Capitolo 20

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Era strano pensare che non me ne fossi accorto prima.

Nell'ultimo mese avevo avuto sotto braccio tutti gli indizi di cui necessitavo, eppure avevo sempre cercato di non aprire gli occhi, di non rendermi conto dell'ovvio, di ignorare la cosa.

Avevo sempre pensato ad un'altra soluzione, un'altra ragione, un altro motivo per il quale Giulia si comportasse da Giulia.

E poi, quel freddo mattino di ottobre, ero stato costretto ad aprire gli occhi e a guardare la realtà da un'altra prospettiva.

Finalmente sapevo il segreto che mi aveva tenuto nascosto.

Ed era strano. Nella mia testa mille pensieri danzavano in modo disordinato, cercando di farmi impazzire più di quanto non lo fossi già.

Ora sapevo perché aveva la lingua bianca. Sapevo perché all'improvviso diventava fredda e lasciava cadere la conversazione. Ero il primo ragazzo a conoscere la verità.

"E' stata lei a dirmi di parlartene", mi aveva detto Sam all'entrata.

«Ci tiene a te, Pioppolo. Ci tiene tanto, e la cosa la spaventa. Vuole essere onesta e dirti tutta la verità, ma io e lei sappiamo che non riuscirà mai a guardarti negli occhi e a confessarti tutto. Quindi te lo dico io. Spero che così capirai i motivi di alcuni suoi atteggiamenti.»

Ci eravamo diretti in classe.

Lei era lì, col solito sorriso che non sorrideva e lo sguardo che non guardava.

«Buongiorno ragazzi, prendete posto. Abbiamo molto di cui parlare. Sarfati, Russo, entrate in classe, siete in ritardo.»

La professoressa Picardi era la nostra insegnante di religione. Di lei adoravo soprattutto il fatto che usasse la maggior parte delle ore che aveva a disposizione per parlare con noi di argomenti "contemporanei".

Avevamo già parlato dell'aborto, degli sbalzi d'umore adolescenziali, delle sostanze stupefacenti.

Avevo preso posto accanto a Matteo, accennando nel mentre un "buongiorno" ai miei compagni. Sam si era accomodata accanto a Giulia, nel banco in fondo a destra.

Per quanto avessi voluto alzare lo sguardo e guardarla negli occhi, non ero riuscito neanche a girarmi verso la sua direzione.

Dopo ciò che avevo scoperto ero paralizzato. Non sapevo come comportarmi, come approcciarmi a lei. Non sapevo se la mia presenza nella sua vita le facesse bene o male.

«Oh, tutto bene? Sembri strano.»

«Sam mi ha detto... tutto, cioè. Di Giulia.»

«Cazzo.»

La professoressa guardò nella nostra direzione, intimandoci con lo sguardo di fare silenzio.

«Quello su cui vorrei discutere con voi oggi è un argomento che magari farà storcere il naso a qualcuno, ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.»

Alzandosi dalla cattedra, iniziò a scrivere qualcosa alla lavagna. I suoi capelli rossi mi fecero incantare per qualche istante.

«I segreti.

Alcuni sono innocui e altri possono essere ben più gravi. Ma in quale caso è lecito avere dei segreti? E quando è lecito rivelare a qualcuno un segreto proprio o di qualcun altro?»

Prima di rendermene conto, la mia mano era alzata e il mio cervello scalpitava per parlare.

«Sarfati. Ti ascoltiamo.»

Avrei potuto giurare di aver sentito Giulia squittire.

«Io credo che questo sia un argomento complesso. Nel senso, secondo me ognuno nasconde un segreto, o più di uno. E credo che sia anche un bene avere dei segreti. Cioè, almeno per quanto mi riguarda, non sono il tipo che si fida di chiunque conosca.

Ho dei segreti anch'io, e non è che mi vergogni ad ammetterlo. Magari qualcuno è sciocco e qualcuno è grave, come ha detto Lei, però nascondendo qualcosa al mondo mi sento più sicuro, un po' come se potessi scegliere io chi far entrare davvero nella mia vita e chi farci rimanere fuori.

Secondo me va bene rivelare il proprio segreto a chiunque ci ispiri fiducia, non esiste una legge particolare per questo. Se incontri qualcuno e ti fidi di lui, parlagli. Se non ti fidi, tieni tutto per te. Ovviamente poi devi essere in grado di gestire il peso di portare il... cioè, il peso di portare il peso sulle spalle da solo.»

Qualcuno accennò una risata, facendo sorridere anche me.

«Dai, ho tutto un discorso in mente, non distraetemi.

Dicevo: per me rivelare i segreti di qualcun altro è una cosa che non si dovrebbe mai fare, a meno che tipo questo qualcun altro ce ne voglia parlare ma non ci riesca, e in tal caso chieda ad una terza persona di dircelo. In casi del genere va bene. Ma, tipo, se qualcuno mi confidasse un segreto, io lo terrei per me, non importa quanto grave sia.»

Mi girai per qualche secondo a guardare Giulia e Sam, immerse nel mio discorso.

«Non è brutto avere dei segreti. Non è una cosa di cui vergognarci. Qual è il problema se non ci fidiamo di qualcuno abbastanza da parlargli di noi?

Se poi riusciamo a fidarci, allora va bene, è bellissimo. Ma se non ci riusciamo, non dobbiamo sentirci sbagliati. Se non riusciamo a parlare di noi a qualcuno, va bene così.»

«Posso uscire?»

La professoressa, distratta dalla richiesta, annuì. Giulia camminò verso il bagno a testa bassa.

Mi alzai di scatto e mi avvicinai alla cattedra. Tutti erano in silenzio, pronti a non perdersi nemmeno una virgola del mio delirante discorso con i congiuntivi sbagliati.

«Prof, per favore, posso uscire anch'io? Voglio starle vicino, Giulia ultimamente sta male...»

Dopo qualche secondo di riflessione, annuì senza aggiungere altro.

Speravo che il mio discorso le avesse aperto gli occhi, che le avesse fatto capire quanto avrebbe potuto fidarsi di me, e quanto mi sentissi uno schifo perché non riuscivo ancora ad aprirmi con lei come lei voleva fare con me.

Mi avvicinai al bagno delle ragazze, entrando senza pensarci due volte.

«Giulia, no.»

La prima volta che l'ho guardata davvero negli occhi è stata quel giorno, in quel bagno.

Io sulla soglia della porta e lei di fronte a me, in ginocchio vicino alla tazza, con le lacrime agli occhi, il viso pallido e i conati di vomito.

E lo giuro, era più bella di quanto non lo sia mai stata.

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