Capitolo 5

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«Buongiorno, chiedo scusa per il ritardo.»

Iniziai a farmi strada verso il banco, con la testa china. Era solo il secondo giorno, eppure stavo già prendendo una brutta piega.

«Ohi, ciao, fortuna che la Pasciutti non è ancora arrivata! Siediti, mi stavo iniziando a preoccupare!»

Matteo continuava a sorridermi mentre faceva spazio sul banco, togliendo l'enorme borsa dell'Inter di cui tanto andava fiero. Accennai per l'ennesima volta un sorriso di circostanza e presi posto.

Nella mia testa c'era un unico pensiero che mi tormentava.

Avrei dovuto smetterla con quelle pillole. Mi stavano distruggendo dall'interno, come un batterio killer che si insinua sotto la pelle. Sentivo la sanità mentale abbandonare lentamente il mio cervello e il mio essere.

La notte precedente avevo dormito solo qualche minuto.

I ricordi di quel pomeriggio di Maggio continuavano a tormentarmi, e non riuscivo più a vedere una via d'uscita. Sapevo che per il resto della mia vita avrei dovuto fare i conti con ciò che era successo. Ma io non volevo. Ero così stanco di sognare quelle immagini, di riprovare quelle emozioni.

Avevo bisogno d'aiuto. Non sapevo bene di che tipo, ma ne avevo un disperato bisogno. La situazione era diventata insostenibile, e non sarei riuscito a sopportarla ancora a lungo.

Quelle pillole sono l'unica cosa che mi dà speranza.

Neanche sapevo bene cosa fossero, in fondo. Non avevo idea di quale fosse il loro dosaggio. Ne stavo forse assumendo poche? Oppure ogni giorno ne ingurgitavo una razione che avrebbe potuto tranquillamente uccidermi? Chi poteva dirlo.

I miei unici momenti di serenità erano quelli in cui mi sdraiavo a letto subito dopo essermi drogato. Era una sensazione di tranquillità che quasi mi stordiva. Per 10 minuti in pace con me stesso e col mondo. Tranquillo, felice. Ridevo senza nessun motivo per farlo.

Ma poi iniziavano gli effetti collaterali.

Quella voglia di dormire e il non riuscire assolutamente a farlo, l'ansia, la rabbia, le paranoie su ogni cosa. E i ricordi del passato che tornavano a galla più forti di prima.

E quale modo per uccidere quei ricordi, se non assumere altre pillole?

Non riuscivo più a uscirne, ormai. Ero perso. Mi ero spinto troppo oltre e avevo perso il controllo. Sapevo che la mia fine era vicina, e sarebbe arrivata quando avrei assunto una pillola di troppo.

Tornai alla realtà e iniziai a guardarmi intorno: le stesse facce di ieri.

Riuscivo a vedere quei sorrisi tristi dei ragazzi, le ragazze innamorate che non facevano altro che chiedersi cos'avessero di sbagliato. Nulla di speciale. Il solito schifo che ormai era diventato normale. La voglia di morire che tutti gli adolescenti avevano.

Ma le cose cambiarono nel giro di un istante.

Cosa, o chi, era appena entrata?  Una ragazza dagli occhi azzurri come il mare si era avvicinata alla porta ed era entrata in aula a passo lesto.

Col senno di poi posso dire che non mi colpì perché era bellissima, perché aveva gli occhi più belli che avessi mai visto in vita mia, o perché col suo sorriso iniziò a riportarmi in vita nel momento stesso in cui il mio sguardo si posò su di lei per la prima volta.

Quegli occhi stupendi furono la prima cosa che notai, sì.

Ma ciò che mi colpì davvero fu la sua lingua: bianca, bianca come la neve.

Non riesco a trovare le parole giuste per descrivere al meglio i miei sentimenti quando la vidi. Non era amore. Non m'innamorai di lei solo guardandola. Non fu come nei film, quando tutti spariscono dalla stanza e resta solo lei, mentre gli angeli cantano a festa.

Ma mi catturò. Nel momento stesso in cui si sedette a quel banco ero già suo.

Quello fu il giorno in cui nacqui.

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