Capitolo 20

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Ero davanti alla porta di Harry. Mi sentivo male e avevo bisogno di lui vicino a me. Continuai a bussare aspettando che qualcuno venisse ad aprirmi, ma nulla. Era come se non ci fosse nessuno nella stanza. Asciugai le lacrime sotto gli occhi e presi il cellulare tra le mani. Vedevo lo schermo sfocato e le parole erano illeggibili. Cacciai un urlo e cercai di comporre il suo numero. Lo chiamai tre volte, ma non mi rispondeva. Cosa era successo? Cosa gli avevo fatto? Non riuscivo a capire del perché mi evitasse. Andai nella mia stanza e, aprendo la porta, vidi mio cugino e Christy seduti sul suo letto, intenti a coccolarsi.

«Mia?» disse George guardandomi con sguardo interrogativo. Singhiozzando, buttai la borsa sul pavimento e andai a chiudermi nel bagno. Da fuori sentivo il bussare di George seguito dalla sua voce:

«Mia, cosa è successo? Aprimi, ti prego» disse preoccupato. Mi avvicinai alla porta e sussurrai:

«è morto»

«Come? Non ho capito, Mia! Apri questa maledetta porta» rispose lui.

«è morto» dissi più chiaramente. Quelle parole continuarono a ripetersi senza una fine nella mia testa.

«è morto!» urlai a squarciagola e sbattendo violentemente i pugni sulla porta davanti a me.

«Mia, apri la porta!» urlò dall’altro lato, George. Continuai a prendermela con quel pezzo di legno dipinto di bianco. Improvvisamente mi girai di scatto e, appoggiando le mani sul mobiletto di legno scuro al mio fianco, feci cadere ogni cosa sul pavimento.

«Se n’è andato!» urlai di nuovo. Mi accasciai per terra e cominciai a piangere in modo disperato. George riuscì ad aprire la porta, facendo un minimo di pressione in più, ed entrò di colpo. Si avvicinò velocemente a me e afferrò il mio viso forzandomi a guardarlo. I miei occhi rossi e lucidi, pieni di lacrime, lo fecero preoccupare seriamente.

«Cosa è successo, Mia? Morto? Chi è morto?» mi chiese con voce bassa, cercando spiegazioni.

«Papà.» risposi divincolandomi dalla sua presa. Il suo sguardo s’incupì all’improvviso. Le sue mani si appoggiarono sulle gambe piccole ma muscolose; i suoi muscoli cedettero lasciando che il dispiacere, la sorpresa e la sofferenza si diffusero in ogni parte del suo corpo.

«Cristo…» sussurrò tra se e se guardandosi in giro. Improvvisamente mi ritrovai tra le sue braccia forti. Mi sentii sicura in quel momento. Ricambiai il gesto e rimanemmo lì per un paio di minuti, fino a quando non gli chiesi tra un singhiozzo e l’altro:

«Dov’è Harry? Mi evita.» guardandolo dritto negli occhi. Sospirò.

«Ecco...» accennò, ma la voce gli morì in gola. La sua risposta si era fermata lì. Tornò a prendermi tra le braccia, stringendomi molto forte e sussurrando al mio orecchio un piccolo «Mi dispiace, Mia.» Non capii cosa intendesse.

«Dov’è, George?» gli chiesi nuovamente staccandomi violentemente, appoggiando le mani sul suo petto e spostandolo da me.

«Se n’è andato» rispose tutto di un fiato. «Se n’è andato.» Non era possibile, mi avrebbe detto sicuramente qualcosa.

«Non può essere vero. Dov’è?» dissi sentendo la rabbia salire ancora di più.

«Se n’è andato!» spiegò ancora. Sbattei più volte le ciglia cercando di assimilare la notizia.

«Perché?» chiesi sentendo un colpo fitto allo stomaco. Dalla mia bocca uscì solamente un piccolo filo di voce. Mi alzai e andai verso la porta d’ingresso. Lasciai la borsa sul pavimento, non presi nulla con me. Mi limitai a uscire dalla porta e andarmene via.

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