Capitolo 26

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Capitolo 26

Dopo lo stupore iniziale, non ci fu tempo per formulare nessun'altra domanda che gli uomini alle spalle di Octavia avevano preso i sette ragazzi e li avevano portati di peso in una delle stanze all'interno dell'hotel in rovina.

Al contrario di quanto l'esterno facesse trasparire, gli interni erano puliti, in ordine e non sembravano affatto disabitati. Era persino presente una buona illuminazione grazie a candele e torce elettriche. Il contrasto fra interno ed esterno era abissale, questo pensiero scivolò nella mente di molti e di certo era in netta divergenza con quanto raccontato da Anastasia.

Possibile che avesse mentito? Ma a quale scopo?

Alex guardò la ragazza dai lunghi capelli rossi, la quale stava seduta a terra con le braccia legate al muro come tutti loro.

Che senso avrebbe avuto mentire?

Alex era l'unico che non prestava attenzione ad Octavia, l'unico che non voleva sapere cosa avesse da dire. I suoi occhi erano pieni di Anastasia Anderson.

Al contrario, Taylor la fissava con gli occhi pieni di lacrime mentre i polsi le dolevano a causa dei ferri duri che glieli circondavano. «Cosa sta succedendo?» Chiedeva a gran voce, non riusciva a credere che di fronte a lei ci fosse Octavia, la donna che un tempo era stata suo padre e alla quale voleva un bene genuino. «Che ci fai qui? Non eri in America?» La sua voce uscì strozzata dalle lacrime, incredula e delusa.

Edward guardò la scena davanti a sé, capendo di aver fatto un bel casino: aveva accusato Taylor di essere coinvolta, di aver omesso un particolare importante, quando invece lei era una vittima tanto quando loro, indubbiamente di più.

Mike comprendeva bene lo stato d'animo del fratello, ma gli mimò di star zitto, di mantenere un profilo basso; ormai non avrebbe più avuto senso ribattere, lo avrebbe messo solo nei casini.

Nella stanza in cui erano intrappolati i ragazzi c'era poca luce elettrica, ma la stanza era ben illuminata dai fasci della luna che attraversavano la finestra senza alcun ostacolo. Il pavimento di mattonelle marroni era sporco, non aveva segni, però, di cedimento o decadimento, al contrario delle pareti dove l'intonaco cadeva a pezzi letteralmente. Nella stanza era presente solo un vecchio comò di legno dipinto di un beige chiaro.

Quella stanza doveva essere inutile ai fini della permanenza delle ragazze.

Tuttavia, lungo le pareti erano disposti più o meno lontani dei ganci di metallo, alcuni ramati a causa del tempo, altri di un splendente grigio. Nessuno dei ragazzi volle sapere a cosa servissero quei ganci, inorridirono solo al pensiero, ma lo capirono bene dopo poco.

Infatti, gli uomini vestiti in nero, dall'aspetto poco raccomandabile e il corpo pieno di cicatrici presero i polsi di ciascuno dei sette ragazzi e li rinchiusero in quei ganci infernali, alcuni troppo stretti per loro tanto da provarne lividi dopo poco. La porta era assente, esisteva solo la sagoma nel muro che cadeva a pezzi. Da lì, si vedeva il corridoio illuminato da delle candele appese al muro come se fossero in un film dell'Ottocento, un film dell'orrore.

Nel lungo corridoio, che concludeva con delle scale, c'erano diverse porte, tutte chiuse ed in arcate in alcuni punti a causa dell'umidità che era entrata nel legno. Carol si chiese se in una di quelle stanze ci fosse anche sua sorella.

Octavia fissava i ragazzi di fronte a lei come fossero delle prede, sebbene fossero incatenati per i polsi al muro. Taylor non riconobbe quello sguardo negli occhi di quello che un tempo era suo padre.

Anche la sua voce era diversa, più roca del solito.

«Ma chi abbiamo qui.» Mormorò fissando Carol, la quale aveva gli occhi fissi a terra. Digrignò i denti quando Octavia le allontanò dalla tempia una ciocca di capelli biondi.

Isabelle e CarolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora