Capitolo 1

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Di tre cose sono stato sempre sicuro, odio la matematica, il basket sarà il mio futuro e mi piacciono le femmine. Peccato che due delle mie convinzioni sarebbero presto state sconvolte, ribaltate e distrutte da una sola persona.
Avevo 17 anni, una cerchia di amici, una famiglia normale e buoni voti, giocavo a basket nella squadra della scuola e andavo a ballare e divertirmi con i miei amici. Tutto nella mia vita era perfettamente ordinario e per niente diverso dagli altri, nell'inverno del mio ultimo anno di liceo stavo attraversando un periodo piuttosto confuso della mia vita, mi annoiavo facendo le cose che una volta mi avrebbero fatto sentire la testa leggera e il mal di pancia a forza di ridere. Ora tutto per me era un seguirsi di giornate identiche, di situazioni ripetute. Mi sentivo un po' perso e alla disperata ricerca di qualcosa che mi desse un brivido e mi facesse sentire qualcosa. I miei amici mi ripetevano che avrei dovuto semplicemente trovarmi una ragazza o una tipa qualsiasi con cui andare a letto. Non che non avessi provato, piacevo abbastanza alle ragazze e quindi non avevo problemi a cercarne una, ma al momento non volevo storie, era giovane e volevo vivere la mia vita appieno. Questo non includeva una ragazza, almeno per il momento.
Ricordo che era una normale mattinata scolastica, c'era lezione di matematica e io essendo stato bocciato in quel corso ero solo, conoscevo di vista tutti ma nessuno era mio amico, così durante quelle lezioni mi limitavo a disegnare sul blocco degli appunti sperando che finisse presto, una parte di me cercava di ascoltare e capire quello che il professore di matematica spiegava, ma non ci capivo nulla e così dopo poco mi arrendevo e riempivo il quaderno di disegnini. Quella mattina faceva freddo,  io avevo solo una maglia però, questo perchè mi ero convinto che in Novembre non dovesse fare così freddo e non avevo ascoltato mia madre che mi aveva detto di portarmi un maglione. Ero in maniche corte, vicino alla finestra da cui entravano piccole folate d'aria fredda che mi facevano venire la pelle d'oca sulle braccia, la mia mente continuava ad immaginare il momento in cui finalmente sarei potuto andare a prendere la mia felpa che tenevo nell'armadietto, guardavo ossessivamente l'orologio sul muro aspettando che arrivasse la fine dell'ora, ma purtroppo per me l'ora era appena cominciata.  Il professore stava dicendo qualcosa su un qualcosa di nuovo, probabilmente un argomento, quando bussarono alla porta. Tutti ci girammo, sperando in una distrazione sufficiente ad accorciare la lezione.
E poi il mio baricentro cambiò.
Non mi ero mai soffermato tanto  sulla bellezza o non bellezza dei maschi, non ero mai stato in grado di affermare se qualcuno era figo o no, ma con lui il mio primo pensiero fu "cazzo, quanto è bello".
Aveva i capelli scuri, quasi neri, ricci, gli occhi color nocciola e delle labbra veramente belle. Oggettivamente parlando, chiaro.
Era alto,più di me, era magro ma aveva le spalle larghe, indossava una maglietta bianca con una taschina sul petto, in alto a sinistra, a maniche corte e dei jeans neri così stretti che non sapevo come facesse a respirare, non guardai più in basso. Anche se una vocina dentro di me implorava di farlo, chiedeva di vedere com'erano le sue gambe, non lo feci e ripresi a guardare il banco.
Entrò dalla porta con tranquillità, come se non dovesse far fronte a una classe di 30 adolescenti pronti a giudicarlo, entrò e sorrise e io sentii un brivido. Probabilmente il vento fuori, pensai.
"Mi chiamo Nico, vengo da Milano, Italia. Ho 16 anni e mi sono appena trasferito."
Parlava con un lieve accento che rendeva morbide le parole.
Il professore disse qualcosa riguardo al farlo sentire accettato e accoglierlo amichevolmente, ma io mi persi osservano le sue dita che tamburellavano sulle gambe. Aveva delle mani sottili dalle dita lunghe. Pensai per un momento a come sarebbe stato tenerlo per mano, ovviamente scacciai completamente quel pensiero, attribuendolo alla mancanza di sonno. Spostai lo sguardo sul mio quaderno osservando il piccolo disegno di un fiore, oggettivamente bruttino, che avevo fatto qualche giorno prima.
