Capitolo 2

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Quando mia madre entrò in camera mia erano le sette e un quarto del mattino. Le avevo detto che sarei riuscito a svegliarmi da solo, ma a entrambi era chiaro come il sole che mi sarebbe servita la mano di qualcuno per aprire gli occhi.

La notte precedente avevo dormito solo poche ore, ero in preda al panico. La scuola stava per cominciare. Il trasloco era stato faticoso, ma oramai mi ero abituato quasi completamente alla vita nuova. Sballottato a 500 km di distanza, a 14 anni, in un paese del quale non avevo mai sentito parlare prima di tre mesi fa.

Dove abitavo prima ero solo, sì. Ma era una scelta mia. Se mi fosse venuta voglia di camminare per strada avrei riconosciuto tutti, chiamandoli per nome e cognome. Lì ci ero nato, ci ero vissuto e cresciuto. Qui no. Non conoscevo nessuno, se non i miei genitori. Volevamo scappare via, andare lontano per dimenticare il passato.

I ricordi di quel pomeriggio continuavano a tormentarci come fantasmi alla ricerca di vendetta. A distanza di mesi continuavo a sognare quelle scene giorno e notte, ancora. Anche mamma e papà erano molto più scossi di quanto volessero dare a vedere, ma volevano che non me ne accorgessi.

Le ultime 15 settimane erano state un susseguirsi di pianti, disperazione, digiuni, buio, silenzio. Nessuno aveva il coraggio di parlare di ciò che era stato. Anche quando mamma mi aveva comunicato che ci saremmo trasferiti improvvisamente, non aveva minimamente accennato a ciò che era successo. "Un nuovo inizio fa bene a tutti", mi aveva detto.

E come darle torto.

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