17 - Tu non sei realmente qui

274 21 1
                                    

Tornato ad Hogwarts, la mancanza del figlio si fece sentire in meno di mezz'ora. Minerva si accanì contro di lui con le notizie dei prossimi studenti e per non averla avvisata del suo ritorno che, anche se programmato da tempo, era stato anticipato di più di un mese. I fantasmi del castello non lo lasciarono in pace neanche per un istante, facendogli mille domande sulla sua esperienza di "pre-morte". In particolare il Barone Sanguinario, che non faceva che chiedergli sul cosa avesse deciso dopo la morte, se avesse preferito tornare come fantasma o come semplice e monotono e noioso ritratto, e Peevs, che non faceva che fare battute su battute, anche poco simpatiche, sul fatto che non fosse morto e che, se mai fosse giunto ad altra vita, mai l'avrebbe voluto vedere tra gli altri spettri perché sarebbe stato torturati a vita da lui stesso per tutte le volte che lo ha fatto beccare da Flitch a fare scherzi in giro per il castello. I ritratti dei presidi non facevano che tempestarlo di domande su come è avrebbe voluto gestire ora la scuola. Il Ministro della Magia, Hermione in persona, si presentava più volte al castello per stabilire le nuove regole scolastiche e sulla gestione di Hogwarts. Insomma un vero inferno. Passava le ore in piedi nell'ufficio di Minerva a subirsi le sgridate, seduto alla scrivania con il viso nascosto dietro una mano stanca a subirsi le domande dei ritratti. Non ne poteva più. Una sera tornò nel proprio ufficio, finalmente libero dalla confusione, e si posò con la fronte sulle braccia piegate e incrociate sulla scrivania. Stanco ed esausto, si lasciò andare ai ricordi, sentendo la stanchezza e il sonno farsi strada lentamente lungo le sue ciglia, rendendo le palpebre pesanti, la testa martellante senza pace, i muscoli, tesi per lo stress, pesanti come macigni. Era sul punto di appisolarsi, stanco dopo soli pochi giorni di ripresa del lavoro.
«Di nuovo qui, Severus?»
Quella voce. Non poteva essere reale. Sgranò gli occhi senza osare alzare lo sguardo. "Non può essere qui. Non può.", si ripeté più volte nella testa per cercare di controllare la paura.
«Severus, sta tranquillo...», sussurrò in modo dolce quella voce sempre troppo tranquilla, ma mai senza speranza.
«Tu non sei realmente qui...», sussurrò in tutta risposta Severus, con voce profonda, affondando i polpastrelli delle mani nelle proprie braccia.
«Severus, guardami», cercò di convincerlo l'uomo a cui apparteneva quella voce, «Guardami, ragazzo mio. Sono qui. Guardami»
«È un maledetto incubo. Tu non sei realmente qui», ribadì Severus, troppo spaventato per rispondere a tale consiglio.
«So cosa pensi. È naturale che tu non voglia accettarlo perché sei stato tu stesso a porre fine alla mia vita. Ma, te ne prego, alza gli occhi e guardami. Non riuscirai mai ad andare avanti se non mi affronti...»
«E TU CHE COSA NE SAI, ALBUS?!», sbottò Severus, alzando di scatto lo sguardo su di lui.
Albus Silente era lì, di fronte a lui, in tutta la sua calma e tranquillità, anche davanti al tono nervoso di Severus. Lo scuutava con occhi dolci, ma pieni di dolore, dietro i suoi soliti occhiali a mezza luna. Non era in forma fisica, non era esattamente lui. Era più un... ricordo. Un quadro. Un ritratto, per la precisione. Era solo colore steso da un pennello delicato ed esperto su una tela bianca e vuota, ma sembrava pieno di vita, più di quanto non lo fosse stato in vita.
«Cosa ne sai, Albus? Cosa?!», ripeté Severus, affondando le unghie nel legno antico della scrivania del preside per controllare l'istinto di urlare e buttare tutto all'aria.
«Sei arrabbiato. Lo so», annuì Albus sospriando, «So che mi porterai rancore per sempre. O almeno finché io sarò qui di fronte a te. Ma ti supplico di trattarmi come mi trattavi quando ero io ad essere seduto su quella sedia e tu eri seduto di fronte a me»
Severus gli rivolse uno guardo pieno di rabbia, paura, tristezza e dolore infinito. Soffriva. Soffriva di continuo. Gli incubi per quello che aveva fatto lo tormentavano ancora. E ora Albus gli chiedeva di dimenticare tutto, di andare avanti come se nulla fosse. Come poteva, anche solo pensare, che tutto questo era possobile?
«Sei sempre stato coraggioso, ragazzo mio...», continuò Albus, non vedendosi arrivare nessuna risposta da parte sua, «Quello che hai fatto, lo hai fatto perché te l'ho chiesto io. Perché non c'era altro modo. Quella era l'unica soluzione affinché tu rientrassi nelle grazie di Lord Voldemort per portare a termine il tuo compito. Non c'era altro modo...»
«C'ERA UN ALTRO MODO!», lo interruppe Severus furioso, «C'era... Ci doveva essere per forza. Ma tu non ti sei nemmeno sprecato a cercarlo. Hai preferito macchiare la mia anima con un omicidio che, sapevi, mi avrebbe rovinato a vita. Tu lo sapevi, vecchio pazzo! Tu sapevi!»
Albus sentì, per quanto di un ritratto si possa dire così, un peso sul cuore. Un peso che portò sul suo viso dipinto una luce strana, esterna al quadro. Una luce che lasciò intravedere una goccia di color azzurro chiarissimo, quasi trasparente, all'angolo del suo occhio destro. Una goccia che a chiunque avrebbe fatto capire, per quanto improbabile, che il ritratto stava piangendo. Ma perché mai il ritratto di Albus Silente doveva piangere, si chiese Severus. Perché piangere a questo punto? Forse per il dolore di aver lasciato un ragazzo così tanto prezioso per lui? O forse per il rimorso di aver scelto lui per un compito tanto crudele e difficile da dimenticare? O forse per il dolore alla vista di quel ragazzo, ancora un bambino ai suoi occhi, che si disperava e urlava dal dolore e la rabbia a causa di una sua scelta sbagliata?
«Tu non sei realmente qui», ripeté Severus ora con voce tagliente e pericolosa.
Albus gli rivolse uno sguardo distrutto dal dolore. «So di non essere lì, Severus. Non fisicamente», sussurrò quasi, «Ma vorrei tanto esserci, credimi. Vorrei tanto essere lì al tuo fianco per farmi perdonare. Potrai mai perdonarmi, Severus?»
«No», rispose l'altro secco, «Tu non sei qui. Né ora, né mai. Non venirmi a dire queste stronzate!»
Albus non disse più nulla, avendo capito che era inutile, per ora, insistere. «Non dirò altro, Severus», annuì soltanto, sconsolato, «Solo che, per quanto possa servire, mi dispiace»
«Ti dispiace, Albus? Ti dispiace?! VATTENE VIA!», sbottò e lanciò una pergamena contro il ritratto.
Albus lo guardò distrutto, nei suoi occhi occhi azzurri di poteva notare un vero di tristezza che andava oltre la pennellata. «Mi dispiace, ragazzo mio», sussurrò, poi si voltò e si avviò lungo il corridoio infinito del ritratto, sparendo nell'ombra. Lasciando Severus furioso, che si accasciò sulla sedia con il viso tra le mani.

New FamilyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora