4 - Grazie... Potter

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Calò il silenzio. Nessuno dei due osò dire niente. Si guardarono intensamente negli occhi. L'uno lesse qualcosa negli occhi dell'altro. Ma nessuno dei due sapeva spiegare cosa fosse. Dopo un paio di minuti di silenzio Piton distolse lo sguardo e Harry si sentì particolarmente a disagio. Ma non per questo si arrese, anzi. Si avvicinò di più al letto del processore e si mise proprio di fianco a lui, guardandolo.
«Professore. Lei forse è la persona che lo merita più di tutti»
«Non sai di cosa parli, Potter»
«No? Lei dice? Io lo so. Lo so cos'ha passato, me lo ha mostrato. È vero, ha commesso degli errori. Ma tutti commettono errori. E mia madre... Non era stupida. Se le era amica di certo lo faceva perché sapeva di non sbagliare»
«Tua madre...», il professore sospirò tristemente, lasciandosi andare e parlando apertamente, «Tua madre l'ho offesa. E pesantemente anche. Non lo avrei mai dovuto fare. Mai. Sono stato uno sciocco. Mi sono lasciato accecare dalla rabbia, dall'odio verso tuo padre. Non dovevo chiamarla a quel modo...»
«È vero. Ma se ne è pentito subito. Subito. Ha provato a chiederle scusa. Glielo ha chiesto più e più volte. Solo che mia madre era così arrabbiata che non l'ha perdonata. Non le ha dato la possibilità di riparare ai suoi errori, non l'ha voluta ascoltare. Ma lei se ne è pentito. È questo che conta. Se ne è pentito un istante dopo che lo ha fatto»
«Ma resta il fatto che l'ho fatto. L'ho detto. E fidati se ti dico che il fatto che tua madre non mi abbia perdonato mi pesa ancora parecchio sul… lo stomaco», si corresse, evitando di dire 'sul cuore', «Perché aveva ragione. Era l'ennesima cosa che facevo contro la richiesta che giustamente mi aveva fatto. E io sono stato uno sciocco. Proprio uno sciocco», aggiunse e si passò una mano sul viso. Se ne pentì subito di aver mosso il braccio perché la fasciatura si strinse e gli provocò un dolore alla spalla. Gemette di dolore e si lasciò andare a peso morto sul letto.
«Vanno cambiate quelle», mormorò Harry, indicando la fasciatura che per la stretta si era sporcata di sangue della ferita non ancora del tutto rimarginata.
«Chiama un dottore allora», sbuffò Piton, guardando e testando la fascia.
«Non la tocchi o sarà peggio», lo fermò Harry prendendo il suo polsi e spostandolo. Prese una nuova benda e le pozioni che, come Hermione aveva lasciato detto ai medici, servivano per la sua guarigione e tolse la fascia sporca dal braccio del professore, che lo guardava confuso e titubante. «Non la mangio, stia tranquillo», tentò Harry di smorzare la tensione e continuando a guardare quello che faceva. Tolse via la benda sporca e la gettò in un cesto lì vicino, poi prese l'Essenza di Dittamo. «Questa brucerà un po'...», disse guardandolo.
«Potter sono un pozionista. So come funzionano le pozioni», rispose scettico il professore, «Al contrario di te a Hogwarts...»
«Simpatico... Be', mi scusi. Volevo solo evitare lamenti da parte sua come un bambino», scherzò Harry e stappò la boccetta di Essenza.
«Lamenti come un bambino?», chiede Piton scettico, «Potter, vuoi per caso che sfrutti le poche forze che mi siano rimaste per strozzarti?»
«No, grazie. Passo», rise piano Harry. Poi lo guardò, «Alla mia vita ci tengo», aggiunse e versò qualche goccia di Dittamo sulla ferita. Subito questa cominciò a fumare e a frizzare come una bibita gassata.
«D'accordo, questa brucia...», mormorò Piton a denti stretti. Quella era la ferita più profonda insieme a quella sul collo e con il Dittamo versato a stretto contatto con la carne scoperta provocava un bruciore quasi insopportabile. Si posò con la testa sul cuscino e strinse gli occhi resistendo al bruciore. Ne aveva passate di peggio.
«Si è lamentato pochi direi», commentò Harry, mettendo via la Dittamo e fasciando la ferita con le bende nuove e pulite. Le annodò con cura poi prese l'Antidoto ai Veleni Comuni, la stappò e la porse al professore.
«Ho sopportato di peggio», mormorò lui a denti stretti, prese la pozione e buttò giù velocemente. Poi si passò una mano sulle labbra e si lasciò ricadere di nuovo sdraiato sul letto.
«Si sente meglio?», chiede Harry, mentre metteva mia le due bottigliette e tornava accanto al letto del professore.
«Sono stato meglio...», sospirò Piton fissando il soffitto.
«Stasera dicono che la dimetteranno...»
«Di già?», il professore lo guardò con la coda dell'occhio.
«Sì... Ho chiesto io di di metterla e di lasciare che venga curato per l'ultimo mese di cure i  a casa»
«Ah sì? E dovrei stare a Hogwarts finché non guarisco?»
«No... Non quella casa, signore», Harry fissò gli occhi in quelli del professore, anche se lui non lo guardava. «Ho chiesto di trasferirla a casa mia...»
Piton sgranò gli occhi e lo guardò di scatto. - Casa tua, Potter? A Little Wiggins?
«Non c'è nessuno ed è rimasta disabitata da quando i miei zii si sono trasferiti....»