Dopo qualche attimo di silenzio sentii il signor Blitz dire a il ragazzo nuovo di scegliersi un posto. Questo provocò uno strano effetto dentro di me, volevo che si sedesse accanto a me, nel banco per cui di solito lottavo affinché rimanesse vuoto, ma allo stesso tempo mi spaventava il mio desiderio.  Stetti zitto con gli occhi bassi, sperando che non mi notasse e decidesse di sedersi vicino a qualcun'altro. La mia buona stella non mi ascoltò, il ragazzo si avvicinò al mio banco e sorrise. Il mio stomaco fece una capriola, mi obbligai a dire qualcosa ma uscì solo un sorriso timido e un gesto con la mano. A suo favore devo dire che non sembrò stranito e interpretò bene il mio gesto, si sedette accanto a me e mi porse la mano.
"Sono Nico, molto piacere" disse con il suo strano modo di pronunciare le parole.
"Ciao, sono Will" strinsi la sua mano, era calda, aveva una buona stretta e sentii una scarica elettrica partire dalla sua mano.
Si girò verso la cattedra e il suo profumo mi arrivò alle narici, c'era una nota di bagnoschiuma e detersivo sotto al dopobarba leggero e piccolo accenno di fumo. Ero stranamente incuriosito, volevo conoscerlo meglio e farci amicizia, volevo passare del tempo con lui e sentire di nuovo la sua voce. Ero assolutamente spaventato da questa mia intraprendenza, di solito ero piuttosto incline a frequentare le stesse persone e evitare gli estranei, conoscere nuove persone era un comportamento che tentavo di scoraggiare persino nei miei amici. I miei migliori amici Jace e  Julian mi incoraggiavano spesso a fare amicizia e fare conoscenza con gente, ma io da fifone cronico delle novità e i cambiamenti che potevano sconvolgere la mia routine, tendevo a spaventare persino quelli che mi presentavano, chiudendomi nel mio cinismo e sarcasmo. Per quello sentendo il desiderio di far parlare Nico non avevo idea di come introdurre una conversazione, e quindi fissavo furiosamente il fiorellino che era sul bordo del mio quaderno, quando lo sentii nuovamente parlare.
"Cavolo, quel fiore è davvero interessante, sicuramente più della lezione, ma addirittura più del tuo nuovo compagno, che viene dalla magica terra dell'Italia?" chiese sussurrandomi nell'orecchio. Il braccio mi si ricoprì di brividi.
"Dannata finestra" borbottai "Eh sì, visto? Un capolavoro artistico, degno della tua terra" sussurrai di rimando con una risatina, lui rise a sua volta cominciando a fare commenti pomposi sul mio terribile fiore. Ero orgoglioso di star sostendendo una conversazione con qualcuno di estraneo senza offenderlo e mi stavo battendo il cinque mentale. Nico era simpatico, mi faceva ridere con domande ironiche sui nostri compagni e sul professore a cui era facile rispondere con una battuta, purtroppo per quanto ci sforzassimo di sussurrare le nostre risatine vennero notate dal signo Blitz.
"Herondale! Sento la sua voce per la prima volta da quando è in questo corso, chissà come mai il signor Bellivieri è l'unico ad essere riuscito a farti parlare" mi richiamò, io alzai gli occhi "Chissà se la sua vicinanza potrà aiutarla anche con la conoscenza dell'algebra, prego risponda alla domanda che ho appena fatto alla sua compagna" ghignò proseguendo la sua tortura, e poi si chiedeva come mai non intervenivo mai. Mi grattai la nuca imbarazzato, cercando aiuto tra i miei compagni, poi Tessa, una ragazza carina che a detta di Jace aveva una cotta per me, mi fece cenno con la testa verso la lavagna su cui c'era scritto un problema a  cui mancava una sola formula per la risoluzione. La mia testa era un buco nero di panico, non ne capivo assolutamente nulla di algebra e men che meno sapevo quella formula visto che avevo passato la precedente parte della lezione a ridere con il ragazzo nuovo. Il mio odio per lui aumentò leggermente, non solo mi mandava terribilmente in confusione con il suo modo di fare che mi spingeva a rompere i miei soliti schemi ma mi distraeva persino dalla lezione. Okay, non avrei seguito lo stesso, ma almeno il professore non avrebbe fatto la domanda a me.
