Capitolo 25

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Sette mesi dopo, ricevemmo una telefonata nel cuore della notte.

Fui il primo a prendere in mano il ricevitore, che si trovava su un ripiano prossimo alla mia camera.

‹‹Pronto?›› dissi, agitato.

‹‹Francesco?›› rispose la voce dall'altro lato. Lo riconobbi subito.

‹‹Romolo? Che succede?››

Ero spaventato ed emozionato, in egual modo. L'ultima volta che lo avevo visto ci aveva detto che zia Lucia era morta, e la volta precedente lo avevamo visto poco prima della partenza per Torino, dopo che tutto era successo. Non si poteva certo dire che la sua presenza nelle nostre vite fosse di buon augurio, ma nonostante tutto tenevo davvero a quell'uomo.

‹‹Fra, dovete venire a Roma, il prima possibile. Non posso parlare ora, ma dovete tornare qui. Ci vediamo domani, Fra.››

Dopo dodici ore, tutti i bagagli erano pronti. Avevamo chiamato tutte le nostre conoscenze romane, pur di sapere qualcosa. E, quasi come uno scherzo del destino, nessuno si era degnato di risponderci. Romolo risultava irraggiungibile, la nonna diceva di non sapere nulla, e il Comando di Polizia si era limitato a dirci di raggiungerli il più presto possibile. La macchina era pronta per partire, e ormai i miei genitori erano stanchi di aspettare. Nei loro occhi leggevo speranza, più che preoccupazione. E anch'io, dentro di me, ero fiducioso che qualcosa di positivo fosse successo.

‹‹Lancillotto, dobbiamo partire adesso, dai.››

‹‹Un attimo, ha detto che stava arrivando.››

Avevo mandato un messaggio a Giulia, su Whatsapp, un'ora dopo la telefonata per avvisarla che saremmo partiti appena ci fosse stato possibile. E lei aveva detto di volermi assolutamente salutare, per augurarmi buona fortuna e incoraggiarmi. Sarebbe arrivata a minuti, e anche se i miei genitori insistevano per partire, sapevo che avrebbero aspettato anche un'ora, se fosse stato necessario.

Giulia e Matteo corsero verso l'auto parcheggiata fuori casa. Appena il mio sguardo si fu posato di loro, subito un sorriso mi si stampò in faccia: non vedevo Matteo da più di due settimane, e ora che stava diventando un volto sempre più importante delle giovanili dell'Inter, ogni volta che ci incontravamo aveva sempre tanto da raccontarmi. Lo abbracciai, lasciando in disparte Giulia per qualche secondo, e quell'abbraccio mi catapultò al settembre scorso, quando Sam fu la prima persona che mi abbracciò a Torino. Volevo bene a Matteo, era l'amico migliore che avessi mai avuto, e lei lo sapeva.

‹‹Che ci fai tu qua?›› chiesi sorpreso, perché sorpreso lo ero davvero.

‹‹La pazza della tua ragazza mi ha chiamato stamattina e mi ha detto che partivi, e non potevo non venirti a salutare.››

Giulia e io sorridemmo. Notai che aveva un borsone sportivo in mano, e la mia faccia assunse un'espressione interrogativa.

‹‹Vengo con te››, sorrise. ‹‹Non ti lascio da solo, Fi'›› aggiunse subito dopo, e quando notò che stavo per dire qualcosa mi fermò. ‹‹Ho chiesto ai miei e sono d'accordo, lo sai che si fidano di te. Ho mandato un messaggio a tua madre e ha detto che va bene e che sarebbe stata una sorpresa.››

Sorrisi, senza sapere cosa dire. Ero sopraffatto dalla situazione e, per qualche minuto, avevo completamente dimenticato il motivo per cui saremmo tornati a Roma, il motivo per cui avevamo conosciuto Romolo e il motivo per cui avevo conosciuto Giulia e Matteo, quando ci eravamo trasferiti. E fu assurdo realizzare quanto un evento tanto tragico mi avesse fatto trovare il posto che dovevo occupare nel mondo.

Avevo raccontato tutto a Matteo in un freddo pomeriggio di gennaio, dopo che avevamo finito di studiare latino. Mi ero aspettato una faccia stupita, sconvolta. Mi ero aspettato che si sarebbe allontanato da me, quasi come avessi avuto colpa di ciò che era successo. "Sei un grande", era stato il suo unico commento quel giorno. Capii che si riferiva a ciò che era successo a me, personalmente: l'attacco di cuore e l'operazione, la riabilitazione, gli altri arresti cardiaci che avevo superato. E pensai che fino ad allora mai mi ero soffermato a ragionare su quanto ero stato forte. Ero stato forte. Sono forte.

‹‹Sei un grande›› ripeté anche quel giorno. ‹‹E' arrivato il momento che aspettavate, vedrai. Qua facciamo tutti il tifo per voi, anche chi non sa tutta la storia›› disse, a ragione. Ero diventato, stranamente, il ragazzo della classe con cui chiunque aveva davvero legato. Ero diventato il ragazzo degli abbracci, quello che il primo giorno di scuola aveva guardato solo e sempre Giulia.

E, ogni volta che qualcuno ricordava le prime settimane, dentro di me pensavo a tutte le altre cose che ero diventato, tutte cose che gli altri non sapevano, o sapevano in parte: il ragazzo che ha ricominciato da zero in una città completamente nuova. Il ragazzo che ha trovato l'amore quando meno se lo sarebbe aspettato.

Il ragazzo che ha smesso di drogarsi con gli antidepressivi di sua madre.

Il ragazzo che ha assistito allo stupro, di sua madre.

‹‹Vedrai che li hanno presi. Li hanno presi, è l'unica spiegazione possibile,›› aggiunse Giulia.

‹‹In bocca al lupo, ragazzi,›› disse Matteo abbracciandomi di nuovo. Abbracciò anche Giulia e poi si girò, per iniziare a tornare a casa. Prima di incamminarsi definitivamente cambiò di nuovo direzione si rivolse a noi, osservandoci per qualche secondo.

Sarebbe diventato un giocatore di serie A, pensai.

Avrebbe sposato Sam, e avrebbero avuto tanti bellissimi bambini.

Sarei stato testimone di tutto, pensai.

Quando se ne fu andato, Giulia e io ci guardammo, e lei mi sorrise.

‹‹Ti devo dire una cosa...›› mi disse.

Era incinta. Di un altro. Non mi amava più. Era un alieno. Era un ragazzo. Era incinta di un altro alieno, ed era un ragazzo.

‹‹E' una cosa bella,›› aggiunse rendendosi conto della mia espressione.

‹‹Lo sai che a me puoi dire tutto, amore.››

‹‹Oggi,›› aggiunse, ‹‹mi sento proprio bella.››

Sarebbe bello dire che il viaggio in auto volò via tranquillo, tanto che nessuno di noi pensò mai a cosa stessimo andando a scoprire. Sarebbe bello dire che quel viaggio segnò l'inizio di una vita completamente nuova, per noi: una vita ancora più nuova di quella che avevamo cominciato trasferendoci a Torino, una vita in cui non c'era più spazio per la tristezza e l'infelicità del passato.

E' buffo quanto le cose cambino in fretta. E' buffo quanto completamente fossi nel torto.

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