Capitolo 9

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Di solito la gita annuale per i senior riguardava sempre la natura, nel corso degli anni si era svolta in parchi naturali e riserve, perciò avevo sperato che quell'anno ci portassero in un posto altrettanto bello. Non fui deluso, la meta era il parco naturale della Cuyahoga Valley, il più grande parco dell'Ohio; una distesa di boschi e fiumi, famoso per il trekking e il campeggio, facilmente raggiungibile e a detta di TripAdvisor molto bello.
Il programma della gita consisteva in 3 giorni di campeggio con annesso trekking per i boschi, cene attorno al falò e cose del genere. Per fortuna non avremmo dovuto dormire in tenda, ma le camminate lunghe ore e animali vari mi spaventavano di più, ero fondamentalmente pigro tranne che per il basket e l'idea di camminare per ore nei boschi con gli orsi e il freddo polare di gennaio non mi attiravano molto. Il paesaggio e la natura mi attiravano, così come il falò e il resto del tempo passato a dormire. Per il resto ero terrorizzato dall'idea di me e Nico, a poca distanza, per 3 giorni 24 ore su 24, ma chiaramente non vedevo l'ora.

La mattina della partenza ci fecero radunare davanti alla scuola molto presto, obbligandomi a svegliarmi ad un orario folle, dopo aver dormito qualcosa come un paio d'ore per l'ansia.
Grosse nuvole grigie, vento freddo e la voglia impellente di tornare a dormire fecero iniziare quella gita con zero entusiasmo.
Dopo un appello lunghissimo di cui non avevo ascoltato una parola e a cui avevo mugugnato per segnalare la mia presenza, salimmo sui bus. Di Nico ancora nessuna traccia.
Visto che ero già stanco mi misi a dormire sulla spalla di Julian, che gentilmente decise di lasciarmi dormire senza lamentarsi.
Nonostante i cori e i vari rumori da autobus pieni di adolescenti riuscì a sonnecchiare per qualche ora e quando mi svegliai l'euforia era passata e tutti dormivano, compreso il mio cuscino. Delicatamente mi spostai e cercando di non svegliarlo presi in mano il telefono. Mamma mandava un messaggio per augurarmi buona fortuna e una sfilza di cuori, le risposi con altrettanti cuori e mi misi le cuffie.
Dopo qualche minuto passato a far vagare lo sguardo notai una testa riccia e molto scura che mi sembrava familiare, Nico era sul mio stesso bus. Bene avrei dovuto solo alzarmi e andare a parlargli, mancava ancora quasi un ora all'arrivo e lui era bloccato qui, con me. Non poteva fuggire o tirarmi pugni. Peccato però che il coraggio mi mancasse.
Non feci nulla, rimasi semplicemente a fissare il paesaggio che lentamente lasciava il posto al bosco innevato, dando la sensazione di essere in una fiaba.
Quando finalmente scendemmo dal pullman era primo pomeriggio e la professoressa ci informò che avremmo dovuto camminare per un po' e che avrebbe fatto piuttosto freddo.
"Ma su con la vita ragazzi, cioccolate calde e una doccia bollente aspettano tutti noi. Il campo dista mezz'ora da qui e se saremo fortunati non nevicherà nel tragitto. Nel frattempo vi informo che passeremo vicino alle cascate ghiacciate, un vero spettacolo della natura. E ora, forza, zaini in spalla e si parte" affermò la nostra accompagnatrice, partendo di buona lena.
Noi studenti la seguimmo con meno entusiasmo, io e i miei amici ci mettemmo infondo alla fila per evitare di dover correre o fare troppa fatica per stare al passo con gli altri.
Imboccammo un sentiero che passava sul lato di una collina e dopo una decina di minuti di passeggiata in cui ero già assiderato, spuntarono le cascate.
Bellissime e imponenti, davano la sensazione di qualcosa di eterno e potente, una divinità imprigionata ma non sconfitta. Nonostante fossero congelate si poteva percepire la potenza trattenuta e la sensazione di impotenza davanti a quella forza della natura. Rimanemmo in silenzio per qualche minuto a fissarle per poi riprendere il cammino.
Poco più avanti di noi, c'erano Nico e Laurelle che camminavano tranquilli, come se stessero facendo una semplice camminata nel centro città, invece che una marcia forzata nel mezzo di un deserto di ghiaccio. Okay forse ero un po' melodrammatico ma ero stanco e assonato, infreddolito e affamato, quindi ne avevo il diritto.
Sentivo le guance rosse e il naso che gocciolava,avevo il fiatone e la cuffia continuava a spostarsi e mi faceva sudare. Lo zaino era pensate e io volevo solo stramazzare a terra, quindi sapevo che non ero esattamente una bellezza in quel momento. Al contrario di quei due che sembravano usciti da una pubblicità di scii. Solo le guance vagamente rosse e gli occhi lucidi tradivano la loro camminata. Dio quanto li odiavo, perfetti anche in quel momento.
Mi fermai ad allacciare le scarpe e dissi ai ragazzi di proseguire. Mi sedetti e appoggiai il piede ad un sasso, decisi di fermarmi un po' a riposarmi. Tanto sentivo le voci dei miei compagni che si allontanavano lentamente. Avrei potuto raggiungerli subito, pensai.
Mentre riprendevo fiato riflettei su come parlare a Nico, non sapevo con esattezza cosa dirgli però volevo chiarire con lui. Volevo che tornassimo come prima, anche senza baci o altro, mi sarebbe bastato essergli amico e ridacchiare durante le lezioni di Blitz. Giocare a basket con lui e tornare a casa sua a mangiare ragù. Farlo venire a casa mia e mostrargli la mia camera. Raccontargli di mio padre.
Mi persi nei miei pensieri, cercando almeno una frase con cui cominciare una conversazione. E cominciai a camminare.
Qualsiasi cosa sarebbe andata bene, anche una scusa stupida. Volevo solo avvicinarmi a lui.
Mentre mi autocommiseravo notai che la luce diventava più dorata e che il cielo stava lentamente diventando rosato. Il mio cervello infreddolito ci mise un po' ad accorgersi che stava tramontando e io non avevo idea di dove fossi o da che parte fossi venuto. Non sapevo dove fosse il campo o i miei compagni.
Grandioso. Ero solo in mezzo al bosco con il sole che tramontava.
"Oh cazzolino."

Nico
Io e Laurelle parlavamo da ore, mi raccontava della Francia e di come le mancasse il cibo, cosa che non capivo visto che non era buono per nulla. Io le parlavo dell'Italia, facevamo battute e ci prendevamo in giro sui mondiali di calcio. Era divertente ma era tutto un modo per non pensare a Will dietro di me, che rideva o osservava la natura e la elogiava. Sapevo che avrei dovuto chiedergli scusa per il pugno, ma mi vergognavo. Avevo cercato di ricambiare con i compiti di matematica che gli avevo messo nell'armadietto, volevo solo che tornassimo come prima. Mi bastava stare vicino a lui a parlare, i baci non erano necessari. Li volevo, volevo lui. Tanto.
Ma non credevo che lui mi volesse, mi sarei accontentato di essergli amico.
Era ormai il tramonto e la professoressa aveva appena annunciato che mancavano dieci minuti all'arrivo al campo quando Jace ci superò velocemente.
Sussurrò qualcosa alla prof, che reagì mollando lo zaino e fermandosi di botto.
"Come sarebbe a dire che Lightwood e Herondale sono spariti? Quanto aspettavi a dirmelo Wayland?! Hai provato a chiamarli?"
"Si Mrs. Loss, li abbiamo chiamati...Alex è andato a cercare Will dopo che si era fermato ad allacciarsi le scarpe ma non lo ha trovato e allora lo continuato a cercare, sta arrivando da noi ma Will non è con lui " disse Jace preoccupato quanto lei.
Julian arrivò assieme ad un Alex con il fiatone e lo sguardo preoccupato.
"Mi scusi Mrs, non volevamo farla preoccupare, pensavamo che arrivasse subito e che fosse solo rimasto indietro, ma poi non c'era e ora farà buio presto ! " disse Alex
L'ansia cominciò a girare tra tutti noi e io realizzai Will era sparito. Faceva freddo, presto avrebbe fatto buio e lui era solo.
In pochi minuti la nostra insegnante organizzò dei gruppi di ricerca e ci disse di tirare fuori le torce, parte del gruppo proseguí verso il campo per cercare aiuto mentre il resto di noi si mise a cercare.
Tartassai di domande Jace e Julian, in gruppo con me, sul posto esatto in cui lo aveva visto l'ultima volta. Mi ripeterono che erano appena passate le cascate e che si erano girati solo un attimo. Avevano anche aspettato che lui tornasse ma era come volatilizzato. Sparito.
Il sole era ormai sparito dietro l'orizzonte e ora faceva davvero freddo. Per nostra fortuna però non nevicava.
Jace propose di dividerci in modo da coprire un'area più ampia e così rimasi solo anche io. Tornai indietro verso le cascate e mentre cercavo di chiamarlo disperatamente, dopo 10 minuti di camminata era ormai buio e mi stavo già demoralizzando pensando di aver sbagliato strada quando riconobbi il sentiero percorso prima.
Cominciai a correre. Convinto che lui era vicino.
Le cascate al buio sembravano una magia, congelate nel tempo, riflettevano la luce fioca della luna e delle stelle.
E poi lo vidi. Era appoggiato di schiena alla staccionata, tremava e si passava le mani sulle spalle. Lo vidi cercare di riaccendere il telefono e sbuffare. Alzó la testa e lo vidi. La sua bellezza mi colpì ancora una volta, sembrava un principe, un essere della foresta. Inavvicinabile e bellissimo.
Gli corsi incontro e senza più pensare a cosa dire lo strinsi, abbracciandolo.
Lui era freddo e mi si strinse addosso.
I brividi mi ricoprirono le braccia e la solita scossa di energia elettrica mi attraversò le viscere.

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