capitolo 19 un nuovo inizio

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Deb sente il suo nome pronunciata da una voce gelida e crudele.

"Perché mi spingi a fare questo?
Sai che lo faccio per il tuo bene."

La quarta frustata le colpisce la schiena, lasciando una linea di sangue e carne strappata.
Il dolore dovrebbe arrivare come una scossa al cervello.
Ma ormai il corpo di Deb è  abituato e si limita a sanguinare.

"Nonostante io ti mostri il mio amore, tu tenti di scappare.
Mi ferisci così."

Deb vorrebbe tanto rispondere, ma uno straccio le tappa la bocca.
Perciò può solo stringere i denti mentre la quinta frustata fa il suo cammino sulla pelle.
Può solo estraniarsi per non sentire la voce falsamente dolce della sua aguzzina.

E pensare che è la stessa donna che l'ha vista nascere, che la cresciuta, che ha modellato il suo corpo di lividi e cicatrici da quando aveva cinque anni.

La decima frustata colpisce sulla prima ferita inferta.
Questo è  l'unico modo per far soffrire Deb.
Colpire almeno tre volte lo stesso punto, lacerando la carne fino all'osso.

"Tu dei mia Deb.
Mia.
Io ti ho fatta e io ti distruggo."

Le catene tirano i polsi, lacerando la carne fino all'osso, mentre i piedi penzolano nell'aria a mezzo metro da terra.

Le orbite degli occhi si girano verso l'interno, mentre la dodicesima frustata fa effetto insieme al veleno che le hanno iniettato.

Ma non urla, non da soddisfazioni.
Nemmeno quando la ventesima e ultima frustata le sfiora le ossa delle vertebre.
Si limita a stringere i denti fino a sentirli scheggiare.

Ha la schiena completamente sporca di sangue e ferite.
In certi punti la carne è  talmente aperta che si può intravedere il bianco delle ossa.

Ma non c'è pericolo che qualcuno veda questo orrore.
Poiché la stessa donna che ha creato quest'opera, con un gesto della mano cancella tutto.
La sua magia cancella tutta, ma non il dolore.
Come se fosse fondotinta che copre lividi e cicatrici ma non il dolore e la sofferenza.

Ancora penzolante a mezz'aria, viene voltata verso la donna.
Che le sorride con una falsità da premio Oscar.
Chiunque potrebbe credere che sia amore quello nei suoi occhi.

"Amore di mamma, figlia mia.
Sai che lo faccio per te.
Per io tuo bene."

E con un esprossine che recita compassione, le infligge l'ultima punizione.
Forse la più crudele.

Si allontana da Deb, avvicinandosi a un camino acceso.
Sa già cosa le farà, non è  la prima volta.

Vede nella mano della donna una lancia lunga, la cui punta è  rossa e incandescente, riscaldata da una fiamma magica.

"Questa nessuna magia potrà cancellarla o fartela dimenticare."

Deb chiude gli occhi, trattiene il respiro, contando fino a quattro prima che lancia le infilzate la pancia fino all'utero.

La carne si chiude sulla lama, fermando così l'emorragia e prolungando la tortura.
Il fuoco si irradia nel suo ventre, rendendo cenere quel terreno mai più fertile.

Questa è  l'unica tortura che funziona su Deb.
Quella psicologica oltre che fisica.

Avere la propria madre davanti che ti toglie il diritto a esserla.
Togliendole la possibilità di avere un figlio, un amore da condividere.

Il fuoco, il veleno, le crepe nella mente fanno il loro lavoro.
E Deb si lascia andare al dolore, gridando con tutte le sue forze nonostante il fazzoletto ancora nella bocca.

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