«Come sta Josie?», chiese Andrea mentre Charles muoveva avanti ed indietro la testa, circondata dall'elastico per gli esercizi del collo. Quella mattina avevano iniziato la seduta di allenamento, scambiando poche parole su quell'argomento.
Andrea prima di essere il suo personal trainer e fisioterapista era un amico, ma in quel preciso istante non sapeva proprio come affrontare il discorso con il ragazzo.
Conosceva bene Charles e i molti lati del suo carattere, per questo poteva intuire facilmente il suo stato d'animo: stava soffrendo.
Per qualche assurdo mistero della vita, ogni volta che la felicità sembrava sfiorare il ragazzo, tutte le forze oscure esistenti in natura si mettevano d'accordo per strappargliela via, eppure lui non aveva
paura.
Impavido era ancora lì, pronto a lottare, deciso a rincorrere la sua felicità ancora una volta.
«Sta bene.», respirò affannoso concentrandosi sulla giusta contrazione del suo collo, «I mal di testa stanno diminuendo e non sembra essere più tanto stanca come i primi giorni dopo il coma, perciò è positivo.»
«Andrà sempre meglio, vedrai. Il corpo ha i suoi tempi per espellere i farmaci, ma poi torna a pieno ritmo.», confermò Andrea professionalmente.
«Già», Charles si limitò ad annuire alla sua spiegazione senza dire altro.
Era vero, Josie stava riacquistando il pieno controllo del suo corpo, era passata una settimana da quando era stata dimessa dall'ospedale e, nonostante il parere contrario di sua sorella, era tornata al lavoro.
Diceva di sentirsi bene e che voleva ricominciare il prima possibile la sua vita, aveva già perso tanto di se stessa.
Charles la capiva ed era felice di vederla energica e sorridente, ma il
cuore del ragazzo continuava ad essere avvolto da un velo di tristezza.
Tutti i giorni passava allo CHERIE per trascorrere del tempo con lei, ogni volta veniva accolto da un dolce e caloroso sorriso, lui le raccontava le sue giornate e lei lo ascoltava in silenzio guardandolo attentamente.
La vedeva osservare minuziosamente il suo viso, incatenare i dolci occhi nocciola ai suoi, lo sguardo spesso le cadeva sulle sue labbra e quando lui faceva il consueto gesto di inumidirle con la lingua aveva come l'impressione che lei arrossisse un po'.
Gli piaceva essere guardato da lei e si scoprì sorpreso di come il suo sguardo attento lo facesse sentire emozionato.
Non ne era completamente sicuro, ma si sentiva arrossire anche lui. Era ovviamente già stato guardato da Josie, ma per motivi a lui sconosciuti tutto ora sembrava diverso. Era come provare sensazioni nuove, lei lo guardava con una luce diversa negli occhi, facendolo sentire un adolescente alle prime armi con il cuore
martellante nel petto.
A volte era smanioso, impaziente, aveva voglia di baciarla, sentiva il bisogno di toccarla, accarezzarla, gli sarebbe bastato anche solo sfiorarla, ma sapeva che non poteva.
Non riusciva ad immaginare come lei avrebbe reagito al suo tocco, se anche lei lo desiderava o se forse neanche ci pensava.
Era capitato di sfiorarsi un pomeriggio.
Accidentalmente, ma era successo.
Erano nel parco vicino allo CHERIE, dove si trovava la campana gigante, stavano passeggiando quando all'improvviso un gatto era saltato a terra dal ramo di un albero, approdando bruscamente davanti alle gambe di Josie.
Lei si era ritratta d'istinto ed era finita con la schiena contro al petto di lui, le aveva avvolto la vita con le braccia per sorreggerla, un gesto semplice, naturale.
Le mani di lei si erano aggrappate a quelle di lui, fu solo un breve istante prima che si allontanasse scusandosi imbarazzata, ma a Charles era bastato per sentire tra i suoi capelli il familiare profumo di vaniglia e farlo tremare.
Era successo un'unica volta, poi più.
Si bloccò di scatto dal fare i suoi esercizi, buttò fuori un gran respiro e colpì con entrambe le mani la superficie della panca.
«Sono un egoista di merda!», esclamò sorprendendo Andrea col suo impeto improvviso.
«Perché lo saresti?»
«Perché lei sta bene e questa è l'unica cosa che conta, ma io vorrei... vorrei che lei ri...»
«Che ricordasse.», terminò per lui Andrea.
«Sì.», rispose amareggiato Charles.
«Non sei egoista. Sei umano. È quello che vorrebbero tutti e credo lo vorrebbe anche lei.»
«Mi manca poterla toccare.», confessò a voce bassa, intimidito da ciò che poteva pensare Andrea di quell'affermazione.
Non erano i tipici discorsi da uomo a uomo, ma se il suo amico fosse stato infastidito da quello che aveva detto non lo diede a vedere, anzi sorrise alle sue parole e gli chiese: «Siete tornati alla fase
amici?»
«Nemmeno! Quando fingevamo di essere amici non avevo paura di abbracciarla.», rispose sbuffando e nascondendosi il viso con le mani.
«Perché diavolo hai paura di abbracciarla?!», esclamò Andrea contrariato.
«Perché?!», ribatté lui alzando le mani in aria con un uno sguardo ovvio negli occhi, «Non ricorda di noi! Di noi insieme in quel modo! Non posso abbracciarla o toccarla come se tutto fosse uguale a prima, so che per lei non è così... Andiamo, Andrea, sono uno sconosciuto ai suoi occhi! Quando passiamo del tempo insieme è timida nei miei confronti e mi guarda come...»
«Come...?», lo spinse a continuare il personal trainer con le mani appoggiate ai fianchi e la fronte corrucciata, curioso di sapere cosa Charles intendesse.
Il ragazzo sorrise tristemente scuotendo la testa e guardando verso il basso.
«Come se mi vedesse per la prima volta ogni giorno... mi osserva, arrossisce... non so, è strano...», fece una pausa deglutendo e
sorridendo ancora aggiunse: «...uno strano piacevole intendo, certo, ma strano.»
Andrea rise afferrando uno dei dischi da nove chili appoggiati al lato dei suoi piedi, si avviò vicino alla panca e infilò il disco nell'asta sopra di essa, tutto sotto lo sguardo perplesso del monegasco, confuso da quel risolino che sembrava nascondere una coscienziosa verità.
«Perché ridi?», gli chiese Charles.
«Perché le piaci, possibile che non te ne accorgi?»
Il ragazzo continuò a fissarlo senza dire niente, due linee di confusione si formarono sopra il suo naso tra gli occhi, non capiva esattamente cosa Andrea intendesse con quell'affermazione sul fatto che lui le piacesse.
L'uomo sospirò alzando gli occhi al cielo.
«Devo proprio spiegarti tutto! Hai detto che ti guarda, sorride, arrossisce ed è timida... sono tutti segnali, le piaci! Tu non stai guardando la situazione nel giusto modo! Sei focalizzato sulla vostra
storia prima dell'incidente, e lo capisco, ti manca, lo sarei anch'io. Ma la vostra situazione ora non è come due mesi fa! Per Josie sei solo un ragazzo che ha conosciuto da un paio di settimane che sembra essere interessato a lei e...»
«Io non sono solo interessato a lei! Io sono innamorato di lei, Andre! Cosa stai cercando di dire?! Io non capisco dove vuoi arrivare!», esclamò Charles battendo i palmi sulle gambe nude, palesemente confuso dal suo discorso.
«Sì, ma lei questo non lo sa! Ti sto dicendo come la situazione appare ai suoi occhi! Tu per lei sei un ragazzo che le gironzola intorno e le piace, perché ti guarda, arrossisce e... magari vorrebbe qualcosa di più, ma non sa cosa senti tu... Insomma, Charles... prova a metterti nei suoi panni, si sveglia dal coma e le dicono che un perfetto estraneo è il suo ragazzo, ma lei non sa realmente cosa tu
provi, cosa senti per lei. Non può vivere una relazione con te solo perché qualcuno le ha raccontato che sei innamorato di lei! Glielo devi dimostrare! Se hai voglia di abbracciarla io credo che tu lo debba fare! Una carezza non può complicare nulla, può solo migliorare ciò che c'è tra voi.», spiegò Andrea tutto d'un fiato, sperando di aprire gli occhi al ragazzo e farlo riflettere.
Il monegasco sconsolato alzò gli occhi su di lui.
«Forse ho solo paura.», confessò.
«Di cosa?», gli domandò sconcertato.
Charles alzò le spalle guardando lontano.
«Non so... Di scoprire che non mi vuole? Che non le piacciono più le mie carezze?»
«Se non ci provi nemmeno non lo saprai mai.»
«Lo so, sono patetico...», sospirò il ragazzo allo sguardo provato del suo amico.
«Non sei patetico, Charles, sei spaventato ed è normale. Torna all'origine, prova a viverlo di nuovo insieme a lei come se anche per te fosse la prima volta, e vedi che succede.»
Non aveva spostato lo sguardo dal suo amico nemmeno un secondo mentre aveva parlato.
Tutto all'improvviso gli sembrò più chiaro.
«Hai ragione, devo viverlo con lei! Devo fare tutto di nuovo, anzi lo devo fare meglio!», esclamò puntando un dito verso il suo allenatore, «Devo corteggiarla!»
«Wow, campione, ci sei arrivato subito!», lo prese in giro Andrea.
Un sorriso amaro apparve sulle labbra di Charles di fronte all'ironia dell'uomo, si portò una mano alla faccia emettendo un verso cupo di frustrazione.
«Lo so sembro un deficiente, ma è tutto così strano... e non lo so... ora che me lo dici mi sembra tutto ovvio, ma prima non lo era e...», concluse lasciando sospesi nell'aria i suoi pensieri.
«È normale, ci sei dentro. Non riesci a vedere la cosa in modo chiaro.», lo rassicurò l'amico.
«Quindi? Che faccio, Andre?», alzò le spalle chiedendo aiuto, «Vado dritto al punto e le dico che mi piace...? No! È troppo diretto... Josie merita qualcosa di più delicato...», sospirò riflettendo.
«Dimostrale quanto è importante per te, io inizierei da questo. I gesti sono più importanti delle parole. Falle capire che ti piace.
Portala a fare qualcosa di speciale...», incurvò le labbra mentre rifletteva, «Cosa le piace fare? Che posti le piacciono?»
Charles lo guardò pensieroso, frugò tra i suoi ricordi i momenti passati con lei, i posti dove erano stati insieme, le cose che a Josie erano piaciute.
Amava andare al Belvedere, adorava passeggiare, bere caffè.
Era sicuro di averle rubato un pezzetto di cuore quella mattina in
ospedale quando le aveva portato il liquido nero fumante nel bicchiere d'asporto, se ne era accorto da come lei lo aveva guardato arricciando un po' il suo labbro e nascondendo un sorriso.
Sì, amava decisamente il caffè.
C'erano molte cose che a lei piaceva fare, ma non voleva ripetersi, anche se per lei sarebbe stata come fosse la prima volta, voleva stupirla con qualcosa che non avevano mai fatto.
La soluzione si palesò nella sua testa in un lampo, gli occhi gli presero a brillare e un sorriso gli invase le labbra.
Afferrò l'amico per le braccia scuotendolo, «So cosa fare! Sei un grande, Andre! Sei un grande!!!»
Andrea scosse la testa sbuffando un sorriso.
«Prego, Charles!»
«Forza, finiamo l'allenamento, ho qualcosa da organizzare!», esclamò energico andando verso la panca pronto per una serie di addominali.
L'italiano lo seguì con lo sguardo, continuando a sorridere.
In meno di un anno il ragazzo aveva fatto un grande cambiamento, non solo fisico, ma anche emotivo.
Era davvero diventato un uomo.
*****
Aveva puntato la sveglia alle quattro in punto per riuscire a far tutto ed essere allo CHERIE in tempo per prendere Josie con sé. Parcheggiò l'auto sulla strada un po' distante dal portico delle ragazze Moreno, non voleva farsi notare da lei ancor prima di entrare nel locale.
Quella mattina Josie non era di turno per l'apertura, ma dopo aver finito la sessione di allenamento con Andrea aveva chiamato subito
Maggie per parlarle dell'idea che aveva avuto, chiedendole di aiutarlo a realizzarla.
La maggiore delle sorelle lo rassicurò, dicendo che le avrebbe fatto credere di dover scambiare il turno con lei, così che lui potesse trovarla sveglia presto al locale.
L'orologio segnava appena le sei della mattina quando Charles entrò dal retro in cucina, Agata come di consueto era ai fornelli, intenta a
preparare qualcosa di paradisiaco, stando al buon odore che il monegasco percepì nell'aria.
«Buongiorno.», bisbigliò il ragazzo per non farsi sentire, non sapeva se lei fosse vicina o nell'altra sala, ma ritenne fosse meglio essere prudente e non rovinare la sorpresa che aveva pianificato. «Buongiorno, raggio di sole!», lo salutò la donna sorridendo e puntando gli occhi su di lui.
Lo guardò in ogni minimo particolare e non poté far a meno di notare che era davvero bello nella sua tenuta casual: jeans, maglioncino nero e piumino bianco.
Gli risaltavano gli occhi più del solito.
«Sei puntualissimo!»
Il ragazzo riempì la cucina con una dolce risata.
«Ho puntato la sveglia prestissimo per far tutto. Avevo chiesto a Maggie se potevi prep...»
«Certo! È prontissimo!!!», Agata si allontanò dai fornelli, si avvicinò all'armadietto riservato ai suoi effetti personali e tirò fuori un cesto
di vimini.
Lo appoggiò sul tavolo proprio davanti al monegasco.
«Troverai tutto qui dentro.», spiegò battendo delicatamente sul manico del cestino con il palmo della mano, «Ti ho messo tovaglioli, forchette e cucchiai... c'è tutto... ah! E oltre alla torta di mele ho aggiunto dei cupcakes al cioccolato per te.», concluse la donna sorridendo.
Charles arrossì un po' nell'apprendere che Agata aveva memorizzato bene il suo debole per il cioccolato, ma aveva il timore che se avesse continuato a viziarlo con tutti quei dolci avrebbe rischiato di non entrare più in una monoposto di Formula 1. Avrebbe dovuto farglielo presente, ma ogni volta che il suo sguardo cadeva sugli occhi buoni della donna non poteva far altro che ringraziarla e sorridere.
«Grazie, Agata, non dovevi, la torta di mele andava più che bene! È per Josie questa colazione e il suo dolce preferito era perfetto anche per me.»
«Shh! Vai vai! Sennò rischiate di fare tardi, il sole non aspetta.» Sapendo quanto Josie amasse le prime ore del mattino e il sorgere del sole, aveva deciso di portarla a vedere l'alba da un posto dove non l'aveva mai vista prima.
«Dov'è lei?», chiese.
«È in sala, credo stia preparando i tavoli. Non sospetta nulla.», lo rassicurò la donna sorridendo, poi scuotendosi come folgorata da un pensiero che aveva appena ricordato esclamò: «Uhh! Aspetta! Stavo dimenticando la cosa più importante!!»
«Cosa?», chiese il ragazzo fermandosi poco prima di spingere una delle due porte a soffietto che separavano la sala dalla cucina.
«Il caffè!», disse Agata appoggiando il termos sul tavolo di fianco al cestino.
«Sì! Quello è decisamente importante!», considerò con un sorriso sghembo.
Aprì le porte e con passo felpato si addentrò nella grande sala. Josie era di spalle, stava piegando meticolosamente delle tovaglie posizionandole una sopra all'altra.
Passo dopo passo, lentamente, si avvicinò a lei fino ad arrivare a pochi metri da lei, la ragazza, avendo la percezione di non essere più sola, alzò la testa e si girò nella sua direzione.
«Ehi...», pronunciò sorpresa allargando i suoi occhioni nocciola, «Che ci fai qui a quest'ora?»
«Ehi...», le fece eco lui sorridendole dolcemente, «Sono venuto a prenderti, vorrei portarti in un posto.», le disse senza tanti giri di parole.
La ragazza continuò a fissarlo mentre sulle sue labbra si formava un piccolo sorriso confuso.
«Co... come? In che senso?», chiese ancora continuando a reggere tra le mani una delle tovaglie che stava piegando.
Charles fece un paio di passi riducendo la distanza tra loro, le sfilò la stoffa dalle mani e la appoggiò sul tavolo, lentamente le prese una mano.
«Nel senso che vorrei che venissi con me in un posto.», le sussurrò con un sorriso, mostrandole le adorabili fossette sulle guance.
«Ora?», cantilenò incantata dal modo in cui la guardava.
«Mmm...», mugolò Charles dondolando la testa in assenso.
Era la prima volta che Josie lo percepiva da così vicino ed era la prima volta che la prendeva per mano senza che fosse una casualità improvvisa come era successo nel parco.
Sentì il suo cuore accelerare e le guance avvampare.
Charles odorava di buono, il suo profumo di muschio le invase le
narici, ma non era affatto esagerato, era perfetto, quel tanto che bastava da renderlo attraente.
Sorpresa da quel nuovo contatto non si ribellò quando lui delicatamente la sospinse verso la cucina, solo poco prima di attraversare le porte a soffietto disse: «Aspetta! Io non posso... non... non posso lasciare Agata da sola... io...»
«Tranquilla, mi sono messo d'accordo con Maggie.», le spiegò lui, «Le ho chiesto un modo per farti alzare presto anche se non eri di turno e lei ha fatto in modo che fossi sveglia a quest'ora...», completò facendo spallucce.
«Ma... Maggie mi ha chiesto di scambiarci il turno... non capisco...», affermò confusa facendo scivolare via la mano da quella di lui, pentendosene immediatamente dopo.
Aveva scoperto che quel contatto le piaceva.
«Non cambieremo il turno!», esclamò Maggie scesa alla tavola calda subito dopo aver ricevuto la chiamata da parte di Agata, «Andrai con Charles stamattina ed io farò il mio turno come da programma.
Perciò vai!»
«Sempre se ti va...», precisò il monegasco divenuto improvvisamente timoroso di ricevere un suo rifiuto, «Non sei costretta, insomma... non devi venire per forza, se non te la senti...» Josie gli riservò uno sguardo serio e profondo che durò alcuni brevi istanti che a Charles parvero eterni, convinto che di lì a poco sarebbe arrivato il suo diniego, ma la piccola Moreno dopo aver lanciato un veloce sguardo alla sorella tornò a guardarlo di nuovo e timidamente rispose: «Mi va.»
«Ti va?», si assicurò lui incredulo.
«Sì, mi va.», sospirò in un sorriso.
*****
Il tragitto in macchina fu breve, Josie non parlò molto, la vicinanza con lui nell'abitacolo della macchina la rendeva più timida e nervosa di quanto già non fosse.
Dalla radio accesa arrivavano in sottofondo le note di "Love me like you do" a creare una particolare atmosfera, come se anche la musica volesse sussurrarle un messaggio segreto.
Charles le faceva quell'effetto dal primo momento che lo aveva visto
in ospedale dopo il risveglio, bastava essere nella stessa stanza perché il suo cuore iniziasse a rimbombarle feroce nel petto senza riuscire a controllarlo, il fiato le diventava corto e non riusciva a staccare gli occhi dal suo viso.
Probabilmente lui se ne era accorto perché spesso quando i loro sguardi si incontravano lei sentiva il viso colorarsi dal calore.
Non riusciva a spiegare come era possibile che un ragazzo che non conosceva affatto potesse farle quell'effetto.
Sua sorella non mancava mai dal dirle che aveva trascorso quasi un anno con lui e che ne era profondamente innamorata, ma Josie, per quanto si sforzasse, non ricordava nemmeno un istante con Charles. Più volte al giorno si sedeva a terra nella sua camera, a gambe incrociate, schiena al lato del letto e fra le mani il suo diario.
Leggeva e rileggeva ogni pagina che parlava di lui, il primo momento che lo aveva visto, la prima volta che l'aveva cercata allo CHERIE... tutto ciò che li aveva ostacolati prima di amarsi come desideravano. Ma ogni frase che leggeva sembrava parlasse di qualcun altro, come
se tra le mani avesse un bel romanzo, portandola il più delle volte a chiudere innervosita quelle pagine, arrabbiata con la vita per averle tolto qualcosa di così speciale.
Forse erano le parole del suo diario a farla emozionare così, il pensiero che un tempo poco lontano lui l'aveva toccata, baciata e amata la faceva arrossire e spesso tremare.
Desiderava che la toccasse di nuovo? Non aveva ancora una risposta a quella domanda.
Nei giorni dopo il suo risveglio, durante quelle uniche volte che la loro pelle era entrata a contatto, si era sentita bruciare, ma come per tutte le ustioni si era ritratta, forse troppo impreparata a quell'intensità.
Non sapeva spiegarselo, ma nonostante non conoscesse nulla di Charles quando era con lui si sentiva a casa, guardare il suo viso era facile e naturale come respirare.
Dicono che la memoria sia nella zona frontale del cranio, ma ogni volta che Josie posava gli occhi sul ragazzo di fianco a lei fremeva e non poteva far a meno di pensare che la memoria, forse, era anche un po' nel cuore.
Charles si voltò a guardarla sentendosi osservato e appena i loro sguardi si intrecciarono lei imbarazzata abbassò gli occhi sulle sue mani in grembo.
«Siamo quasi arrivati.», le rivelò lui sorridendo.
«Ok.», rispose con un filo di voce lasciando scivolare i suoi occhi al panorama fuori dal finestrino.
«Non è una sorpresa, Josie, stai tranquilla.», sorrise sghembo lui, sospettando che il timore della ragazza fosse l'avvento di qualcosa di inaspettato, «È qualcosa che so per certo che ti piacerà.»
Josie tornò a guardarlo, sulle labbra il fantasma di un sorriso.
«È una cosa che abbiamo già fatto?», chiese ingenuamente facendolo sorridere.
«No, non l'abbiamo mai fatto, ma so che ti piace. Fidati di me.», le sussurrò fermando la macchina nel parcheggio del molo, «Siamo arrivati!»
«Siamo al molo?!», constatò la ragazza, guardando intorno a lei.
Il buio della notte pian piano stava scemando per lasciare posto ai
colori di un nuovo mattino.
«Esatto.», disse scendendo dall'auto e avviandosi subito da lei per aprirle la portiera, ma Josie, impaziente come sempre, era già scesa, lo fece sorridere. Non era cambiata per nulla.
«Perché sorridi?», chiese lei incuriosita.
«Niente...», le rispose aprendo la portiera posteriore e prelevando il cesto della loro colazione, mentre provava a nascondere il sorriso che ancora indugiava sulle sue labbra.
«Charles! Hai detto che non è una sorpresa!», lo incalzò sgranando gli occhi e sorridendo a sua volta nervosamente.
«E non lo è!», le assicurò non riuscendo più a trattenere la risata. «Ma stai ridendo... ciò vuol dire che stai giocando con me!», si lamentò sconsolata continuando però a sorridere.
Non amava quando qualcuno le nascondeva le cose, ma non poteva negare che le piacesse quella situazione in quel momento.
E se lui continuava a sorriderle in quel modo poteva anche buttarla nell'acqua fredda del mare di gennaio e lei non si sarebbe affatto lamentata.
«No! Assolutamente! Ok... va bene!», appoggiò a terra il cesto di vimini e la guardò, «Sorridevo perché sei impaziente, curiosa e fai
tante domande quando sei nervosa e...»
«È perché ciò che non so mi crea ansia e...»
«...e mi piace tanto questo di te.», le disse tutto d'un fiato bloccandola dal parlare e concludendo lui il suo discorso.
Si guardarono, nessuno dei due spostò il proprio sguardo dall'altro, si bearono per pochi istanti del calore dei loro occhi finché Josie si schiarì la voce, «Lascia che ti aiuti.», sussurrò afferrando dalla sua mano il termos del caffè.
La punta delle dita di lei sfiorò la pelle di lui che indugiando un po' sulla sua mano non lasciò andare immediatamente la bottiglia in metallo.
Era così vicina, così bella.
Voleva baciarla.
Non lo fece però, le lasciò il termos e riprese il cesto da terra.
«Ok. Andiamo.», affermò avviandosi verso la banchina.
Josie avrebbe voluto fare altre mille domande, ma si morse la lingua e lo seguì, sorridendo mentre rimuginava su ciò che lui le aveva
appena detto e sull'intensità con cui l'aveva guardata.
Pochi metri dopo, Charles si fermò di fronte uno yacht, in evidenza la scritta "Monza" a poppa, «È tua?», chiese lei incantata a guardare la barca di fronte a loro.
«Sì.», sospirò lui con un sorriso triste, «Aspetta un secondo qui... porto questi dentro e arrivo.», continuò poi afferrandole di nuovo il termos e salendo sulla barca per sistemarli a bordo.
Tornò un istante dopo stendendo una mano verso di lei.
«Vieni, ti aiuto.»
Josie sorrise, afferrò la sua mano e salì al suo fianco, lui la condusse dolcemente verso i divanetti.
«Puoi sederti dove vuoi, io tolgo l'ancora e metto in moto.», le suggerì lasciando a malincuore scivolare via la sua mano e dirigendosi sul ponte di comando.
Aveva preso lo yacht da pochi giorni, lo aveva ordinato qualche mese prima e aveva spesso fantasticato con Josie sull'idea di passare qualche giornata estiva a bordo quando sarebbe stato pronto e la bella stagione l'avrebbe consentito.
La sua risata, quando le aveva detto che voleva chiamare la barca "Monza", gli risuonava ancora in testa.
Lo aveva preso in giro selvaggiamente dicendogli che i marinai alle
barche davano quasi sempre il nome di una donna, di un grande amore.
«Tu invece sei innamorato di un Gran Premio!», aveva constatato soffocando una risata e buttandogli sulla faccia il lenzuolo che li copriva appena, lui l'aveva afferrata per i fianchi stringendola a sé, «Non essere gelosa...», le aveva bisbigliato facendola ridere mentre se la tirava addosso, pelle contro pelle.
Uno dei tanti ricordi che lei non aveva più, sospirò al pensiero mentre aspettava che l'ancora si ritraesse.
Non era affatto la stagione per andare in mare: l'aria era gelida e le nuvole bianche che si vedevano in lontananza sulle montagne promettevano neve.
Ma non aveva importanza per lui.
Voleva portarla in un posto speciale, non si sarebbero allontanati troppo, giusto il necessario a trovare un po' di pace e di silenzio tra le onde del mare e con il sole nascente all'orizzonte.
«Hai freddo?», si premurò di chiederle stendendo meglio il plaid
sulle loro gambe.
Avevano fermato lo yacht poco distante dal molo, in lontananza potevano ancora vedere le altre barche, ma intorno a loro c'era solo la distesa blu che li cullava con il suo canto.
Si erano seduti su uno dei due divanetti e di fronte a loro Charles aveva imbandito il tavolo con tutto ciò che Agata aveva preparato. «No, sto bene.», gli sorrise lei infilando le mani fredde sotto la coperta.
«Credo che non ci manchi molto.», disse ad un tratto lui gettando un rapido sguardo al cielo e poi al suo orologio.
Josie seguì attentamente i suoi movimenti.
«Per cosa?», chiese ignara di cosa lui stesse aspettando.
«Ora vedrai...», le rispose puntando gli occhi dritti davanti a sé.
Poco dopo il viso del monegasco si illuminò in un sorriso.
«Questo...», le sussurrò indicando l'orizzonte.
Josie si voltò a guardare dove il suo dito puntava e restò immobile di fronte a ciò che vide.
All'orizzonte un puntino luminoso di un rosso aranciato brillante spuntò diffondendo la sua luce nell'immensità azzurrina del cielo, dando vita a timide sfumature violacee. Lentamente, ma con un'energia prorompente, il piccolo puntino crebbe, una pallina di
fuoco si innalzò dalla linea dell'infinito verso il cielo che inerme si arrendeva alla sua supremazia. Un'intensità di colori danzò tra le nuvole, essi si mescolarono, si abbracciarono, fecero l'amore tra loro dando vita ad una moltitudine di sfumature che riempirono d'emozione il cuore di Josie, i suoi occhi si colmarono di lacrime, ammaliati da quello spettacolo.
Charles restò in silenzio a guardarla, voleva assaporare tutto il suo stupore mentre osservava ciò che le piaceva di più al mondo: i colori della mattina.
Timida si asciugò una lacrima che le era scivolata lungo la guancia. «Lo sapevi...», sussurrò voltandosi verso i suoi occhi.
Charles le sorrise accennando dolcemente un sì con la testa, l'istante dopo lei si avvicinò lasciandogli un bacio sulla guancia, durò un battito di ciglia, il tempo di rendersene conto ed era già scivolata di nuovo al suo posto, tornando a guardare la sua alba, ma a Charles era bastato per fremere.
Con gli occhi illuminati da tutti i colori del sole, sorrise.
«Se fosse stata una sorpresa, mi sarebbe piaciuta tantissimo.», sussurrò mordendosi il labbro inferiore.
Charles andò su di giri a quella visione e fu costretto a guardare altrove per evitare di mandare all'aria tutti i buoni propositi e finire per baciarla finché il tramonto non avesse preso il posto dell'alba. «Da bambina era mio padre a portarmi a scuola. La sua officina era sulla strada. Spesso però capitava che lui andasse a lavorare molto presto, quando ancora il sole non era spuntato. Così mi ritrovavo ad aspettare con le gambe a penzoloni sul suo tavolo da lavoro e lo zaino in spalla, finché non era tempo di recarmi a scuola in tempo per il suono della campanella.», Josie rise al ricordo delle sue lamentele al padre, lo incolpava di svegliarla troppo presto per una bimba della sua età, ma Joseph si limitava a ridere e a farle il verso per prenderla in giro, «Da lì dentro non riuscivo a veder sorgere il
sole, ma restavo incantata dai colori che il cielo assumeva, non erano mai uguali e cambiavano a seconda delle stagioni e pensavo che avrei voluto vivere la mia vita così... piena di diverse sfumature di colore...», le parole le morirono in bocca mentre la luce dei suoi occhi si spegneva perdendosi nel mare.
Charles seguì la linea del suo profilo osservandola, mai come in quel momento avrebbe voluto stringerla, farle sentire che lui c'era.
Passò un attimo e lei si voltò verso di lui, sbuffando un'amara risata. «Sono così stupida... tu... tu mi troverai noiosa... ti avrò già raccontato questa storia.»
«Ti sbagli, non mi hai mai detto il motivo per cui ti piace tanto la mattina presto.», la rassicurò subito sorridendole.
Josie addolcì il suo sguardo, non sapeva se Charles le stesse dicendo la verità o se volesse solo essere gentile con lei, ma ciò di cui era sicura era di voler sapere qualcosa di lui, conoscerlo.
«Raccontami qualcosa di te...», lo pregò ad un tratto spiazzandolo. Charles rise nervoso.
«Qualcosa di me? Vediamo...», ci rifletté a lungo non sapendo esattamente cosa le sarebbe piaciuto sapere di lui, «Cosa vorresti sapere?»
La ragazza alzò le spalle guardandolo curiosa.
«Qualunque cosa tu voglia dirmi...»
Il monegasco rise guardando il mare.
«Sì... be'... sei molto d'aiuto!», bisbigliò facendola ridere.
«Mmm... vediamo... Il mio colore preferito è il rosso.», le confidò dopo una breve pausa.
Cominciò dalla cosa più semplice e banale del mondo: il colore preferito. Ma, in fondo, doveva pur partire dal principio, giusto?
«Mi piace!», rispose aspettando che lui continuasse.
Charles guardò i suoi occhi vivaci e terribilmente curiosi.
Quella mattina, sembrava una bimba a Natale in attesa di scoprire un regalo.
«Mi piace suonare il pianoforte.»
«Davvero?», esclamò lei sgranando gli occhioni e facendolo ridere. «Sì, davvero.»
Lei lo guardò arricciando un po' il naso.
«Scusa, era una cosa che già sapevo, vero? La mia euforia deve sembrarti imbarazzante.», farneticò esasperata.
«No, no, no! Non è così...», si apprestò a rassicurarla sorridendo e prendendole inaspettatamente la mano che sbucava dal plaid.
Non riuscì più a resistere, aveva bisogno di sentirla.
«La tua euforia è meravigliosa! Non scusarti mai per questo.», sussurrò facendosi serio, poi posò gli occhi sulle loro mani unite e delicatamente fece scivolare il pollice sulla pelle di lei, «Ascolta, lo so che sembra tutto così strano, ti hanno detto di noi, della nostra
storia, ma in realtà per te sono uno sconosciut...»
«Charles, mi dispiac...»
«Aspetta, ti prego... fammi finire o credo che non troverò più il coraggio di dirti queste parole.», la interruppe con un sorriso agitato.
«Scusa.», sospirò Josie facendo un cenno con la testa come a dirgli di continuare.
Dopo un gran respiro lui riprese: «È tutto nuovo per entrambi e non ho la più pallida idea di cosa fare, di come comportarmi... il più delle volte ho paura di sbagliare e di ferirti. Anche adesso sono terrorizzato di dire la cosa sbagliata...», deglutì e annegò gli occhi in quelli di lei che velati lo stavano fissando, «Ma di una cosa sono sicuro, Josie, hai colorato la mia vita e vorrei tu continuassi a farlo... se anche tu lo vuoi ovviamente.»
Josie restò inerme, travolta dalle sue parole.
Un subbuglio di emozioni e paure la attraversarono, era felice di ciò che lui le aveva rivelato e si ritrovò a desiderare che lo ripetesse di
nuovo, ma un pensiero ingombrante le occupò la mente: e se non fosse stata più la stessa Josie di cui lui stava parlando? L'avrebbe irrimediabilmente deluso.
Non riuscì a rispondere, continuava a fissarlo annichilita cercando la risposta da dargli nei suoi occhi, nelle sue labbra, nel suo viso, ma ciò che trovò fu solo lo sguardo di un ragazzo improvvisamente divenuto triste, pentito di ciò che aveva detto, che, schiudendo lentamente la bocca, balbettò: «Non... non devi rispondere... scusa, io non avrei...»
Frasi mortificate e sconnesse fluttuarono nell'aria e la mano di lui allentò la presa su quella di lei fino a rompere il contatto.
Non sentire più il suo tocco le scatenò il panico, allungò all'istante le dita riuscendo a riafferrare solo il mignolo di lui, ma tanto bastò per calmarla.
«Voglio!», esclamò lapidaria.
Charles tornò a guardarla studiando attentamente i suoi occhi, il suo viso era serio e Josie non era sicura che lui avesse capito bene cosa avesse appena detto, perciò lo ripetè di nuovo, lo spiegò più chiaramente: «Voglio passare del tempo con te. Voglio conoscerti... è tutto nuovo, ma... ma credo mi piaccia.», concluse mordendosi ancora una volta il labbro.
L'accenno di un sorriso si disegnò sulle labbra di lui.
«Anche a me... e non... non c'è fretta, faremo le cose con calma... avrai tutto il tempo di cui hai bisogno.», la rassicurò stringendole di nuovo la mano.
«Ok.», sospirò lei sorridendo mentre una lacrima solitaria scivolava lungo una guancia.
Lui alzò la sua mano libera dalla presa di lei e con il dorso l'asciugò. «Che dici, facciamo colazione?», suggerì mostrandole un sorriso. «Sì.», sospirò lei timidamente.
Il monegasco afferrò il termos e le versò il caffè bollente nella tazza. «Ah! C'è un'altra cosa che dovresti sapere di me...», affermò mentre le porgeva la tazza bollente, «Non bevo caffè.»
«Davvero?», domandò incredula facendolo ridere, mostrando esattamente la stessa reazione della prima volta che l'aveva saputo. «Sì.»
«E cosa bevi?», gli chiese come fosse cosa ovvia e scontata bere caffè, e quindi impensabile bere qualcosa di diverso.
«Signorina Moreno, ci sono altre bevande al mondo oltre al caffè!!!», la informò lui addentando una fetta di torta di mele e sbriciolandosi addosso.
Josie non rispose a quella provocazione, scoppiò solo a ridere vedendolo imbrattarsi come un bambino pasticcione.
Tornare indietro.
Riavvolgere il nastro.
Ripartire da zero.
Non sapevano cosa sarebbe accaduto, non avevano risposte alle loro domande, avevano entrambi imparato che la vita era la somma di ciò che il destino faceva capitare mentre si facevano progetti, non avevano certezze del domani, nessuna sicurezza di poter mantenere una promessa.
Avevano solo il presente, le loro emozioni e il conforto di poter sentire ancora sulla propria la pelle dell'altro, anche un minimo contatto era sufficiente a rassicurarli.
*****
«Josie! Andiamo! Non sei ancora pronta?!», urlò Maggie per tutto il
corridoio mentre si avvicinava alla camera della minore.
Afferrò la maniglia e con un colpo secco l'aprì.
«Allora?!», la riprese trovandola a terra di lato al letto immersa nella lettura del suo diario.
Non appena la più grande approdò davanti a lei, Josie si alzò da terra di scatto.
«Sono andata a letto con il pilota della McLaren?!», domandò sconvolta con gli occhi spalancati.
«Chi?», le chiese Maggie guardandola confusa.
«Sainz! Come chi?!», esclamò lei, sconcertata che la sorella nonostante frequentasse un pilota, non avesse ancora imparato nulla sulla Formula 1.
«Aaah! Carlos!», se ne uscì Maggie distrattamente mentre andava alla scrivania e tirava fuori dal cassetto le sue cartelle cliniche.
«Sì, l'hai fatto, ma eri già innamorata di Charles. Sono queste le cartelle del ricovero e della dimissione?», le domandò cambiando discorso, sventolando il raccoglitore di plastica azzurro tra le mani,
senza dare realmente importanza a ciò che sua sorella le stava dicendo.
Josie si avvicinò a lei, poggiò il diario sul suo comodino e sorpresa da quella rivelazione pretese di sapere: «Perché sono andata a letto con Carlos se ero innamorata di Charles? Lui... lui non voleva stare con me?»
«Cosa?! Nooo!»
Maggie, resasi conto del tono triste della più piccola, capì che aveva dato fiato alla bocca senza ragionare bene sulle parole.
A volte quasi dimenticava che per Josie era tutto nuovo e che ogni rivelazione potesse essere una sorpresa per la ragazza, ogni emozione, ogni sentimento e tutta la confusione che aveva provato in quell'anno dimenticato aveva portato dei cambiamenti in lei ed ora si ritrovava con un bagaglio di memorie a lei sconosciute,
rapporti di cui non sapeva l'esistenza, legami di cui non ricorda l'intensità.
Avrebbe dovuto ponderare meglio le sue parole, pensare prima di parlare, ascoltare invece di dare tutto per scontato.
Ciò che per Maggie era ormai passato per Josie era una nuova verità e non era affatto facile metabolizzare in una frase rapporti e vicissitudini durati mesi interi.
Sospirò guardandola.
«Josie, è stato un periodo complicato. Lo avrai sicuramente scritto nel tuo diario quali erano i tuoi sentimenti confusi.», ipotizzò la maggiore, non sapendo effettivamente cosa ci fosse scritto tra quelle pagine.
Quello era un diario di bordo che Josie doveva tenere per sé e soltanto per sé. Ordini della psicologa.
«Sì, l'ho scritto, ma continuo a non capire... quelle righe sono scritte in modo molto caotico e confusionario...», ammise la minore puntando gli occhi fuori dalla finestra, «Mi sarò sicuramente confidata con te... non l'ho fatto?», chiese speranzosa.
«Sì, l'hai fatto, tesoro...», la rassicurò amorevolmente la più grande, «Ma in quel periodo eri davvero molto combattuta.», le confessò Maggie sedendosi sul letto e prendendo un gran respiro.
«Vieni qui, siediti.», la invitò appoggiando il palmo della mano sul piumone e invitandola a sedersi al suo fianco.
«Eri spaventata da ciò che provavi per Charles e lui all'inizio non era
stato molto chiaro su ciò che realmente volesse. La vostra era una sorta di strana amicizia. Ovviamente sembravate due scemi, perché si vedeva lontano un miglio cosa provavate l'uno per l'altra da come vi guardavate.», affermò la ragazza alzando gli occhi al cielo, enfatizzando le parole, «Ma, comunque, giocavate a fare gli amici. Tu ti eri intestardita, eri convinta che avere una relazione con Carlos e allontanare Charles fosse la cosa migliore per te e co...»
«Cosa? Sono stata io ad allontanarlo? Ma ero innamorata... io... così c'è scritto lì...», farfugliò stupita, indicando con la mano verso il suo diario.
«Sì, lo eri... ma credo che la paura di esserlo abbia avuto la meglio su di te. Sai... per via di Alberto... di quello che lui ti aveva fatto...», pesò con estrema attenzione quanto dire sull'argomento dell'avvocato ormai uscito definitivamente dalle loro vite.
«Charles non è come Alberto... Lo... lo hai detto anche tu... L'ho anche scritto... io non...», lasciò che le parole aleggiassero incompiute nella sua stanza.
Le sue non erano delle vere e proprie domande, erano più riflessioni a voce alta.
La confusione dei suoi pensieri ormai era presente dal primo giorno che aveva riaperto gli occhi, istante dopo istante veniva a
conoscenza di cose nuove, di sensazioni nuove. Di sentimenti che appartenevano a lei, ma che non riconosceva minimamente.
Tutto intorno le parlava dell'amore che provava per Charles, bastava guardarlo e viverlo per comprendere il perché qualcuno si potesse innamorare di lui, eppure la Josie prima dell'incidente aveva avuto paura di quel sentimento.
Una paura che le era completamente sconosciuta.
Più leggeva quelle righe scritte da lei stessa e più si sentiva diversa da allora, come se fosse uno spettatore pronto a criticare ogni sua scelta, ritenendosi presuntuosamente più capace di prendere decisioni migliori della protagonista.
Al momento non sapeva esattamente come definire ciò che provava per Charles, ovviamente era tutto diverso da prima, di fatto per lei era ancora un estraneo, ma aveva così tanta voglia di conoscerlo che quella paura di cui Maggie parlava non c'era affatto.
Anzi, si era ritrovata più di una volta a desiderare di amarlo già, ma l'amore non è un interruttore, ha bisogno del suo tempo, non si può
spegnere e accendere a comando.
Le parole di Maggie la riportarono tra quelle quattro mura: «No, assolutamente! Non ha nulla di Alberto! Josie, io credo che appunto per questo ne eri spaventata, era un sentimento nuovo per te e forte... e questo ti ha portato sulla difensiva. Era più facile portare avanti una relazione disinteressata con Carlos e mettere via le emozioni che lasciarti andare a ciò che provavi per Charles.», concluse Maggie tristemente guardando gli occhi della sorellina perdersi di nuovo al di là della finestra.
«E poi? Che è successo?», chiese.
«E poi... e poi lo scoprirai continuando a leggere il tuo diario. Chi meglio di te può raccontarti la tua storia?! La vostra storia. Ora andiamo, abbiamo appuntamento con la dottoressa Blanchard ed è
già tardi!», disse alzandosi e tornando alla scrivania, «Sono queste le cartelle quindi?», chiese ancora una volta.
Josie era ancora immobile sul suo letto, persa nei suoi pensieri che riguardavano ciò che aveva appreso un istante prima.
Maggie, invece di risolverle la situazione, l'aveva confusa ancora di più, ma aveva ragione: avrebbe continuato a leggere il suo diario. Charles in barca, il giorno prima, le aveva detto che aveva portato
colore nella sua vita, ciò significava che la storia con Carlos sarebbe presto finita.
Almeno era quello che si augurava.
«Josieee?!», la richiamò insistentemente Maggie.
«Sì! Sì! Scusami! Sono pronta! Sono quelle le cartelle. Andiamo, sono pronta.», rispose alzandosi e infilando di corsa le sue Converse.
*****
«Segui la luce. Bene, brava, ora guarda anche con l'altro occhio... perfetto, Josie!», affermò la dottoressa, puntando la piccola torcia nell'iride dell'occhio sinistro della sua paziente.
«Allora, mal di testa ricorrente?»
«Passato, non ne ho da diversi giorni.», rispose sorridendo timidamente la ragazza.
«In realtà sono appena tre giorni, dottoressa.», si affrettò ad aggiungere Maggie, «Non sono poi così tanti giorni... inoltre avrei
voluto stesse a riposo ancora per un po', ma lei è voluta tornare subito al lavoro.», confessò al medico con apprensione dando uno sguardo alla sorella seduta ancora sul lettino.
«Maggie, per favore... ne abbiamo già parlato...», si lamentò immediatamente Josie, ormai stanca di quell'argomento.
«E ha fatto bene!», esclamò la donna con il camice bianco, rimettendo la pila nel taschino e appoggiandosi alla sua scrivania, «Tornare alla normalità è la terapia più giusta per ritrovare se stessi e la propria forza.», concluse la Blanchard guardando la piccola Moreno e sorridendole.
«Ma, dottoressa, lei aveva detto a piccole dosi. Tornare alla normalità lentamente e con piccole rivelazioni alla volta di ciò che non ricorda... e po...»
«Sì, e sono ancora di questa opinione, ma ritengo che la mia paziente sia adulta e consapevole della sua situazione. Se dice di sentirsi bene, le credo.», lo sguardo morbido della donna cadde di nuovo sul viso della ragazza che con estrema difficoltà stava cercando di nascondere un sorriso beffardo ai danni della sorella maggiore che, a bocca aperta, continuava a fissare la dottoressa.
«Anch'io credo a mia sorella!!!», esclamò stizzita Maggie, «Non
capisco cosa vuole insin...»
«Non voglio insinuare nulla, Maggie! Rilassati, ti sto prendendo in giro!», affermò ridendo la Blanchard, avvicinandosi a lei e appoggiando una mano sulla sua spalla, «Sto sdrammatizzando la tua ansia, forse anche tu hai bisogno di un po' di riposo. Josie sta bene! È passato quasi un mese dal suo risveglio e non ha disturbi. Persino la cicatrice sulla testa sta guarendo del tutto.», le fece notare buttando un nuovo sguardo al viso della moretta sul suo lettino, che subito portò la mano nella zona alta della fronte, in parte coperta dai capelli, «Perciò fai un bel respiro e rilassati. Ho controllato Josie ogni due settimane e continuerò a farlo, ma guardala, sta bene.» Maggie sospirò osservando la sorella attentamente, gli occhi le si riempirono di lacrime, tutto ad un tratto sentì la tensione scivolarle via dal corpo e scoppiò a piangere come un fiume in piena. «Scusatemi... io... io sono solo terrorizzata che possa succedere di nuovo... è stato tutto così assurdo ed io...», non riuscì a terminare la frase, non sapendo neanche lei cosa volesse dire.
La dottoressa l'abbracciò massaggiandole la schiena con la mano, facendola respirare con calma.
«Lo so, Maggie, lo so... è stata dura, ma è finita.»
Le ragazze avevano instaurato un ottimo rapporto con la Blanchard, la donna si era presa a cuore il caso di Josie, anche lei sorpresa dal grande miracolo che la ragazza aveva ricevuto.
Un incidente di quella portata avrebbe ucciso chiunque, eppure quella ragazza era seduta nel suo studio viva e vegeta, piena di energia e con la voglia di sorridere ancora.
Come aveva detto, un miracolo.
«Ascolta, Maggie, perché non vai a prendere un tè mentre io parlo un po' con Josie da sola, ti va?»
Maggie la guardò confusa, ma capì subito che non era un consiglio, era un modo educato per dirle che doveva dare spazio al medico e al suo paziente.
«Certo. Vado.», guardò poi la sorella e aggiunse: «Ti aspetto fuori. Arrivederci, dottoressa, e grazie di tutto.»
«Ciao, Maggie, ci vediamo tra due settimane.», la salutò la donna aprendole la porta.
«Sì.», sospirò la più grande avviandosi nel corridoio.
«Allora!», esclamò la Blanchard chiudendo la porta e guardando la sua dolce paziente, «Adesso parliamo seriamente. Come stai? Come vanno i ricordi?»
Josie prese un gran respiro e scosse la testa mordendosi il labbro con l'espressione triste, consapevole di dover dire un altro no.
«Ok. Perché quell'aria affranta?! Sapevamo che ci sarebbe voluto del tempo e sappiamo che ci può essere la possibilità che i ricordi non tornino. Ne avevamo parlato, no?»
«Sì, certo.», rispose lei guardando il pavimento e facendo penzolare avanti ed indietro le gambe dal lettino.
«Allora cos'è che ti turba?», le chiese senza però ricevere risposta, facendola così azzardare a domandare qualcosa di più personale: «È per via di quel ragazzo? Charles?», nonostante la donna non conoscesse la popolarità del monegasco, ricordava perfettamente lui ed il suo nome e la reazione disperata che aveva avuto nel suo studio alla notizia della perdita della memoria di Josie.
Charles era passato in ospedale ogni singolo giorno della sua degenza, non si era mai allontanato dal suo letto nemmeno una volta mentre lei era in coma.
Ogni giorno, nonostante lei fosse nel profondo oblio, lasciava un bicchiere fumante di caffè americano sul suo comodino di fianco al letto.
Non immaginava minimamente quale fosse la motivazione, all'inizio aveva pensato fosse per lui, ma poi le infermiere avevano fatto notare di ritrovare il bicchiere pieno alla sera.
Così un giorno incontrandolo nel corridoio, la sua curiosità aveva avuto la meglio: «Perché le porti ogni giorno del caffè? Insomma, lei non può... sì, lo sai.», chiese confusa pentendosi subito di essersi impicciata in ciò che non la riguardava ed esulava dal suo lavoro, ma
il ragazzo aveva sorriso e alzando le spalle le aveva fatto sapere: «Josie ama il caffè. Non può berlo, ma forse può sentirne l'odore.»
La donna era rimasta piacevolmente sorpresa da quella risposta, aveva sorriso mentre lo guardava entrare nella stanza come tutti i giorni e con il solito bicchiere d'asporto in mano.
«Forse. O forse sono solo io. Non lo so in realtà.», ammise Josie con un risolino agitato.
«L'ultima volta che ci siamo viste mi avevi detto che ti piaceva passare del tempo con lui. È cambiato qualcosa?»
La ragazza alzò leggermente la testa verso la sua dottoressa, alla sua domanda tanti pensieri attraversavano la sua mente: le pagine del suo diario, ciò che Maggie le aveva raccontato quella mattina e Charles.
Le parole che le aveva detto in barca il giorno precedente la fecero arrossire persino in quel momento, seduta su un lettino scomodo tra le mura di un ospedale.
«No, assolutamente. Non è cambiato niente. Mi piace stare con lui. Charles è molto dolce.»
«Ma?», chiese ancora la dottoressa notando negli occhi della ragazza una titubanza che cozzava con le sue parole.
«Ma niente.», rise Josie guardandola, «Mi sento una sciocca quando sono con lui, la sua vicinanza mi fa uno strano effetto e quando parlo o gli racconto qualcosa ho paura di dire cose che lui sa già di me, risultando noiosa o stupida. Ed io invece non so niente di lui e
questo perché non ricordo nulla di noi!», sputò fuori di getto con un isterico sorriso triste sulle labbra, «È frustrante!!!», concluse infine coprendosi il viso per la vergogna.
La Blanchard sorrise al suo sproloquio emotivo, le condizioni fisiche della ragazza erano decisamente migliorate e lei era abbastanza brava nel suo lavoro da poterlo affermare senza ombra di dubbio, ma le questioni di cuore non erano decisamente il suo forte, testimoni i suoi due divorzi alle spalle.
Nonostante ciò, era capace di riconoscere una cotta. E Josie era sicuramente nel pieno di un'infatuazione in piena regola.
Una di quelle da farfalle allo stomaco.
Il che la fece sorridere ancora di più al pensiero.
Non sapeva molto della loro storia prima dell'incidente, ma da quello che aveva capito si volevano bene e a quanto pareva,
nonostante lei non ricordasse nulla di lui, l'universo stava rimettendo in atto le stesse dinamiche.
La vita era davvero strana pensò tra sé.
«Be', da quello che mi dici sta andando benissimo. Lui ti piace, e anche tanto vedo.», precisò guardando le guance arrossate.
La minore delle Moreno sospirò, abbassando sconfitta le spalle e alzando la testa al soffitto.
«Sì! E mi piace vederlo. Vorrei vederlo continuamente... ma poi... ma poi penso: e se non sono più la Josie che ha conosciuto prima? Se lo deludo e non sono la stessa ragazza dei colori che a lui piace?», senza sosta diede di nuovo il via a tutti i suoi pensieri pessimisti, provocando uno sguardo confuso sul viso della sua dottoressa, «Che faccio?! Vorrei solo ricordarmi di lui! Merita di essere ricordato, lui è così...», sospirò di nuovo cercando di ricomporsi, sospettando di essere ridicola agli occhi del suo medico che ancora la guardava perplessa, «Lui è davvero incredibile.»
«Non so a quali colori tu ti riferisca, ma credo che Charles abbia le idee molto chiare. Non lo conosco bene, ma posso dirti che non ha dubitato di te nemmeno una volta nei giorni che è venuto qui in ospedale. Non ha mai perso la speranza, persino quando ha saputo della tua amnesia, nonostante la disperazione lo ha invaso non ha mai avuto paura. Da quel che ho visto credo sia disposto a tutto pur di starti vicino, perciò credo che tu non debba preoccuparti di questo. Per lui sei la stessa Josie, i tuoi sono i timori
dell'infatuazione... all'inizio ci sono sempre. Goditeli, Josie, è una cosa bella.», anche se la donna, a causa delle sue esperienze di vita, aveva poca fiducia nell'amore, disse a Josie quella verità.
Aveva visto davvero negli occhi di Charles la determinazione a tenerla stretta a sé, ad amarla abbastanza per tutti e due, nonostante lei non ricordasse nulla di loro.
«Sì...», sussurrò poco convinta la ragazza.
«Josie, quello che è successo, l'incidente, non è colpa tua. Neanche tu meriti di non ricordare una parte della tua vita. Ho parlato con la tua terapista, mi ha un po' illuminato sulla tua storia con Alberto.», la donna fece una breve pausa studiando la reazione della ragazza a quel nome e come immaginava lei tremò, un gesto impercettibile, inconscio, ma che ad un occhio clinico esperto non passò inosservato.
Alzò il suo sguardo verso di lei e il velo di tristezza che attraversò i suoi occhi fu esaustivo.
Si sentiva responsabile per ciò che era accaduto.
«Josie, non potevi evitare l'incidente, non potevi sapere che Alberto avrebbe agito in quel modo. Non potevi fare nulla. A volte le cose accadono, ma tu sei qui. Hai un'altra possibilità e lui non può più farti del male. Ora puoi vivere la tua vita.»
«Sì, lo so! Mi creda, dottoressa, non è questo che mi preoccupa. Io ho superato Alberto e mi sento finalmente libera da lui, mi dispiace solo che tutto ciò che ha fatto abbia colpito anche Charles. La mia amnesia è il prezzo da pagare per la mia libertà, ma questo rende triste Charles ed io vorrei poter fare qualcosa per...», sorrise guardando il cielo fuori dalla finestra dello studio azzurro Tiffany della Blanchard. «Vorrei solo ricordarmi di lui.»
«Josie, devi avere pazienza... dovete avere pazienza. Non posso darti la certezza che ti ricorderai di lui, perché non ce l'ho, ma so che hai la possibilità di conoscerlo di nuovo e lui sembra disposto a farsi... anzi, non vede l'ora di farsi conoscere di nuovo, perciò va bene così. È una buona cosa.»
La moretta seduta sul lettino respirò profondamente, si alzò lentamente e avvicinandosi alla poltrona davanti a lei afferrò la sua borsa tra le mani e sorrise di nuovo.
«Sì... lo so, ha ragione, dottoressa. Credo anch'io sia una buona cosa.»
«Bene! Siamo d'accordo allora! Programmi per il weekend?», chiese la donna cercando di alleggerire l'atmosfera.
«In realtà Maggie vorrebbe portarmi in montagna, sulla neve... in verità è Daniel, il suo ragazzo, che vuole andarci. Maggie odia la neve.», spiegò ridendo.
«Ottimo!», esclamò la donna allargando le braccia, «L'aria di montagna non può farti che bene, e, sono onesta, spero faccia bene anche a Maggie. Deve rilassarsi un po'. E ci sarà anche Charles?», chiese curiosa.
«Sì, ci sarà anche lui.», rispose Josie arricciando un po' il labbro in segno di contentezza.
«Meglio ancora!», esclamò la dottoressa ridendo euforica come una ragazzina, «Però, mi raccomando, per te niente sci o scalate stancanti. Stai molto bene, Josie, ma non voglio che tu faccia sforzi
extra, ok? Perciò cerca di rilassarti con piccole passeggiate e goditi piuttosto della cioccolata calda. Fai sciare gli altri. Siamo d'accordo?»
«Sì, dottoressa, non si preoccupi.», la rassicurò sorridendo.
*****
«Mag, non ti sei spostata di un millimetro! Devi tenere gli sci paralleli e spingerti con le racchette. Non è difficile!», disse Daniel sorridendo mentre la sua dolce metà cercava goffamente di muoversi sopra i suoi sci color magenta.
«Non è difficile?! Per te forse!!! Tu sai sciare! Io sono scoordinata anche quando cammino, figuriamoci sopra due stecche larghe pochi centimetri!», piagnucolò Maggie irritata con i bastoni in carbonio ben piantati nella distesa bianca sotto i loro piedi.
«Ma non fare l'esagerata! Sei una diva quando cammini sui tacchi a spillo alti quindici centimetri ed ora fai storie su degli sci perfettamente incollati al terreno.», la rimproverò l'australiano appoggiando le mani sui fianchi per avvicinarsi a lei e tentare di spiegarle come posizionare meglio le gambe.
«Camminare sui tacchi è un dono innato molto frequente in una donna! È un'altra cosa! Fa parte dell'essere sexy, questo non è sexy!!! È una tortura!», esclamò allargando un braccio con una delle sue bacchette e indicando la tenuta da neve che aveva addosso.
Fu un piccolo ed innocuo movimento che la portò a perdere irrimediabilmente l'equilibrio facendola strillare.
Non avvenne nessuna caduta però, perché Daniel prontamente l'aveva afferrata per un braccio tenendola in piedi.
«È tutta una questione di equilibrio, come sui tacchi. Pensa di portare una delle tue sexy décolleté e prova a fare quello che io ti dico. Piega un po' le ginocchia e portati con il busto in avanti fino ad appoggiare gli stinchi sullo stivaletto. Poi muoviti lentamente, prima un piede e poi l'altro.», le spiegò con tutta la calma del mondo, parlandole piano e aiutandola ad assumere la giusta postura. «Daniel... non ci riesco... dai, guardami, sono negata! Volevo solo far respirare aria buona a Josie, non sciare travestita da omino Michelin e sembrare ridicola!», si lamentò ancora la ragazza cercando di
ammorbidire la determinazione del suo ragazzo che invece continuava ad ignorare completamente le sue proteste.
«Non fare la lagnosa, Moreno! E poi sei terribilmente sexy travestita da omino Michelin!!! Molto più di quando indossi i tacchi!», dichiarò lui alzandosi gli occhiali sulla fronte e alzando le sopracciglia contemporaneamente facendole lo sguardo da marpione agguerrito. Ma nemmeno quel tentativo la fece ridere, o meglio, si rilassò
allentando la tensione nelle spalle e alzando la testa al cielo, ma non sfoggiò un vero e proprio sorriso.
Nonostante però la sua antipatia per la neve, decise di provare e, seguendo i consigli del suo pilota, riuscì a fare qualche metro senza esitazioni.
Vittoriosa e felice si voltò verso di lui ridendo eccitata.
«Hai visto?! Ci sono riuscita!!! Mi sono mossa!!!»
«Sì! Sei stata perfetta! Ora proviamo la frenata.», la incitò Daniel camminando verso di lei.
«Cosa?! Frenata?!», domandò la ragazza urlando dove era riuscita a fermarsi, immobile, dando le spalle al ragazzo che lentamente stava arrivando alle sue spalle.
«Non ho bisogno di frenare, Daniel, vado a due all'ora!»
«Ma ora passeremo allo step successivo. Piccole discesine nei dossi. Perciò hai bisogno di imparare a frenare.», precisò una volta che l'ebbe raggiunta.
«Tu sei tutto scemo, Ricciardo!!! Non ho nessuna intenzione di fare
piccole disc...», non terminò la frase perché per qualche strana legge fisica esistente in natura, anche se si trovava su una superficie apparentemente piana, il suo piccolo movimento la fece scivolare in avanti.
Con le spalle e la schiena si sbilanciò all'indietro e le sue gambe si allargarono sempre più velocemente, facendola cadere inevitabilmente sulla neve a gambe all'aria.
Daniel non fece in tempo ad afferrarla e vedendola distesa nella nuvola bianca che l'aveva ricoperta non poté far a meno di ridere piegandosi su se stesso e tenendosi la pancia.
«Non ridere!!! Daniel, smettila!!!», gli urlò la ragazza cercando di alzarsi, ma affondando sempre più nella neve gelata, «Aiutami, scemo, invece di ridere!», gli intimò con tono irritato, ma il pilota
australiano non riusciva a smettere guardandola cadere ogni volta che cercava di muovere il suo corpo per rimettersi dritta.
«Daniel!!! Ma sei stupido o cosa?! Aiutami ad alzarmi!», gli urlò contro togliendosi gli occhialini da sci e lanciandoglieli addosso colpendolo sul petto.
«Ehi, Moreno!! Non si fa nella tua posizione, potrei lasciarti lì dopo questo!», la prese in giro lui sventolandole in aria l'oggetto che gli
aveva scagliato addosso.
«Non ci provare, cretino! Vieni qui e aiutami!»
«Non lo so, ci devo pensare!!»
«Danieeel!!!», gridò isterica in preda alla disperazione mentre continuava a muoversi e cadere ininterrottamente sulla neve, «Questo è un incubo!!!»
Le grida di Maggie arrivarono limpide alle orecchie di Josie che insieme a Charles sedeva sulle panche di metallo annesse alla funivia, poco distante da dove si trovavano sua sorella ed il pilota della Renault.
«Credevo si piacessero...», affermò divertita guardando la sorella urlante, completamente abbandonata a terra.
«È così infatti.», le rispose il monegasco, ridendo e osservando anche lui la scena comica davanti a loro.
«Sì...?! Dici?! Li vivo da circa un mese e non c'è un momento del giorno in cui non litighino... escludi quando dormono o non si vedono...», la ragazza alzò le spalle e imbronciando le labbra
aggiunse: «Praticamente discutono sempre e su tutto.»
Charles rise alle sue parole e guardando Daniel cedere alle urla della sua ragazza e stendere una mano per aiutarla ad alzarsi mentre con una racchetta lei gli colpiva incessantemente una spalla.
«Credo che sia il loro modo di piacersi.»
Josie alzò le sopracciglia e sgranò gli occhi all'ennesimo insulto della sorella verso l'australiano che fece girare tutte le persone nelle vicinanze.
«Hanno uno strano modo di piacersi...», mormorò corrugando la fronte e tenendo ancora lo sguardo su di loro, «Sai... non ho mai visto Maggie così.», disse con tono neutro.
Il monegasco si voltò a guardarla, sulle labbra l'accenno di un sorriso.
«Che intendi? La vedi bene o male?»
La ragazza ricambiò il suo sguardo.
«Non so... solo diversa...», sorrise timida, «Non ha avuto tanti ragazzi nella sua vita... o meglio, mi correggo, non ha avuto molte storie nella sua vita. Di solito i ragazzi duravano il tempo di una notte e se provavano a fermarsi per colazione li terrorizzava con il matterello di Agata, quello per fare la pasta... hai presente?»
«No, non è vero!», considerò lui sgranando gli occhi puntati in quelli
di lei e liberando nell'aria una folle risata.
«Te lo giuro!», confermò lei ridendo a sua volta senza staccare lo sguardo da quello di lui, «A volte davo di nascosto del caffè al poveretto di turno, sulle scalette dello CHERIE mentre fuggiva dall'ira di mia sorella.»
«Rischiavi grosso, ragazza.», considerò fingendo uno sguardo spaventato per poi scoppiare in un'altra risata.
«Sì, non sai quanto...», ribatté incantata nel guardarlo sorridere.
Era bello quando rideva, pensò.
Volse la sua attenzione a terra e respirò profondamente prima di spostare di nuovo gli occhi su di lui e chiedere ciò che moriva dalla voglia di sapere: «Noi litigavamo?», domandò tutto ad un fiato quasi rimanendo senza respiro dall'agitazione e dall'imbarazzo.
Charles si voltò immediatamente a guardarla, il sorriso sulle sue labbra si affievolì piano piano e i suoi occhi restarono fermi in quelli di lei.
«Sì, qualche volta è capitato.», rispose sincero, scoprendosi un po'
felice che lei gli avesse chiesto qualcosa di loro.
Lui non osava raccontarle nulla di ciò che avevano fatto insieme nell'arco di quell'anno dimenticato, aveva paura di turbarla, non voleva darle l'impressione di metterle fretta.
Ovviamente desiderava con tutto il cuore che Josie si ricordasse di loro ma, finché lei stava bene e lui poteva starle vicino, andava bene così.
Il resto poteva aspettare.
«E per cosa? Quali erano i motivi?», gli domandò ancora più curiosa. Gli occhi del ragazzo percorsero attentamente i lineamenti del suo viso, alzò una mano e spostò delicatamente due ciocche di capelli sfuggite dal cappello che, morbide, le svolazzarono su una guancia. «Josie... io non so se è il caso di dirti questo... cioè, non so cosa sai e cosa non sai esattamente della nostra storia. La dottoressa ha detto
che dobbiamo raccontarti le cose a piccole dosi... con tranquillità, senza turbarti troppo, e sai... quest'argomento... io non so se...», improvvisamente si sentì insicuro di cosa potesse rivelarle e cosa no.
Più volte Maggie gli aveva fatto giurare che all'inizio non avrebbe affrontato argomenti fastidiosi, decidendo di comune accordo di lasciarla tranquilla per un po', e forse i motivi dei loro litigi erano tra
quelli.
«So di Carlos, se è a lui che ti riferisci.», disse spiazzandolo.
«Maggie me ne ha parlato.», aggiunse poi, evitando di fare riferimento al suo diario.
Non voleva che lui sapesse della sua esistenza.
«Aaah...», affermò Charles, sorpreso che Maggie avesse tirato fuori l'argomento senza metterlo al corrente.
Durante la convalescenza di Josie avevano fatto gioco di squadra nel prendere le decisioni che riguardavano la minore delle Moreno e lo spiazzò sapere che non lo avesse avvertito di questo.
«Sì... Carlos sicuramente è stato uno dei motivi...», ammise mentre gli angoli delle labbra tradirono un sorriso.
Ripensando a tutto ciò che era accaduto tra loro, Carlos, in fondo, era stato l'ultimo dei loro problemi per importanza.
La risposta che lui le diede non fece altro che aumentare la sua curiosità.
«Quali sono gli altri motivi?», chiese impaziente, aggiungendo subito
dopo: «Scusa, non devi rispondere se non vuoi. Io... io non dovevo chiedere.», era preoccupata di essere stata invadente, come se la storia non riguardasse lei.
«Josie...», mormorò guardandola e strizzando lievemente le palpebre, «Puoi chiedere tutto ciò che vuoi, di quel noi tu facevi parte...», sospirò rendendosi conto di aver parlato al passato nonostante per lui la parola "noi" era parte anche del presente e sperava del loro futuro.
Decise di non soffermarsi troppo sulla sua affermazione, avrebbero affrontando un discorso alla volta, ognuno a tempo debito.
«Noi... in fondo... sai, non abbiamo litigato per tanti motivi.», rivelò addolcendo la sua voce, «Uno o due, non di più.»
«Uno o due?! Ti riferisci anche a Cri... Cristiane?», balbettò arrossendo un po' e puntando gli occhi sui guanti da neve che aveva tra le mani.
Aveva letto di lei la sera precedente, prima di dormire, ma non aveva chiesto nulla a sua sorella in merito a quell'argomento, riguardava la vita privata di Charles e non sapeva di quanto Maggie fosse a conoscenza.
Ma il pensiero della ragazza le aveva riempito la testa per tutta la notte e sentiva il bisogno di chiederlo a lui.
«Wow! Maggie ti ha detto proprio tutto!», constatò con un sorriso nervoso.
Quando aveva pensato di ricominciare tutto da capo, non aveva messo in conto di ripercorrere anche gli sbagli dolorosi che aveva commesso.
«Sì... più o meno...», rispose agitata, nascondendo la verità di come era venuta a conoscenza di Cristiane e lasciandogli credere che fosse stata la sorella a darle quell'informazione, comprendendo dalle sue parole che Maggie era al corrente di quella storia.
Charles si schiarì la voce guardando il panorama di fronte a sé.
«Sì, abbiamo discusso anche per lei.», confessò mortificato, «Ma abbiamo chiarito tutto, non era niente, solo uno stupido equivoco.», spiegò girandosi con il busto verso di lei e muovendosi inquieto sul sedile.
«Ti credo, Charles, so cosa era successo. Non devi giustificarti
ancora.», provò a rassicurarlo lei.
«No, io devo, invece... io... io non voglio che tu ripensi a quello. Era tutta una bugia.», farfugliò aggrottando la fronte.
Non voleva parlare di brutti ricordi, voleva vederla sorridere, farla stare tranquilla.
«Lo so.», ripetè lei incatenando gli occhi ai suoi.
Le sue iridi nocciola gli sembrarono più grandi, più dolci, più belle. «Abbiamo subito fatto pace.», le sussurrò, il ricordo della prima volta che avevano fatto l'amore gli apparve limpido nella mente e sorrise, era stato così che avevano messo fine a quel litigio durato giorni, dopo che lui era andato allo CHERIE e le aveva chiesto di credergli.
Charles abbassò repentino lo sguardo a terra, consapevole che se avesse continuato a guardarla non avrebbe resistito e l'avrebbe baciata, e non era sicuro fosse la cosa giusta da fare.
Josie arrossì alle sue parole, nonostante le avesse bisbigliate capì perfettamente a cosa si stava riferendo.
Lo vide perdersi nel ricordare qualcosa e sorridere, si sentì bruciare dentro dal desiderio di sapere.
Voleva vedere anche lei quel ricordo, voleva anche lei sorridere a quel suo pensiero, ma non poteva.
Continuò a fissarlo cercando di memorizzare ogni particolare della sua espressione, non voleva più perdere nemmeno un istante di lui. «Mi dispiace, Charles.», disse improvvisamente facendolo voltare di nuovo verso sé.
«Di cosa?», chiese il ragazzo ad un tratto confuso dal suo viso turbato.
«Di non ricordare! Dell'incidente! Di Alberto e di avergli permesso di farci questo!», blaterò tutto senza fiato, non avevano mai menzionato Alberto, ma sapeva che Charles era a conoscenza della sua presenza e non escludeva che anche lui fosse uno dei tanti motivi dei loro litigi.
Nel suo diario non era ancora arrivata alle pagine dove veniva citato il suo nome, ma sapeva che era lui la causa dell'incidente.
Ciò che continuava a ripetersi nella sua testa era: come aveva potuto permettergli di far parte ancora della sua vita?
«Josie, no! Assolutamente no!», le prese le mani cercando la sua attenzione, «Non hai colpa di niente! Di niente, Josie!», il respiro diventò corto e sentì la rabbia crescergli dentro come una marea, il bastardo le stava facendo ancora del male e lui si sentì impotente.
Il senso di colpa di non averla potuta proteggere quel giorno che lui l'aveva presa lo devastava.
Ciò che però lo distruggeva davvero era sapere di non poterla proteggere dai suoi stessi pensieri.
Gli occhi di lei si riempirono di un velo cristallino e stringendosi nelle spalle, piena di rammarico, disse ancora: «Se io aves...»
«No! Ti prego...», scosse energicamente la testa Charles, stringendo più forte le sue mani e fissando serio i suoi occhi, «Josie, non è colpa tua! Non lo è!»
«Sono stufa! Basta! Vai tu con il tuo amico!», esclamò Maggie apparendo bruscamente di fronte ai ragazzi.
Josie tirò subito via le mani da quelle di Charles ed il suo sguardo perso un istante prima negli occhi del ragazzo si spostò sulla sorella. «Ehi, Maggie! Sei stata bravissima per essere alla tua prima volta.», esclamò scattando in piedi e nascondendo l'inquietudine dell'attimo precedente dietro ad un sorriso entusiasta.
«Ho interrotto qualcosa?», chiese Maggie curiosa, spostando ripetutamente lo sguardo dalla sorellina al monegasco che, ancora seduto, vagava con i suoi occhi al panorama di fronte a sé, evitando così la più grande delle Moreno.
«No... no, figurati... stavamo ridendo di voi... non è vero, Charles?», lo implorò con gli occhi, sperando che lui cogliesse la sua richiesta di tenere per loro quella conversazione.
Il monegasco incontrò brevemente il suo sguardo, respirò e poi si voltò verso Maggie: «Hai fatto un bel volo laggiù!», la prese in giro con un sorriso sghembo alzandosi.
Maggie osservò di nuovo il viso della sorella che subito evitò i suoi occhi puntandoli a terra, e scansionò Charles con uno sguardo indagatore.
Nonostante Josie avesse negato, era sicura di aver interrotto qualcosa tra loro.
«Ho decisamente bisogno di una pausa! Vai tu a dar retta al tuo amico, la sua euforia oggi è più insopportabile del solito.», affermò
rivolgendosi al monegasco mentre lei si toglieva i guanti da neve. Charles guardò Ricciardo infilarsi gli sci mentre con una mano lo invitava a seguirlo verso la funivia.
Posò poi gli occhi sul viso di Josie trovando il suo sguardo.
«Daniel può andare da solo. Possiamo prendere una cioccolata insieme! Che dite?», non voleva lasciarla, non dopo ciò che si erano detti.
Maggie gli lanciò subito un'occhiataccia, stava forse cercando di non lasciarla sola con lei?
Le sembrò assurdo pensarlo, ma lo sguardo preoccupato che intravide negli occhi del ragazzo la portò a considerare quello.
«Farò io compagnia a Josie, va a fare qualche discesa, adori sciare, Charles!», aggiunse invitandolo a rilassarsi.
«Posso sciare in un altro momento.», insisté lui scrollando le spalle e ricambiando lo sguardo sospettoso di Maggie.
Cosa diavolo stava facendo? Era in competizione con sua sorella? Pensò sconvolto, senza però perdere il contatto con gli occhi chiari della ragazza, continuando a mostrarle tutta la sua determinazione. Josie spostò lo sguardo tra i due, notando la freddezza con cui avevano avuto il loro botta e risposta.
Non ne era sicura, ma qualcosa tra loro era strano.
«Charles, non preoccuparti. Sei stato tutta la mattina qui ad annoiarti con me.», affermò dolcemente la ragazza sorridendogli, «Adori la neve, è giusto che ti diverta un po' anche tu.»
«Non mi sono annoiato. Mi piace stare con te.», rispose deciso guardandola.
«Avanti, Charles! Intrattienimi Daniel per un po', ti prego! O sarò costretta a sopportare odiose attività sportive tutto il pomeriggio!», lo esortò Maggie abbassando la guardia e rimandando i chiarimenti con lui a più tardi, era palese che c'era qualcosa che faceva risentire il monegasco nei suoi confronti e aveva intenzione di scoprirlo, ma non in quel momento. Avrebbe parlato con lui alla prima occasione disponibile.
«E poi abbiamo bisogno di un momento fra sorelle...», lasciò sospese in aria quelle parole ammorbidendo lo sguardo su di lui.
Charles sospirò mordendosi l'interno di una guancia, i suoi occhi restarono sulla maggiore delle due, infine a malincuore annuì
consenziente con il capo, ammettendo con se stesso che stava esagerando.
Lasciarla con Maggie non significava lasciarla sola.
Subito dopo scivolò con gli occhi su Josie in piedi di fronte a lui, stringeva bene al collo il suo piumino, proteggendosi dall'aria gelida. Un'improvvisa folata di vento le fece svolazzare i lunghi capelli sulle spalle ed il suo naso perfetto, per colpa del freddo, aveva assunto un'adorabile tonalità di rosso.
«Noi... noi ci vediamo dopo, ok?», chiese cercando in lei una certezza.
«Sì, ti aspetto qui.», lo rassicurò sorridendo.
Charles non staccò gli occhi dal suo viso e rapito dall'improvvisa voglia di sentirla tra le sue mani, fece un passo verso di lei, afferrò una ciocca dei suoi capelli e sorrise.
«Ok. Una discesa e torno.», le sussurrò.
«Ok.», mormorò lei incantata, poi le lasciò andare i capelli, afferrò gli sci appoggiati alla panca e si avviò alla funivia.
«Allora... andiamo a fare un po' di shopping?», propose Maggie sorprendendola alle spalle e destandola dall'ammirare la figura di lui che si allontanava.
«Shopping? Siamo in mezzo ai monti, Maggie, dove pensi di fare
shopping?»
«Vieni, ti faccio vedere, ho visto un negozietto di souvenir di fianco all'albergo...», le rivelò prendendola per mano e sospingendola verso il luogo da lei menzionato.
*****
«Guarda questo portachiavi!!! È un martello gigante! Lo voglio prendere a Gustav!», esclamò Maggie rigirando tra le mani il piccolo oggetto preso dalla parete ricoperta di oggettistica di ogni genere. «In realtà è un piccone da neve, Maggie, non un martello.», le fece notare la sorella nascondendo un piccolo sorriso e corrucciando la fronte.
«È uguale! Piccone, martello... serve per colpire! Glielo prendo.» Josie sorrise ancora all'affermazione della sorella, non era mai stata brava a fare regali, mancava di passione.
Diceva che i regali non erano graditi a nessuno, perché era
praticamente impossibile regalare qualcosa che piacesse veramente alla persona che lo riceveva se non la si conosceva bene. Ovviamente era una grande sciocchezza secondo Josie, un regalo era un regalo, era il pensiero ad essere importante. Il fatto che una persona avesse pensato a te in un preciso istante della sua giornata. Perciò anche un piccone da neve, nonostante non c'entrasse nulla con uno dei martelli di Gustav, avrebbe lo stesso strappato un sorriso all'uomo.
«Allora, di cosa stavate parlando tu e Charles prima?», chiese dal nulla Maggie mentre spulciava nello scaffale delle creme idratanti. «Di tutto e di niente.», le rispose Josie restando sul vago e senza guardarla, sperando inutilmente che la sorella smettesse di chiedere, facendo cadere il discorso.
Ovviamente non fu così, infatti subito aggiunse: «Ti prego, Josie, non prendermi in giro, avevate entrambi certe facce quando sono arrivata da voi!»
«Non so di quali facce tu stia parlando.», continuò la minore osservando dei piccoli scoiattolini in legno disposti su una mensola. «Josie!», la richiamò Maggie afferrandole un braccio e facendola voltare.
La più piccola sospirò facendo spallucce.
«Stavamo solo chiacchierando, Maggie, del più e del meno... di ciò che avevo fatto ieri sera... di cosa aveva fatto lui... di te e Daniel che litigate di continuo... e... basta. Non so che facce hai visto, erano solo le nostre facce.»
«Io e Daniel non litighiamo di continuo!», ribatté infastidita.
«Sì, certo.», l'assecondò ironicamente Josie.
«Noi discutiamo, è diverso! È il nostro modo di stare insieme...», spiegò la più grande seguendo Josie che si era voltata diretta alle cartine delle varie piste da sci.
«Sì, è anche quello che mi ha risposto Charles, quando ne abbiamo parlato prima, mentre insultavi il povero Daniel, distesa sulla neve.», la prese in giro aprendo una delle guide e sfogliandola.
«Mi stava deridendo mentre ero con il sedere per terra?!», la riprese facendo voltare inorridite un paio di signore ricoperte di pellicciotti e rubini di tutto rispetto.
«Maggie! Puoi abbassare la voce?!», bisbigliò Josie rimproverandola.
La ragazza si voltò verso le due donne sorridendo mortificata. «Scusate.», disse, ma ricevé solo uno sguardo di fastidio da quelle che si voltarono e se ne andarono.
«Comunque, hai cambiato discorso... che stavi dicendo di te e Charles?!»
«No, non dicevo niente di me e Charles. Parlavo di te e Daniel e mi sto chiedendo perché sei voluta venire sulla neve se tu odi tanto la neve.», considerò Josie allargando le braccia e sospirando esausta delle sue infinite domande.
«Per farti stare un po' di tempo con Charles prima che riparte!»
Josie la guardò confusa.
«Io e Charles possiamo passare del tempo insieme anche a Monte Carlo, non dovevamo venire per forza a Bardonecchia per farlo! E poi, appunto perché starà via per un po', forse aveva da preparare
delle cose di lavoro! Ma tu, con il tuo fare presuntuoso, devi sempre decidere per tutti!», non voleva essere scortese con Maggie, lo sapeva che aveva agito in buona fede, ma il ricordargli che il monegasco nei giorni successivi a quel weekend si sarebbe assentato per un paio di settimane, le aveva creato un'improvvisa inquietudine.
Non riusciva ancora a comprenderne chiaramente il perché, ma il
solo pensiero di non vederlo le suscitava nervosismo.