«Io spero tu stia scherzando...»
«No. Perché dovrei? Io devo tornare lì perché sarà quella la casa che terremo io e Ginny»
«La Wealsey... Pensa a sposarti e lascia me qui...»
«Ma per ora ci abiterò da solo», lo interruppe Harry, «Ecco perché ho chiesto di trasferirci lei. Così che intanto che io sistemi la casa posso prendermi cura di lei...»
«Tu non hai nessun motivo valido per volermi con te. Perché mai dovrei accettare di passare io resto del mese in casa con te, Potter?»
«Perché signore, con tutto il rispetto, lei ha bisogno di chi si prenda cura di lei. E io ho bisogno di... Tenerla vicino. Perché so che quando finirà il mese di cure lei andrà a Hogwarts e resterà lì fintanto che non dovrà incontrare me. E mi impedirà di venirle a parlare al castello. Non mi riceverà. E io ho bisogno di tenerla vicino. Di parlarle. Vorrei chiederle un paio di cose prima di... Di lasciarla tornare a Hogwarts...»
«Io e te non abbiamo nulla di cui parlare», Piton tentò di sviare il discorso e di ignorarlo. Non se la sentiva affatto di parlare con lui. Anche perché sapeva che cosa voleva chiedergli e non aveva nessuna voglia di riaprire il discorso. Non ora per lo meno. Non ora che erano entrambi a mente fresca.
«Io dico di sì», insistette Harry.
Il professore lo osservò attentamente. Gli occhi del ragazzo dicevano tutto tranne che l'idea di arrendersi. Sbuffò e tornò a guardare il soffitto. «Non sarò io a farti cambiare idea... Ma un mese. Non di più. Sono stato chiaro?»
«Chiarissimo signore», sorride Harry risoluto, «Grazie...»
«Non ringraziarmi...», Piton sollevò gli occhi al cielo, poi lo guardò, «Immagino di doverti ringraziare...»
«Non si preoccupi, signore. So che non rientra nei suoi doveri ringraziare un Potter», scherzò Harry sorridendo.
«Ma tu mi hai salvato la vita. Quindi te lo dico... Grazie», disse Piton. Sembrava sforzarsi leggermente.
«Avrebbe fatto lo stesso... Anzi. Lo ha fatto. Per diciassette anni, signore», disse Harry, poi si voltò e si avviò verso la porta.
Il professore rimase con gli occhi sgranati a guardarlo. Più colpito che mai. Quel ragazzo, più cresceva, più lo stupiva. «Potter!», lo richiamò dopo alcuni istanti di sbigottimento.
Harry, ormai la mano sulla maniglia, si voltò. «Sì, signore?»
Piton lo guardò a lungo in silenzio. «Niente...», disse alla fine, «Puoi andare»
«Grazie professore», sorride Harry, annuendo ed uscendo. Si ritrovò assalito da Hermione che gli fece mille domande.
Quando finalmente riuscì a liberarsi, tornò a Grimmauld Place.
«Quindi sta bene?», chiese Sirius appena lo fece entrare e sedere in cucina.
«Alla grande direi. Si sta riprendendo. Ha ancora un mese di cure, ma ce la farà»
«Bene... Meno male», sospirò il padrino di Harry.
«Ho chiesto di trasferirlo a casa mia... Per quest'ultimo mese. A Little Wiggins»
«Davvero?», Sirius lo guardò sorpreso.
«Ho bisogno di averlo vicino. Non posso permettere che scappi a Hogwarts ed eviti il discorso con me. Devo sapere. Ho visto tutto ma devo sapere di più»
«Alcune cose si possono dire solo a voce... Su questo hai ragione. E lui che ha detto? È d'accordo?»
«All'inizio ha provato a dire di no. Ma gliel'ho impedito. Quindi passerà il prossimo mese con me»
«Bene... Almeno avrò più possibilità di parlargli... Se fossi andati a Hogwarts mi avrebbe mandato via a calci»
«Probabile sì... - , scherzò Harry. Si guardarono e risero»
«Come hai vecchi tempi. - , sospirò, - Ora devo solo trovare le parole giuste da dirgli senza farmi uccidere...»
«Le troverai. E non ti ucciderà. Ci sarò io ad impedirlo»
«E pensi che Piton si fermerebbe solo perché glielo dici tu?»
«Ne sono sicuro», annuì Harry deciso.
Sirius lo guardò e sorrise. «Hai lo stesso suo sguardo... Di James.»
Harry sorrise sorpreso. «Sono pur sempre un Potter»
«Assolutamente sì», annuì Sirius.
«Ora sarà meglio che torni. Tra poco porteranno Piton a casa mia»
«Vai tranquillo. Ci si vede Harry»
«Ciao Sirius», Harry lo abbracciò ricambiato. Si staccò poco dopo e si materializzò davanti casa sua.
Ed eccola lì. Little Wiggins. Mancavano tre ore all'arrivo del professore con i medici del San Mungo. E davanti alla porta c'era già una montagna di scatoloni e mobili da portare dentro. Si rimboccò le maniche e trascinò dentro tutto con l'aiuto della magia. Sistemò i mobili in tutte le stanze e attrezzò la cucina di fornello e lavandino. Al piano di sopra attrezzò due camere da letto vicine. Quella sua e quella del cugino. Posizionò due letti nuovi con lenzuola pulite. Quando finalmente finì di sistemare, si buttò sul divano. Attese lì finché non suonarono alla porta. 
«Finalmente», disse. Si alzò e andò ad aprire.

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