Capitolo 27

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Capitolo 27

Octavia riprese a parlare come se non avesse fatto quello che aveva appena fatto, mentre dentro Nathan montava una rabbia che non provava da tanto.

I suoi occhi scuri erano tendenti al nero, le nocche delle sue mani quasi bianche da quanto le stava stringendo. Guardava Octavia con disprezzo sia per quello che aveva portato avanti orgogliosamente per circa vent'anni sia per quello che aveva fatto a Isabelle e a Carol.

Non riusciva a tollerare che una persona vicina a loro, così vicina da far parte della famiglia, avesse a che fare con tutta quella faccenda di Isabelle.

Nathan si chiese se anche la madre di Taylor fosse coinvolta in quella storia, non avrebbe tardato a crederci visti i loro precedenti: i signori Monroe si amavano molto e la madre di Taylor era sempre stata legata a quella che ora si faceva chiamare Octavia, avrebbe potuto aiutarla anche vista la sua pozione di spicco nel corpo di polizia londinese.

Nathan guardò Taylor, le guance arrossate, gli occhi gonfi, le ciglia ancora bagnate e i polsi doloranti a causa delle manette di metallo che la legavano al muro. Sperò che non fosse così; Taylor non avrebbe sopportato di perdere entrambi i genitori in quel modo.

«Dunque?» Riprese a parlare Octavia con una nota beffarda nella voce. «Non penso ci sia molto da dire, ognuno fa quello che può nella vita, dico bene, Nathan?» Gli occhi scuri di Octavia guardarono con disprezzo quel ragazzo che per tante volte era stato a casa di Taylor in compagnia delle gemelle Lovelace e di Alex Mitchell.

Carol guardava Nathan con preoccupazione, già sapendo dove volesse andare a parare Octavia.

Nathan rimase impassibile, ma Carol lo conosceva bene. Ad attirare la sua attenzione fu Anastasia che con una impercettibile mossa del capo le fece cenno di voltarsi. Tuttavia, Carol non fu così avventata da fare quanto chiesto in maniera impulsiva.

«Anche tuo padre non è proprio apposto con la legge, quanti anni deve stare ancora in carcere?» Nathan contrasse i muscoli della mascella, ma non rispose a quella provocazione. «Ognuno ha i propri mezzi per sopravvivere.»

Per distogliere l'attenzione di Octavia da quel ragazzo e quindi da Carol che gli stava così vicino, Anastasia parlò, seppur con voce tremante. «Il rapimento e la compravendita di ragazzine minorenni comporta una serie infinita di reati, se tu finissi in carcere, non ne usciresti più.»

Carol capì subito il tentativo di distrarre Octavia, così ne approfittò per guardare dove Anastasia le aveva fatto cenno poco prima. Dalla porta aperta della stanza dove erano stati intrappolati come bestie si vedeva un grande corridoio, ben arredato e sistemato, con le luci delle candele come unica illuminazione. Carol notò subito una figura piccola, magra e ben curata.

Isabelle.

I suoi occhi si riempirono di lacrime, ma non era il momento di essere sentimentale quello. Anche la sorella la vide. I loro occhi, identici come sempre, si incontrarono. Fu subito chiaro, sul viso magro e scavato di Isabelle, il suo sollievo e la sua felicità nel rivedere la sorella.

Tuttavia, quel momento durò un secondo perché l'attimo dopo Isabelle le mimò di stare in silenzio, portandosi il dito indice sulla bocca. Carol voleva annuire, ma sapeva che un qualsiasi tipo di movimento avrebbe potuto insospettire Octavia, che stava sì parlando con Anastasia dall'altro lato della stanza, in prossimità delle parete opposta alla sua, ma non poteva rischiare di farle scoprire.

«Appena le ragazze saranno partite per raggiungere i loro nuovi ruoli in questa malata e contorta società, mi occuperò di voi, ma ora non abbiamo tempo da perdere.» Disse Octavia osservando i volti di tutti e sette i suoi ostaggi. «Ma prima, tu vieni con me!» Prese i polsi di Anastasia, le liberò dai due manici di ferro che la tenevano legata alla parete e la trascinò di peso indietro di qualche passo.

Isabelle e CarolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora