Capitolo 5

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Passai il resto della notte fissando il soffitto e la luce che piano piano entrava dagli scuri, che chiaramente avevo lasciato aperti. Erano le 7 passate e io ero di nuovo deciso a eliminare Nico Bellivieri dalla mia vita, ma chiaramente la mia buona stella era andata in vacanza da quando lui era entrato nella mia classe di matematica. Il telefono si illuminò ancora. Altro messaggio vocale, non volevo aprirlo, non volevo dargli ancora corda. Ma poi la curiosità ebbe la meglio e aprii il messaggio.
"Ehi, scusa se non ho più risposto, ma mi sono addormentato, Che dici di venire qui a pranzo? Cucino io. Saremmo soli così potremmo parlare in tranquillità" parlava con tono languido e rilassato, con l'accento un po' più marcato del solito, sembrava proprio che si fosse appena svegliato. Il mio cuore saltò un battito al pensiero che come prima cosa avesse risposto al mio messaggio. Ma la rabbia prevalse subito, dovevo mettere in chiaro che una situazione come l'altra sera non doveva ricapitare, che doveva starmi alla larga e che se lui era finocchio tanto meglio per lui, ma io essendo felicemente fidanzato non volevo le sue mani su di me. Una vocina maligna mi ricordò che ero venuto nel sonno al pensiero di lui che mi toccava, ma come le altre stupide vocine su di lui la scacciai immediatamente,pensando che la mancanza di sonno mi stava facendo diventare pazzo. Infondo essere stato chiuso in casa per tre giorni, rimuginando su un errore commesso da ubriachi, doveva aver mandato dei messaggi sbagliati al mio subconscio, che aveva interpretato quei messaggi come una qualche ossessione per lui. Cosa forse vera, ma che di certo non avrei ammesso ad alta voce.
Decisi di rispondere anche io con un messaggio vocale.
"Ehi, non ti preoccupare, mi sono svegliato anche io ore. Va bene, ci vediamo per le 11? Dovrei andare via per le 4. Più tardi - sbadigliai sonoramente- avrei un appuntamento con Tessa...va bene per te?"
Vidi che scrisse e cancellò per un paio di volte per poi rispondere con un semplice "ok ti aspetto alle 11".
Quando dissi a mia madre che stavo uscendo di casa quasi si commosse e mi ordinò di non tornare per cena. Mia madre era così, mentre tutte le madri pregavano che i figli stessero in casa e la mia mi buttava fuori. Certo, sapevo che era perché io avevo la tendenza a chiudermi in camera e in casa ogni qualvolta mi capitasse un'esperienza traumatica, era perciò sempre felice di vedermi fuori. Soprattutto dopo che due anni prima mi aveva visto non uscire di casa per due mesi, dopo la morte di mio padre. Era un poliziotto e durante una rapina gli avevano sparato. Bum. Niente sofferenza prolungata, un giorno era lí in casa con noi, che ci ripeteva di credere sempre in noi e volerci bene, e il giorno dopo era dentro una bara, sotto la bandiera americana. Ricordo vagamente il suo funerale, so che pioveva e che faceva freddo, che James era piccolo, che mamma era distrutta e tutti ci abbracciavano. Io ero in uno stato di torpore, vuoto assoluto. Nel corso delle settimane successive il vuoto si era trasformato in panico, ed ero entrato in depressione. Due mesi in casa e altrettanti in terapia, mi avevano fatto stare meglio.
Non ero mai guarito del tutto, avevo ancora reazioni esagerate a cose improvvise e fuori dal mio controllo. Dopo la sua morte infatti avevo stabilito tre convinzioni fondamentali a cui non avrei mai e poi mai contraddetto, il basket mi porta al college, la matematica fa schifo e mi piace la vagina. Ma la matematica da quando Nico era entrato nella mia vita non faceva così schifo, quell'ora significava osservarlo, anche se da lontano ultimamente. E poi i sogni e il ballo, le sensazioni quando lo toccavo e i brividi sotto pelle che provavo con lui mi avevano confuso sulle femmine. Per questo avevo reagito così male, pensavo di essermi contraddetto da solo ed essere venuto meno alle mie convinzioni. Con Nico ero uscito dalla mia comfort zone.
Comunque, una volta uscito di casa realizzai che non ero mai stato a casa di Nico, non sapevo nemmeno dove fosse. Così gli scrissi. Sperando che lui mi rispondesse con un messaggio, ma invece mi chiamò. La mia buona stella era in pensione.
"Ehi! Scusa, non ci ho pensato. Ti mando la posizione, ma è un po' complicato arrivarci, meglio se stiamo al telefono" disse nel mio orecchio, cioè visto che avevo il telefono premuto contro di esso. Giuro che non ero ossessionato dalla sua voce.
"Ehm... ok? Tu intanto manda così seguo le indicazioni" risposi titubante. Non avevamo una conversazione da un po' ed ero in imbarazzo. Avevo sognato che mi faceva una sega.
"Nah...ti farò da navigatore io. Segui la mia voce, mio caro Will" rispose ridendo.
"Stupido giubbotto che non tiene il vento" borbottai, mi si erano coperte le braccia di brividi.
"Cosa?"
"No, niente. Dove devo andare ora? Sono davanti al cinema"
"Prosegui dritto e poi gira. Intanto dimmi, che hai fatto in questi giorni? Tu e Tessa ci avete dato dentro?" Chiese malizioso
"Giro dove, Nico? E poi no...sono stato in famiglia, sai...Natale. In realtà Tessa l'ho sentita ieri sera per la prima volta da...la serata in discoteca" sussurrai l'ultima parte, sperando che non tirasse fuori il discorso per strada.
"Ahm.... a destra, poi a sinistra. Come non l'hai sentita? Avete litigato?" chiese preoccupato.
"Ok. No no, solo che ho tipo spento il telefono."
La conversazione proseguí così, su toni leggeri, mi chiese di mio fratello e mia madre, dei programmi per Natale, io feci altrettanto. Presto dimenticai l'imbarazzo e anche tutti i buoni propositi sullo stare lontani . Semplicemente io e Nico ci trovavamo bene, eravamo sulla stessa lunghezza d'onda.
Dopo una camminata di una decina di minuti, uscii dal centro e mi ritrovai nella zona ancora vagamente campagnola. Era piena di piccole case risalenti all'epoca contadina, villette con giardino e palazzine. Nico mi indicò il suo numero civico e io entrai.
Casa sua era grande, arredata modernamente, con ambienti grandi e luminosi. Fuori la neve faceva risplendere anche la luce grigia di dicembre. Era una casa molto bella, esattamente come l'avrebbe voluta mia madre.
Nico mi accolse e ci sedemmo sul suo divano, io volevo subito iniziare a parlare ma lui continuava a fare battute e farmi ridere, cosí lasciai perdere. Giocammo alla play per un po' e poi si mise a cucinare.
"Hai mai mangiato il ragù?" chiese mentre mi dava le spalle, indossava una tuta grigia e una felpa nera che gli lasciava scoperta la nuca. La sua pelle bianca continuava ad attirarmi e quando si girò, per vedere come mai non stavo rispondendo, mi trovò a fissarlo. Sorrideva divertito e per un momento non parlammo, ma rimanemmo a fissarci, occhi negli occhi sorridendo. Poi mi riscossi.
"Ehm...no? Cos'è?" chisei titubante
"Oh cielo, come fai a non saperlo?! È il ripieno delle lasagne" disse sconvolto, io risi per il suo modo di pronunciare la G, e cominciò una piccola discussione che finì con lui che cercava di farmi il solletico. Il mio piano non stava funzionando, ero sempre più a mio agio e felice con lui.
Mi preparò un ottimo pranzo, il più buono forse della mia vita e mangiammo davanti alla tv, commentando una serie che lui vedeva quando stava in Italia. Parlava di questo prete che risolveva crimini al posto delle forze dell'ordine, mi sembrava un po' improbabile però lui continuava a ripetere che in Italia quella era una delle serie migliori, tanto che si era portato il cofanetto con tutti i dvd delle stagioni. Rideva a battute che non capivo, visto che nonostante i sottotitoli in inglese per me, i giochi di parole e l'umorismo italiano non passavano molto bene la barriera linguistica. Si commuoveva quando il prete e il maresciallo giocavano a scacchi, cosa che per me, non aveva senso ma lui sembrava veramente appassionato.
"Sai? Quando ero piccolo, tornato da scuola, con nonna guardavo sempre questa serie, è stata una tradizione per tanto tanto tempo" disse dopo che la seconda puntata era finita, aveva girato il busto e ora mi fissava negli occhi.
"E' una cosa molto dolce...tu lo sei" dissi sussurrando.
"Ah si? Sono dolce, Will?" disse anche lui sussurrando, avvicinandosi a me. Eravamo seduti a gambe incrociate, uno di fronte all'altro. Le mie ginocchia sfioravano le sue. I suoi occhi nocciola risplendevano come quella sera in discoteca. Aveva anche quel sorrisetto malizioso e birichino che aveva quel giorno al campetto.
"Si...lo sei. È carino che tu veda ancora la serie, perché ti ricorda tua nonna. Io gioco a basket perché papà me lo aveva insegnato" dissi guardando verso il basso, non sapevo perché lo stessi dicendo ora e a lui. Non avevamo mai parlato di mio padre.
"Tu sei carino, soprattutto quando non riesci a guardarmi negli occhi" bisbigliò.
"Io riesco a guardarti" risposi senza alzare gli occhi
"Allora guardami" disse con voce roca.
Alzai gli occhi e lui aveva ridotto ancora la distanza e ora era a pochi centimetri da me. Di nuovo sentii i brividi lungo la spina dorsale e la solita voce che urlava di allontanarsi. La ignorai.
"Sei anche molto sexy, lo sapevi?" Disse soffiando sulle mie labbra senza spostarsi di un millimetro.
"Ah...quando,per esempio?" risposi essendo ormai coinvolto da quell'incantesimo che mi catturava sempre quando Nico mi stava così vicino.
"Stamattina, in quell'audio, hai fatto un suono talmente dolce, mi ha fatto uno strano effetto"
"Ho solo sbadigliato, ma grazie..." risposi avvicinandomi a mia volta.
Dio, qualcuno mi aveva drogato, ne ero certo. Non sapevo cosa mi stesse succedendo, ma volevo che continuasse a parlarmi con quel tono, attaccato a me e con quello sguardo negli occhi.
"Che effetto ti ha fatto?" dissi perdendomi nei suoi occhi, ormai la mia pelle era bollente e la vocina ridotta ad un sussurro.
"Non lo so..." disse piegandosi su di me e spingendomi all'indietro, io mi sdraiai sulla schiena. Lui era sopra di me, con le mani ai lati della mia testa e le ginocchia attorno ai miei fianchi.
"Avevi una bella voce anche tu nel primo audio, mi piace il tuo accento. Lo trovo affascinante" dissi ad un centimetro dalle sue labbra, con un tono trasognato, da ubriaco.
Lui si avvicinó ancora e non rispose, annulló la distanza tra le nostre labbra e le premette contro le mie.
Per due secondi mi sentii in paradiso, ma poi arrivò la realizzazione di cosa stavo facendo, che era un ragazzo, che io ero un ragazzo. Tessa spuntò di prepotenza nella mia mente.
Io stavo baciando Nico, non lei, mi ero lasciato baciare.
Sentii come una doccia fredda e mi ripresi. Lo spinsi per le spalle e lo allontanai da me.
"Non sono un frocio!"urlai alzandomi in piedi e allontanandomi da lui, che aveva la stessa espressione di quella sera. Era sconvolto. La rabbia che aveva lasciato il mio corpo fino a due ore prima rimontò dentro di me.
"SE TU LO SEI, BENE. MA DEVI STARMI LONTANO, SCHIFOSO FINOCCHIO" gli urlai contro ancora. Mi guardò con uno sguardo ferito e distrutto, non riuscii più a sopportarlo. Uscii di casa di corsa e me ne andai. Erano le 3 del 23 dicembre e io correvo fuori, nel vento di dicembre con ancora il sapore delle labbra di Nico sulle mie e la sensazione di essermi svegliato bruscamente dopo un bel sogno.

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