Sentii un colpetto al mio gomito e abbassai gli occhi sul banco, Nico aveva scritto una formula. Il mio odio per lui scese di qualche tacca, forse non era così male.Senza nemmeno sapere cosa fosse la dissi ad alta voce, affidandomi a lui
"Wow Herondale, non me lo aspettavo da lei, pensavo passasse il tempo a scaldare la sedia" rispose il signor Blitz con una smorfia, scrisse la formula alla lavagna e proseguì la sua lezione senza più badare a me.
"Grazie Nico, mi hai salvato la vita" sussurrai più piano che potei
"Figurati Will, infondo ti ho distratto io dalla lezione, dovrei anche chiederti scusa" sussurrò attaccato al mio orecchio.
Quella dannata finestra doveva essere riparata. La campanella suonò e io pensai con sollievo alla mia felpa, uscii dalla classe con Nico continuando a chiacchierare. La pausa pranzo stava per iniziare così lo portai alla mensa, dove avevo appuntamento con gli altri ragazzi.
"Ti va se ti offro il pranzo? Sai per avermi completamente salvato il culo" gli chiesi dopo essermi messo la felpa, fermandoci davanti al suo armadietto. Lui mise dentro i libri e si girò verso di me
"Sai dalle mie parti si dice sempre un pranzo gratis non si rifiuta mai, ma non c'è n'era bisogno " rise.
Il primo pensiero che attraversò la mia mente fu: Quanto è figo l'italiano.
"Wow! E quello cos'era? Comunque insisto" risposi sorridendo.
"Ho detto che un pranzo senza pagare non si rifiuta mai, hahaha. Va bene, portami alla mensa cicerone"
Andammo in mensa insieme, continuando a chiacchierare. Mi parlò brevemente della sua vita in Italia, dove sua mamma era la rappresentante estera di una azienda farmaceutica nata e cresciuta a Boston e suo padre il manager di un piccolo locale bar, dove si erano conosciuti. Era cresciuto in Italia ma sua madre parlava inglese in casa e così lo aveva imparato insieme alla lingua italiana. Si erano trasferiti per il lavoro di sua madre e a lui era dispiaciuto visto che là aveva una vita, ma essendo ancora minorenne non aveva potuto fare altro.
Mi parlò di molti suoi amici e hobby lasciati in Italia, tra cui il calcio che come mi spiegò, lì era molto diffuso e spesso i ragazzini venivano incoraggiati a farlo
"Un po' come il baseball qui da voi" disse spingendomi leggermente.
Arrivammo in mensa e gli indicai il tavolo dove io e i miei amici eravamo soliti a sederci, vicino al muro più esterno da dove potevamo avere un'ottima visuale del refettorio, feci cenno a Jace, Julian e Alex che erano già seduti e loro mi salutarono incitandomi ad andare verso di loro.
"Vieni ti presento i miei amici, sono quelli là giù." dissi a Nico che si guardava intorno vagamente frastornato dal rumore della mensa, lui annuì ma sembrava vagamente intimidito.
"Ragazzi, questo è Nico, mi ha salvato il culo con Blitz prima, quindi io vado ad offrirgli il pranzo, trattatelo bene, ok? Nico, questi sono Jace, il biondino con l'aria da idiota - che  fece un cenno ed un sorriso a Nico, seguito da il medio a me, a cui risposi con un bacino- quello con l'aria da artista maledetto è Julian- alzò gli occhi da il drum che si stava girando e sorrise- e quello è Alex" gli presentai tutti e lui rispose stringendo la mano a tutti.
"Ma perchè ad Alex non hai dato nessun nomignolo strano?" chiese Jace lamentandosi mentre facevano posto Nico.
"Perchè lui è normale, idiota" risposi dandogli una spintarella "Voi, sganciate i soldi e gli ordini, vado io ad ordinare ma offro solo a lui"
I ragazzi mi diedero le loro ordinazione i soldi, attesi che il mio nuovo amico mi dicesse il suo ma lui mi guardava in modo strano, come se fosse confuso. Gli sventolai la mano davanti alla faccia in attesa che mi dicesse qualcosa.
"Ehm...boh? Fai tu, qualcosa di buono che non costi  tanto" rispose lui.
Pensai intensamente a cosa prendergli, sapevo di volerlo stupire o magari farlo contento. Fargli pensare che avevo buoni gusti. Optai per un hamburger con patatine, meglio di così! Mangiammo insieme e parlammo molto, i ragazzi lo avevano subito accolto e si trovarono bene con lui, tanto che da quel giorno cominciò ad uscire con noi, e quello fu la mia rovina.

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