Arrivai in classe 10 minuti prima del suono della campanella. Ero emozionato, teso. Ma più di ogni altra cosa, volevo che finisse tutto. Solo l'idea di conoscere e socializzare con persone nuove mi inquietava. Avevo superato il cancello di entrata e mi ero fatto strada fra centinaia di ragazzi e ragazze che si davano il bentornato abbracciandosi. Sulle pareti dei corridoi c'erano le indicazioni per le aule, e così mi incamminai velocemente e a testa bassa fino alla mia, senza chiedere informazioni. Aula 7, classe 2°A.
Quando varcai la soglia della porta ero completamente da solo e c'era un silenzio allucinante. Era molto strano che ancora nessuno fosse entrato, ma da una parte era meglio così, pensavo. Avrei avuto più tempo per calmarmi e rilassarmi.
Decisi di sedermi al terzo banco. Scostai la sedia di destra all'indietro, lo zaino a terra. Mi sedetti fissandomi intorno.
Stava accadendo davvero. Ero davvero in un posto completamente nuovo, circondato da estranei che si conoscevano già da tempo. I miei pensieri ricaddero su Roma, e su cosa stessero facendo i miei ormai ex compagni di classe.
In fondo era stato un bene trasferirsi e ricominciare. Ne avevamo bisogno tutti. Anch'io, certo. Continuavo a cercare di convincermi che sarebbe andato tutto bene. Avrei trovato amici, avrei smesso di essere solo, sarei stato felice.
"Ecco, ci risiamo. Ancora una volta non voglio rassegnarmi all'inevitabile:sono solo, lo sono eccome."
Avrei dovuto smetterla di avere delle aspettative così alte. Dentro di me in fondo lo sapevo che sarebbe andato tutto male, come sempre. Non avrei conosciuto nessuno, magari per i primi mesi neanche avrei rivolto parola a chiunque. Non sarei stato felice, non sarei riuscito a uccidere la solitudine che mi tormentava. Ma soprattutto non avrei dimenticato ciò che era stato.
E' strano come a volte il nostro cervello cerchi di difendersi alla meno peggio: tendiamo a convincerci di aver dimenticato le cose che ci fanno star male, ma la verità è una: noi non dimentichiamo. Non dimentichiamo mai, e non dimenticheremo.
Quei ricordi resteranno sempre lì, nei cassetti della nostra memoria, pronti a ripresentarsi appena le cose sembreranno andare per il meglio. Non smetteranno mai di tormentarci.
E allora cosa fare? Cosa fare quando ti rendi conto che non puoi fuggire dai ricordi?
Inizi a sperare. Speri che il tuo cervello si abitui il prima possibile a convivere con il dolore. Speri che prima o poi accada qualcosa che faccia passare in secondo piano i brutti ricordi.
E io, io non avevo mai smesso di sperare. Eppure sapevo benissimo che era proprio quella speranza che mi stava distruggendo. Prima avrei accettato la realtà e smesso di vivere nei sogni, e prima sarei stato pronto ad essere sereno.
Sì, sereno. Non felice. Sapevo che la ricerca della felicità era una battaglia persa in partenza. Ma la serenità era una cosa a cui sapevo di poter ambire. Anche col dolore, avrei potuto essere sereno. Sereno nel mio star male. La sofferenza sarebbe entrata a far parte del mio quotidiano, e mi sarebbe sembrato normale soffrire. Tanto normale da riuscire a star bene.
«Spero che quella di mate se n'è andata». Diverse voci interruppero il mio rimuginare quotidiano. Era arrivato il momento, di lì a pochi secondi avrei conosciuto le facce che mi avrebbero accompagnato per gli anni seguenti.
Tutti i miei discorsi mentali sul rassegnarmi alla solitudine erano crollati come un castello di sabbia.
Sarei stato felice. Quello sarebbe stato il mio anno.
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Ti Amo da Solo
Teen Fiction"Sarei cresciuto in solitudine, invecchiato in solitudine e morto allo stesso modo. E a me stava bene. Mi spaventava pensare che mi andasse bene, ma era la verità."