Capitolo 16: 31 maggio, ore 21:00

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«Sì, sono sua zia.»

Zia Lucia aprì la porta della mia stanza insieme ad un uomo in divisa.

«I carabinieri? Perché i carabinieri?»

Avevo da poco smesso di piangere. Nascosi il fazzoletto bagnato di lacrime sotto il cuscino, cercando di non farmi notare da nessuno dei due.

«Non sono un carabiniere. Sono un... poliziotto, se vuoi chiamarmi così.»

Si era avvicinato al mio lettino. Io, seduto e appoggiato con la schiena al muro, gli avevo stretto la mano quando si era presentato.

«Sono l'ispettore Castoresi, ma non è che mi piaccia molto essere chiamato così. Chiamami Romolo, ti va?»

Sussurrai un "va bene" cercando, con tutto me stesso, di non piangere di nuovo.

Romolo si girò verso zia, tentando di parlare con quanta più calma gli fosse possibile.

«Vorrei farmi una chiacchierata in privato con questo ragazzo. Ci lascia cinque minuti da soli?»

La zia cercò discretamente in me un cenno di approvazione. Una volta trovatolo, si allontanò uscendo dalla stanza a passo lesto, quasi cercando di scappare.

«Tua zia mi ha detto il tuo nome, poco fa. Ma assomigli tantissimo a mio figlio Francesco, ti dispiace se ti chiamo così?»

«No, va bene.»

Lui, seduto ai piedi del mio letto, tentò di guardarmi negli occhi, ma quando capì che da me non avrebbe potuto aspettarsi una cosa simile, desistette e iniziò a guardare la parete dietro di me.

«Mi ha detto anche che prima hai parlato con i tuoi genitori. Come stanno?»

«Sì.»

«Ti hanno detto qualcosa?»

«Non ricordo.»

«Va bene. Stasera resti a dormire qui?»

«Sì, credo.»

Mentre gli rispondevo a monosillabi tentavo, nella mia testa, di immaginare ciò che avevo da poco scoperto. Era un atto di puro masochismo.

«Tu hai idea di cosa sia successo?»

«Non sapevo nulla fino a poco fa. Ricordo solo quando sono entrato in casa.»

«Ti va di spiegarmi di preciso cosa ricordi? Lo so che è dura, ma è importante che tu me lo dica adesso, prima che i ricordi inizino a svanire. Prendi un bel respiro.»

Gli raccontai i vaghi ricordi che avevo. Gli raccontai di ciò che mi aveva detto papà qualche ora prima.

E dentro di me, mentre spiegavo a un agente le immagini terrificanti che ancora avevo davanti agli occhi, sdraiato su un letto di ospedale dopo essere stato operato d'urgenza all'improvviso, continuavo a ripetermi di non piangere.

Non ora, non ora. Quando se ne va, quando se ne va.

«Scusa se ti interrompo».

Romolo alzò gli occhi dal taccuino e mi fissò.

«Hai bisogno di un fazzoletto? E se non te la senti possiamo fermarci qui. Davvero, va bene così. Ho già un'idea più chiara su cos'è successo.»

«No, niente fazzoletto. Perché?»

«Francesco, guardati. Cioè, se vuoi piangere, fallo. Non mi scandalizzi. Posso solo immaginare quello che dev'essere stata questa giornata per te.»

A quelle parole mi lasciai andare.

Romolo non disse nulla. Mi guardava piangere e disperarmi. Mi passò un pacco di fazzolettini Tempo, mi appoggiò una mano sulle gambe da sopra il lenzuolo di lino e poi mi guardò ricompormi, lentamente.

Il fatto che non avesse detto nulla mi aveva colpito.

Non cercava di mostrarmi compassione solo per farmi star meglio. Si limitò a fornirmi una spalla (metaforica) su cui piangere, in modo che non mi sentissi completamente solo.

Funzionò.

Mentre tentavo di tornare in me gli rivolsi qualche parola.

«Grazie per avermi... cioè, per... Ha capito.»

«Dammi del tu. Mi fa strano sentirmi dare del lei da "mio figlio".»

«Grazie per avermi fatto... sfogare in qualche modo.»

Mi decisi a guardarlo negli occhi. Volevo una risposta alla domanda che stavo per fargli, e volevo che fosse sincera.

«Lo prenderete, sì? Chiunque sia stato, lo prenderete?»

Notai che i suoi occhi iniziavano a inumidirsi.

«Sì, Francesco. Lo prenderemo, te lo prometto.»

Abbozzai un piccolo sorriso. «Se ci sono novità, verrai a parlarmene?»

«Certo. Qualunque cosa succeda, dovunque ti trovi, ti prometto che sarai il primo a sapere tutto. Ti fidi?»

Mi porse il mignolo, quasi come a voler suggellare quella promessa.

«Sì. Sì, mi fido.»

Gli porsi il mignolo.

Quell'uomo aveva catturato la mia fiducia. Per la prima volta in quella lunga giornata, mi sentivo fiducioso. Per qualunque cosa, qualunque novità, sarebbe venuto a parlarmene.

Dovunque mi fossi trovato.

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