Capitolo 11

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«Oh, sei pronto?»

Sospirai cercando di calmarmi. «Sì, andrà bene.»

Matteo scese dall'auto salutando i suoi genitori. Io mi limitai a sorridergli, sperando, in cuor mio, che avessero capito quanto mi sentissi fuori luogo, e quanto stessi morendo dall'imbarazzo anche solo a respirare.

«Sono tutti simpaticissimi, poi più o meno già li conosci. Guarda, Sam!»

Si avvicinò verso di noi, sorridendoci. Non la vedevo dalla mattina.

«Vi conoscete già voi due, no?» le chiese lui cercando di rompere il ghiaccio. «Certo, benvenuto!», rispose abbracciandomi.

Erano mesi che qualcuno non mi abbracciava. E sì, forse fu quello ciò che mi fece sciogliere, ciò che mi fece calmare. Mentre sentivo l'odore del suo shampoo che penetrava le mie narici, iniziai a pensare che forse sarebbe andato davvero tutto bene. Forse erano davvero tutti simpatici.

Erano le 19:15, e il sole stava cominciando a tramontare. Mentre Matteo e Sam parlavano del più e del meno, io mi guardavo intorno.

Ero in un posto totalmente sconosciuto, composto per la maggior parte da estranei. Avevo rinunciato ad un altro pomeriggio di puro ozio a letto, e ora non facevo altro che chiedermi il motivo di tale scelta.

Il motivo corse verso di me, catapultandomi di nuovo nella realtà.

«Ciao, sono felice che tu sia venuto! Allora, che te ne pare di Sam? Che ne pensi del posto?»

 I suoi occhi azzurri continuavano a scrutarmi. Lei sorrideva, io abbassavo lo sguardo.

Era davvero reale?

Mi sembrava che qualcuno avesse preso la perfezione e l'avesse appiccicata ad un corpo umano. Non trovavo difetti in lei. Mentre la osservavo dall'addome in giù, per evitare di guardarla negli occhi, ascoltandola parlare un pensiero attraversò la mia mente.

La lingua.

Era ancora bianca? E perché nessuno sembrava farci caso?

Alzai la testa, cercando risposta ai miei dubbi.

Giulia mi aveva preso per mano, e mi stava portando a conoscere gli altri. Erano arrivati tutti, ormai. La festa in giardino poteva cominciare.

Mi sta tenendo la mano. Ma perché... dov'è Matteo? Dov'è Sam? Mi hanno lasciato da solo con lei. Ok, ora mi verrà un infarto. E rovinerò la festa di Giulia, e così mi odierà per sempre. Me lo sento, sta per venirmi un infarto. Ecco. Tre, due, uno...

«Lui è Lorenzo, sta all'ultimo banco, probabilmente è per questo che non avete ancora parlato.»

Il ragazzo tese la mano. A primo impatto pensai che era alto quanto me, e che mi piaceva il suo taglio.

«Ciao, piacere di conoscerti. Sai, io sono...»

«Sei timido, ce ne siamo accorti.» Una voce femminile aveva cominciato a parlare mentre veniva verso di noi.

«Non devi esserlo qui con noi, davvero, ci vogliamo tutti bene, e siamo felici di accogliere nuova gente. E poi mi sembri un ragazzo col cervello, il che ti fa guadagnare molti punti.»

Sorrisi alle sue parole, non sapendo cos'altro dire. Questa classe stava iniziando a piacermi.

«Io sono Claudia, se ti serve una mano in latino non esitare a chiamarmi!»

«Certo, lo farò. Ehi, posso chiederti un abbraccio?»

Non era lei la prima persona dalla quale avrei voluto riceverne uno, ma le sue parole erano riuscite a sbloccarmi quel tanto che bastava da farmi sentire sicuro nel fare una richiesta del genere. Claudia annuì e mi strinse.

Due minuti, già due abbracci.

Giulia guardò la scena sorridendo. «Insomma insomma, scommetto che ora starà pensando che siamo tutte un branco di ragazze facili. Vieni, ti presento gli altri.»

Per un momento mi sentii felice di essere lì.

Per un momento pensai davvero che quello sarebbe stato il mio anno. L'avevo già pensato il primo giorno, ma ora me ne stavo convincendo sempre di più.

E non importava se Giulia non mi avrebbe mai amato, o se l'avrebbe fatto. In quel momento io non ero più da solo.

Certo, non sarebbe bastato un pomeriggio per diventare amico di tutti. Ma mi sentivo sollevato dal fatto che avessero capito ciò che ero davvero. Mentre mi avvicinavo agli altri, sorridendo, tornai a pensare a quel pomeriggio di Maggio.

Pensai a quei momenti, ai giorni dopo. Pensai alle notti in ospedale, ai colloqui con la polizia. Pensai agli psicologi che mi avevano seguito, al dottor Bonetti. Pensai al mio cuore.

E pensai che le cose stessero decisamente cambiando. Oramai quelli erano solo brutti ricordi.

O almeno così credevo.

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