciò che faceva l'avrebbe danneggiata.
Per la prima volta, quel mattino, spensi il mio cervello, insieme a qualsiasi cosa mi facesse pensare.
«No... cioè, sono bulimica, non anoressica. Visto qual era il mio assurdo segreto? Hai capito perché te lo volevo nascondere?»
«No, Giulia, non ho capito nulla. Però voglio capire.»
Le sorrisi, avvicinandomi ancora di più.
Senza darle il tempo di reagire, con la mano destra le spinsi delicatamente la testa, in modo da poggiarla sulla mia spalla. Il fatto che fossimo praticamente della stessa altezza ci aiutò sicuramente molto.
E quindi eravamo lì, e io credevo che ormai Giulia non avesse più segreti. Magari era davvero così, magari no.
Mentre le accarezzavo quei capelli color nocciola che tanto avevo adorato fin dal primo giorno, per la prima volta sentii qualcosa di strano, dentro di me.
Per la prima volta mi resi conto che c'era qualcuno, in questo mondo, che aveva avuto tanta fiducia in me da rivelarmi il segreto del quale andava meno orgoglioso. E per la prima volta, dopo anni, mi sentii seriamente utile. Sapevo che se fossi morto, in quel momento e in quel bagno, qualcuno avrebbe davvero sentito la mia mancanza. E, se fossi morto, qualcuno avrebbe davvero pianto al mio funerale.
Quel pensiero mi confortò e mi fece sentire qualcosa di particolare. Le alzai delicatamente la testa e la fissai intensamente negli occhi. Erano bellissimi, ma non quanto lei.
"Sei bellissima" furono le uniche parole che riuscii a dire prima che due lacrime iniziassero a scendermi contemporaneamente, una dall'occhio destro e una dal sinistro.
«Perché piangi? Sono io la folle che vomita, dovrei piangere io...»
E più lei diceva quelle parole, più la mia voglia di piangere aumentava.
E piangevo perché mi sentivo in colpa, per tutto. Mi dispiaceva il fatto che ancora non riuscissi ad aprirmi con lei, dopo tutto ciò che era successo fra noi. Mi dispiaceva che una ragazza bella quanto lei stesse così male e si odiasse così tanto. In quei momenti il mio cervello era un cumulo di sensi di colpa, immotivati al 90%.
Ma fu proprio in quel momento che feci a me stesso l'unica promessa di cui ancora oggi mi interessa qualcosa: io avrei salvato quella ragazza.
L'avrei salvata, qualsiasi cosa significasse davvero "salvare".
Lei continuava a guardarmi negli occhi, senza aggiungere nulla. Il silenzio, mio e suo, era sicuramente sufficiente per comprenderci.
«Da questo momento faccio parte della tua vita.»
«Che significa? Ne facevi già parte prima.»
Le presi la mano e gliela poggiai sul mio petto. Il mio battito era notevolmente accelerato a causa di tutto ciò che era successo.
«Io non lo so perché tu lo fai, ma vedi? Cioè, senti? Se sono sulla soglia di un attacco di cuore è perché di te mi importa. Hai capito? Mi importa, e io ti prometto che da oggi in più tu non sei più da sola. Però sono serio...»
Nonostante avesse la testa sulle mie spalle, capii chiaramente che stava sorridendo.
«Lo supererai. Davvero. Non sono bravo nei discorsi di incoraggiamento, e in questo momento non posso neanche parlare a cuore aperto perché rischio che mi esploda seriamente, quindi...»
«Grazie.»
«Per cosa?»
«Grazie di essere venuto a Torino. Lo sapevo io che ragazzi come te esistevano davvero.»
«Da questo momento faccio parte della tua vita.»
«L'hai già detto, oh.»
Ridemmo, e subito dopo alzò la testa dalla mia spalla.
E poi ci fu il secondo, il nostro secondo bacio.
Fu uno di quei baci che ti lasciano col sorriso sulle labbra per tutta la settimana successiva. E mentre ci baciavamo sentivo sempre di più quanto stessimo diventando un tutt'uno, sentivo i suoi segreti diventare i miei. Non sentivo i miei diventare i suoi, ma per quello ci sarebbe stato tempo. Almeno questo era quello che pensavo.
Ci staccammo dopo trenta secondi, preoccupati dal fatto che qualcuno potesse vederci.
«Ma quindi la lingua è bianca perché...»
«Perché odio il cibo e mangio una volta ogni vent'anni, esatto.»
«Andiamo in classe, a questo ci pensiamo dopo, va bene?» le porsi la mano. «Abbiamo tutto il tempo per pensarci.»
Sorrise. Sorrisi.
«Sì, andiamo in classe», disse dandomi la mano.
Allora uscimmo dal bagno, unico testimone del momento in cui iniziai seriamente a sentire di avere uno scopo nella mia vita.
E mentre raggiungevamo la nostra classe, camminando per quei corridoi che ormai avevo imparato a conoscere, notai che la scuola era sempre la stessa. I bidelli erano gli stessi, le pareti erano le stesse.
Ma qualcosa era cambiato, per sempre.
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Ti Amo da Solo
Teen Fiction"Sarei cresciuto in solitudine, invecchiato in solitudine e morto allo stesso modo. E a me stava bene. Mi spaventava pensare che mi andasse bene, ma era la verità."