Capitolo 20Due macchine disposte in fila indiana viaggiavano per le strade di Londra. Benché fosse ormai l'una di notte, c'era comunque un po' di traffico, che faceva disperare Nathan, che detestava star dietro a qualcuno.
Quando raggiunsero l'appartamento di Nate era già notte fonda e nessuno degli altri abitanti della palazzina era ancora sveglio.
Dunque, Nathan fece strada ai ragazzi, portandoli nel suo appartamento al primo piano. Era abbastanza piccolo, ma Nathan viveva da solo e prima che lui e Carol si lasciassero quello era come il loro nido d'amore. L'ingresso era piccolo, disordinato come al solito con le scarpe spaiate a terra e il comò vicino allo specchio pieno di chiavi, fogli e pacchetti di sigarette.
Nate se ne stava in silenzio, mentre Anastasia faceva vagare i suoi occhi verdastri spaventati su ogni punto della stanza. Incuriositi, anche i ragazzi americani guardavano quello spazio angusto e buio. Al contrario, Carol si sentiva a proprio agio in quella casa tanto da accendere la luce del salotto quando Nate se ne dimenticò -non era affatto un buon padrone di casa.
«Vuoi fare una doccia calda?» Chiese gentilmente Alex ad Anastasia, la quale ci pensò qualche secondo prima di annuire.
Alex le rivolse un sorriso dolce mentre indicava una porta sulla sinistra. «Quello è il bagno, intanto cerchiamo qualcosa di caldo e pulito da farti mettere.» Sembrava fatto per parlare con così tanta delicatezza, emanava familiarità.
Anastasia annuì. Taylor si diresse subito nella piccola cucina ad angolo che si trovava in quel salotto piccolo, ma ben studiato in cui c'era un bel divano grande, due poltroncine, un tavolo basso di legno scuro con sopra un posacenere pieno zeppo di sigarette consumate e un telecomando per la piccola televisione, la quale stava appoggiata poco più in là su una cassettiera scura. Nonostante ci fosse una grande finestra che dava su un piccolo terrazzino, la stanza sembrava essere cupa, forse anche a causa delle luci soffuse.
Mentre Taylor tirava fuori da una mensola una bottiglia di vodka e dei bicchieri, Nathan si accese una sigaretta. «Dovrebbero esserci dei tuoi vestiti vecchi, qui.» Disse Nate spezzando il silenzio, rivolgendosi a Carol, la quale si era seduta sul divano e si massaggiava nervosamente il collo.
«Potremmo darle quelli per ora.» Suggerì, ma oramai una strana tensione era calata nella stanza.
Edward e Mike si sentivano come pesci fuori d'acqua e quell'ultima battuta uscita dalle labbra screpolate di Nathan era entrata pesantemente nel cuore di Mike, che fissava Carol con una certa intensità. Era solo una malsana gelosia?
Aveva ormai capito che fra lei e Nathan Rose c'era stato qualcosa di forte, qualcosa che non sarebbe di certo riuscito a spezzare in tempi brevi e che forse non avrebbe spezzato mai. Inoltre, con tutta quella storia della sorella scomparsa, Carol aveva bisogno di Nate al suo fianco.
Mike si sarebbe sentito uno stronzo a privargliene.
«Sedetevi pure.» Disse loro Alex indicando con la testa le poltrone, dopodiché Taylor passò a ciascuno di loro un bicchiere di vodka.
Di tutti, era la più sconvolta.
Carol guardò Nathan fumare guardando fuori dalla finestra. Era una visione mistica, benché lo avesse visto in quella posizione un'infinità di volte prima di allora. Si alzò senza dire niente e raggiunse rapidamente la piccola stanza di Nathan, dove c'era spazio solo per un letto matrimoniale, un piccolo comodino pieno di libri vecchi, un comò poco distante e una poltroncina, situata proprio sotto alla finestra che dava sul giardino condominiale.
Aprì il primo cassetto del comò e vi trovò la solita busta gialla contenente dei soldi e con su scritto il nome di 'Nathan Rose', dopodiché scavò fra i boxer di Nate fino a quando non trovò la sua banchiera intima: un reggiseno bianco e delle mutande di pizzo dello stesso colore. Non era il massimo da dare a quella ragazza, ma avrebbero pensato al suo vestiario più avanti.
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Isabelle e Carol
Romance[COMPLETA] Il terrore che provava Nate lo aveva completamente congelato. Sentì gli occhi pizzicargli e il naso pungergli. Dio, non era quello il momento per piangere. «Carol, piccola, sono io.» Aveva detto Nate col suo miglior tono di voce basso e...