«A Charles piace la neve! E a te fa bene un po' di aria fresca!!! Non capisco perché tu ti sia innervosita, è un bel modo per stare tutti insieme, per stare con lui! Più tempo ci passi e più i tuoi ricor...», la ragazza non finì la frase però, rendendosi conto che ciò che stava per dire poteva essere recepito male dalla sorellina, sentendosi sotto la pressione di dover ricordare per forza.
«I miei ricordi non torneranno a seconda di quante ore passo con Charles, Maggie! E non capisco perché hai tutto questo interesse per la nostra storia! Nemmeno lui mi mette tutta questa pressione nel ricordare, ma tu sì! Perché?», le chiese la piccola mora con tono indispettito e distante.
«Perché mi sento responsabile!», sputò fuori di scatto.
«Ma che dici, Maggie? Perché?», domandò sconvolta e preoccupata Josie.
Maggie aprì la bocca per rispondere, ma le parole non uscirono. Almeno non subito.
Fece un grande e profondo respiro, si avvicinò a lei e le confessò: «Quando hai conosciuto Charles, lo scorso maggio, qualcosa è cambiato in te... dopo tanto tempo sei tornata a sorridere di nuovo, sorrisi veri e non quelli che mettevi su per far stare tranquille me ed Agata. I tuoi occhi brillavano di nuovo ed era tanto che non ti vedevo così felice...», seguì una breve pausa alle sue parole, i suoi occhi si velarono di tristezza mentre osservavano quelli nocciola della sorella che erano fissi nei suoi, «La mattina che Alberto ti ha preso con sé, prima dell'incidente, non saresti dovuta uscire. Toccava me andare in banca, ma tu ti sei offerta di andare al mio posto ed io te l'ho permesso. Continuo a ripetermi che avrei dovuto impedirtelo, ma non l'ho fatto! Ed ora tu non ricordi di Charles, di voi due. Non voglio vederti vivere di nuovo con apatia le tue giornate. Voglio
vedere un sorriso vero sulle tue labbra e Charles può farlo accadere ed io... io sto solo cercando di rimettere ordine... io...»
«Maggie, non è colpa tua!», si prodigò di dire Josie sorpresa dalla confessione della sorella, «L'incidente non è avvenuto per causa tua! Io non mi ricordo niente di ciò che è successo quella mattina, ma sono pienamente sicura che tutto ciò che ho fatto l'ho fatto di mia volontà. Non è colpa di nessuno, Maggie, è solo successo.», nel
pronunciare quelle ultime parole ripensò a ciò che le aveva detto Charles poche ore prima.
Lei, in preda all'ansia e all'agitazione, aveva messo a nudo i suoi pensieri confidandogli i suoi sensi di colpa, ma ciò che aveva detto a sua sorella valeva anche per lei: non era colpa di nessuno.
Persino Alberto aveva espiato le sue colpe con la sua morte, ed ora era tutto finito.
«Mi dispiace se mi sono innervosita... e hai ragione, Charles mi fa sorridere. Mi piace stare con lui e forse... forse il pensiero di non vederlo nei prossimi giorni mi rattrista.», confessò, scusandosi con Maggie e cercando di giustificare la reazione esagerata di pochi minuti prima, «Ma, ti prego, Maggie, cerca di non forzare le cose. Tutto andrà come deve andare... deve essere naturale.», aggiunse infine.
«Scusa, dispiace a me di essere stata invadente.», sussurrò mortificata la maggiore.
Josie sorrise.
«Andiamo a pagare il portachiavi per Gustav e il guanto da forno per Agata!», suggerì spazzando via quel momento di tristezza e prendendola per mano la trascinò alla cassa.
*****
Appena uscirono dal negozio di souvenir vennero invase dal freddo della montagna, Josie si strinse nel suo piumino cercando di ripararsi dall'aria gelida di montagna.
Prendendo sottobraccio Maggie, insieme si incamminarono per raggiungere l'albergo a pochi metri di distanza da loro.
Una volta di fronte alle porte scorrevoli del lussuoso hotel che le ospitava, videro arrivare anche Charles e Daniel, entrambi avevano abbandonato gli sci e si avvicinavano a passo svelto verso l'entrata.
Approdato nella hall dell'albergo, Charles si avvicinò subito a Josie. «Ehi!», la salutò facendo scivolare una mano lungo il suo braccio. «Ciao.», sospirò sorridendo la più piccola delle Moreno, «Com'è andata la discesa?», aggiunse poi, riferendosi ad entrambi i piloti. «Perfetta!», si affrettò a rispondere Daniel schioccando un bacio sulla guancia di Maggie, «L'ho stracciato!», affermò poi ridendo e indicando il monegasco.
Charles si limitò a ridere e a scuotere la testa sotto l'occhio divertito delle sorelle.
«Ammettilo, Leclerc, ti ho stracciato!», ripetè ironico l'australiano spintonandolo con una spalla.
«Non era una gara, Daniel!», precisò Charles alzando gli occhi al soffitto.
«Sì che lo era! Non è da te una frase del genere!», lo spintonò bonariamente puntandogli un dito alla spalla.
La verità era che Charles aveva avuto la testa altrove mentre sciava sul meraviglioso manto bianco, l'unica cosa che voleva era tornare da Josie.
Quando aveva assecondato Maggie con la sua idea di andare in montagna non aveva minimamente pensato di passare le ore sulle piste da sci. No.
L'unico motivo per cui gli era sembrata una buona proposta era perché l'aria di montagna avrebbe fatto bene a Josie, e soprattutto perché aveva sperato di passare del tempo con lei e averla tutta per
sé, lontana dal lavoro e dagli impegni quotidiani, o almeno così aveva creduto.
Invece doveva immaginarlo che avrebbe dovuto condividere il tempo con gli altri, non erano soli e Maggie e Daniel sapevano essere due persone molto presenti.
«Allora, che facciamo? Prendiamo una cioccolata calda?», propose Maggie interrompendo il monologo del suo ragazzo che ancora si vantava del suo talento da sciatore.
«Scusatemi ma devo andare un attimo in bagno. Decidete voi, per me va bene qualsiasi cosa.», disse Josie guardandosi intorno, cercando la porta della toilette.
«Sì! Ne approfitto anch'io.», le fece eco l'australiano scrutando anche lui la zona.
Entrambi sparirono lungo il corridoio alla ricerca dei bagni, lasciando soli Maggie e Charles nella hall ad attenderli.
«Cosa c'è che non va, Charles?», chiese subito la maggiore delle Moreno una volta rimasti soli.
Ma il monegasco non fu meno rapido, senza minimamente ascoltare la sua domanda le parlò sopra andando dritto al nocciolo della questione: «Perché hai detto a Josie di Cristiane? Pensavo
dovessimo dirle le cose poco alla volta, e insieme! E tu invece le dici proprio l'ulti...»
«Cristiane?!», ripetè socchiudendo confusa gli occhi, «Io non le ho detto nulla di Cristiane, Charles!»
«E di Carlos! È la prima volta che Josie mi chiede qualcosa di noi e mi ritrovo a parlarle di cosa ci ha tenuti lontani, delle cazzate che ho fatto e...», inspirò profondamente fissando il suo viso, «Pensavo fossi dalla mia parte... pensavo che...»
«Ehi, ehi! Aspetta un attimo! Io SONO dalla tua parte!», per tutta risposta prese il ragazzo per un braccio e lo tirò in un angolo della sala, «Non le ho detto nulla di tutto questo, lo ha letto da sola! Nel suo diario!»
«Il suo diario?», chiese lui confuso.
«Sì, lei ha un diario. Le serve per la terapia, ne scrive diversi da anni e...»
«Lo so questo! So dei suoi diari! Ma che c'entra con noi?», la interruppe il ragazzo.
«Scrive ogni cosa in quel diario.», gli spiegò abbassando la voce e guardandosi intorno, controllando che la sorellina non fosse di ritorno, «C'è scritto anche di te, Charles. Ogni cosa.», gli spiegò sorridendo, «È lì che deve aver letto di Carlos e di Cristiane. È strano però, mi ha chiesto di Carlos, ma non mi ha fatto domande su Cristiane.», rifletté a voce alta, «Ad ogni modo, non ho risposto a tutte le sue domande, le ho suggerito di continuare a leggerlo e...» «Scusa... io pensavo che tu... Scusa.», disse il ragazzo passandosi una mano sul viso strizzando gli occhi, «Lei mi ha detto che eri stata tu a dirglielo, non mi ha detto del diario.»
Maggie sorrise abbassando lo sguardo al pavimento, «Credo che provi vergogna di dirti che scrive un diario... sai, per via di tutta la questione della depressione e quant'altro... lei non ricorda di averti
già rivelato i suoi segreti e che l'hai sorpresa restando con lei, perciò...»
«No, non mi ha detto del diario infatti.», concluse lui stringendo le labbra in una linea sottile.
«Esatto.», approvò Maggie studiando il suo viso pensieroso, «Cosa c'è che non va, Charles? Cosa ti preoccupa?», gli chiese.
Un sorriso amaro si dipinse sulle labbra del ragazzo mentre i suoi
occhi erano fissi a terra.
«Di sbagliare. Di perderla.»
Maggie sorrise di nuovo alla sua affermazione.
«Be', non succederà! È già tua e tu nemmeno te ne accorgi!»
A quelle parole lui alzò il viso di scatto su di lei.
«Perché, ti ha detto qualcosa?», le domandò ansioso come uno scolaretto alla sua prima cotta.
«Ah!», rise Maggie alla sua reazione, «No, ma conosco bene mia sorella e, credimi, hai un certo ascendente su di lei, solo un cieco non se ne accorgerebbe!»
«Dici?», sospirò il monegasco mentre gli angoli delle labbra si fecero all'insù, tradendo un sorriso.
«Dico!», ripetè la ragazza scuotendo la testa vedendo una luce brillante spuntare negli occhi di Charles.
«Perché sorridete?», domandò Josie sbucando improvvisamente da dietro una colonna assumendo un'aria divertita nel guardarli. «Nulla... parlavamo del...»
«Vieni con me!», esclamò improvvisamente il monegasco, interrompendo Maggie e afferrando Josie per la mano.
«Noi saltiamo la cioccolata, faremo altro! Ci vediamo dopo!», urlò alla sorella maggiore trascinando la piccola delle due con sé verso l'uscita.
«Dove andiamo?», chiese la ragazza seguendolo.
«Ti porto in un posto!», le disse fermandosi appena prima delle porte d'uscita e, afferrandole il cappello dalla mano, fece per metterglielo in testa.
Il viso del ragazzo agli occhi di Josie sembrò euforico, qualcosa in quello che stavano per fare lo divertiva, il sorriso non era evidente sulle sue labbra, ma le fossette che tanto amava si erano formate sulle sue guance, tradendolo.
«Riesco a mettere il cappello da sola, Charles.», gli fece notare lei ridendo seguendo i movimenti frenetici delle mani di lui.
«Lo so, ma sei un po' lenta, testolina, e voglio sbrigarmi prima che faccia buio.»
Alla menzione di quel nomignolo il cuore di Josie mancò di un battito, aveva letto l'effetto che le faceva quando lui la chiamava in quel modo nelle pagine del suo diario, ma non riusciva ad immaginare realmente l'emozione che lei descriveva in quelle righe, non riusciva davvero a capire come un nomignolo potesse farle battere il cuore in quel modo. Eppure, in quel momento, come lui lo aveva pronunciato, le sembrò che le uscisse dal petto per quanto palpitava forsennato.
«Co... come mi hai chiamata?», sussurrò lei con un filo di voce, ma Charles non la sentì probabilmente, perché stringendole di nuovo la mano, la tirò fuori dall'hotel nel freddo della neve.
STAI LEGGENDO
My passion /Charles Leclerc
FanfictionJosie è una ragazza ferita, dalla vita e dalle persone. Conduce una vita semplice, trascorre la sua quotidianità nel piccolo e bel Principato di Monaco. Fin da bambina, grazie al papà, custodisce segretamente la passione per la Formula1. Non è un es...