Capitolo 6I due giorni successivi Carol si sentiva uno straccio e continuava a mangiare riso in bianco e gallette al mais. Taylor la prendeva in giro di tanto in tanto, ma aveva avuto poche occasioni di farlo perché Natale era ormai alle porte, quindi Octavia era già arrivata in città e Taylor voleva approfittare del tempo con lei.
Dunque, Carol aveva passato gli ultimi due giorni a vegetare sul divano di casa sua ed ascoltava sua zia Sarah canticchiare mentre cucinava per tutto il pomeriggio.
Sarah era una donna minuta, pallida e riservata, ma quando cucinava si permetteva di cantare ad alta voce insieme alle melodie delle sue canzoni preferite e allo sfrigolio del cibo sul fuoco. Era la sorella di sua madre e come lei aveva i capelli chiari, fini . Al contrario della madre di Carol, che aveva i capelli biondi come la figlia, Sarah li aveva arancioni e gli occhi erano uguali a quelli di Carol, azzurrissimi alle volte, verdastri in altre.
Qualcuno suonò al campanello e Carol sbuffò quando si accorse che sua zia non aveva alcuna intenzione di andare ad aprire, forse non aveva sentito il campanello o forse era troppo impegnata nella sua cucina per potersi assentare un attimo.
Dunque, Carol si alzò di malavoglia e trascinò i piedi fino alla porta di ingresso, che aprì senza neanche prima guardare chi fosse. Sorrise quando vide il suo migliore amico Alex.
«Ei tu.» Gli fece cenno di entrare. «Che ci fai qui?» Non aspettava una sua visita, ma d'altronde era il primo giorno delle vacanze natalizie, dove altro poteva essere se non con Carol Lovelace?
Alex entrò in casa strofinandosi le mani sulle braccia per riscaldarsi e le sorrise. «Mi andava di passare del tempo con una rompiscatole, mi sei venuta in mente solo tu.» Carol alzò gli occhi al cielo, aprendosi in un sorriso radioso.
Nonostante fosse in tuta, avesse i capelli biondi spettinati e fosse struccata non si fece problemi; era letteralmente cresciuta insieme ad Alex, lo considerava un fratello ormai. Lo conosceva fin da piccoli quando ancora Alex non sapeva di essere stato adottato e quando ancora la famiglia di Carol era intatta. Si erano visti nei loro momenti migliori e anche in quelli peggiori e, per quanto fossero diversi, trovavano sempre il giusto equilibrio.
Alex era un ragazzo molto riflessivo, studioso e coscienzioso, era una persona responsabile e per questo Carol lo voleva sempre vicino nei suoi momenti di sbando totale.
Sebbene ultimamente entrambi avessero altri pensieri per la testa, appena potevano si vedevano anche solo il tempo di un saluto o di una sigaretta in giardino. «Ti va di scendere qui sotto casa tua?» Le domandò e Carol annuì, contenta di poter respirare un pò di aria fresca dopo quasi due giorni chiusa in casa.
Si mise un paio di scarpe e il giaccone, poi uscì di casa seguita dal suo amico. Si sedettero sui gradini che portavano alla tettoia nera e marrone che dava sulla porta di ingresso della modesta casa. Faceva parecchio freddo e le previsioni mettevano neve per quella notte, ma in quel momento entrambi non ci fecero troppo caso.
«Sigaretta?» Offrì Alex, sorridendole appena.
Carol annuì, prese la sigaretta dalle sue lunghe dita affusolate e scure e lo ringraziò. «Allora? Com'è?» Carol nascondeva la sua gentilezza agli occhi di molti, lo aveva sempre fatto, ma non aveva senso farlo di fronte ad Alex o alle persone che amava, che conoscevano la vera lei. «Stai già pensando ai test per l'università?»
Alex scosse la testa, aspirò il fumo e lo rilasciò con un sospiro pesante. «Ho avuto parecchi pensieri per la testa.» Ammise vago, non volendo sganciare su di lei quella bomba.
Carol lo guardava preoccupata. Aveva vissuto dei mesi pessimi, ma Alex aveva scoperto di essere stato adottato quasi un anno prima e non si era mai fermato dal cercare i suoi veri genitori. Molti gli avevano semplicemente detto di lasciar perdere, di ricordare quali fossero i genitori che lo avevano cresciuto, ma Alex non si era mai dato per vinto.
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Isabelle e Carol
Romance[COMPLETA] Il terrore che provava Nate lo aveva completamente congelato. Sentì gli occhi pizzicargli e il naso pungergli. Dio, non era quello il momento per piangere. «Carol, piccola, sono io.» Aveva detto Nate col suo miglior tono di voce basso e...