Le dita scivolano veloci lungo i suoi capelli lucenti. Sono così morbidi e lisci che mi sembra di tessere fili di seta.
Mi tornano in mente le mattine afose in cui studiavo come sarta, nella stamberga di zia Amaryllis. Il rumore monocorde del telaio, la finestra che si affacciava sulla piazzetta del villaggio, il profumo del pollo allo spiedo della macelleria all'angolo, una voce baritonale che gridava rimproveri, gli schiamazzi squillanti dei bambini.
Chissà che fine avrà fatto, la vecchia e inacidita Amaryllis. Chissà se si ricorderà di me, la sua giovane e inetta apprendista.
Chissà se qualcuno si ricorderà mai di me.
La mano si arresta sulla sua fronte gelida. La ritraggo e ripercorro quella carezza che da ore sto protraendo con sempre più indolenza.
Lui emette un gemito, un suono rauco e stremato.
Non vuole morire. Non so perché, non si decide a farlo.
«Ti amo.»
Le parole sfuggono dalle mie labbra.
Quante volte gliel'ho ripetuto? Quante volte sarò costretta a ripeterlo?
Lui risponde con un respiro strozzato.
Stringo le ginocchia attorno al suo busto, ho paura che possa cadere a terra da un momento all'altro.
Le sue dita sfiorano la mia caviglia nuda. Percepisco un brivido che si dirama lungo tutto il polpaccio, fino alla spina dorsale, fin dentro il midollo osseo, nei ventricoli del cuore.
È seduto tra le mie gambe. La gonna si è alzata, il pizzo pallido dell'orlo non sfiora nemmeno il pavimento. Una posa invereconda che tanto mi si addice.
La sua testa è appoggiata al mio grembo, come quella di un bambino.
Quest'immagine mi ricorda qualcosa, eppure non riesco a farla emergere dalla coscienza appannata dalla stanchezza.
Sì, sono così stanca che potrei impazzire.
Una risata amara rimbomba in questa sala deserta e silente come una notte avvolta nella nebbia.
Non ho fatto accendere i candelabri, ho lasciato che il buio l'inabissasse.
Lacrime salmastre mi corrodono le guance, il ventre è dilaniato dall'orrore e questo mio fisico inerme, seduto sul trono sfarzoso che ora mi spetta di diritto, sta morendo insieme a quello del mio unico, invincibile, terribile e inguaribile amore.
Lo stringo più forte, mi chino per dargli un bacio su una tempia, gli sussurro all'orecchio parole dolci come la rugiada al mattino, parole che possano redimerlo, parole che possano espiare i nostri peccati, che possano accompagnarlo, per sempre nell'aldilà.
«Ti raggiungerò, ti raggiungerò presto» gli prometto.
Ma lui non molla.
Non vuole mollare, non vuole morire. Non ancora.
E se morisse, se mi abbandonasse davvero, anche io sarei perduta.
Perduta per sempre.
Cos'è meglio? Un'agognante attesa o la certezza di una fine lunga e dolorosa?
«Ti amo davvero.» La voce mi si spezza.
I singhiozzi sgretolano il mio corpo già sull'orlo dell'annichilimento.
Lui non risponde, non può, non riesce. Non vuole.
Il suo sangue, una macchia nerastra dall'odore acre, si sta espandendo fino al tappeto di velluto rosso. Scende i gradini lucidi dell'altare, una cascata purpurea che gocciola senza produrre alcun suono.
Osservo quel fiume in cui sta scivolando via la vita di mio marito.
Mio marito.
Il mio re.
Il mio più acerrimo nemico.
«Mi dispiace.»
Lui sussulta. Sta ascoltando. Finge di essere esanime, forse per dare tregua al mio vaneggiamento, ma sta ascoltando.
«N-n-no...» riesce a pronunciare tra gli stenti.
Lo bacio con foga e gli serro la bocca col palmo della mano.
«Non lo dire! Mi dispiace... mi dispiace davvero. Io ti amo, lo sai che ti amo. E ti amerò per sempre. Per tutta la mia vita mortale. Guardami.» Reclino il suo collo e mi chino su di lui. I miei capelli creano un ventaglio che ci protegge dal gelo che le nostre crudeli azioni hanno dissolto in questa corte di dannati.
«Io ti amo.»
I suoi occhi velati mi sorridono.
Lo bacio sulle labbra.
«Ti amo.»
Quelle parole, ripetute così tante volte, perdono di significato. Sono vanesie, banali.
Niente e nessuno potrà mai definire cosa leghi noi due, anime infernali.
Niente e nessuno, nemmeno la morte.
«Non volevo arrivare a tanto. Ma dovevo farlo, capisci? Era l'unico modo. Era l'unico modo, per tornare libera.»
Fa un lieve movimento col capo, le mie membra fragili lo percepiscono appena.
Torno a pettinare i suoi deliziosi capelli che ancora profumano d'etere e polvere di stelle cadenti.
«Ho dovuto farlo, era l'unico modo.»
Appoggio la schiena contro il sedile.Lui fa un ultimo gesto, prima di perdere totalmente il controllo dei suoi arti. Si àncora alla mia gamba, si aggrappa a essa, come se temesse di affogare, di perdermi, come se temesse che io possa sfuggirgli, abbandonarlo lì, a morire di un lento dissanguamento in una triste e spoglia sala regale.
«Non vado da nessuna parte» lo tranquillizzo con un tono fin troppo severo.
Rimane in silenzio, non ha più le forze per obiettare.
«Ti racconterò la nostra storia, ma dal mio punto di vista. Magari non potrai perdonarmi, però forse potrai capirmi. È giusto che tu sappia perché sono arrivata a tanto. E io ho bisogno di raccontartelo, di confessarti tutto, dall'inizio alla fine. Solo così potrò mettermi il cuore in pace. Solo così potrò mostrarti quanto abominevole fosse il nostro amore.»
Ancora silenzio.
«Il re del mio cuore. Ti amavo allora come ti amo adesso, ma ancora non lo sapevo. Non potevo sapere cosa mi sarebbe accaduto. Ero giovane, sciocca e ingenua, lo ammetto. Partirò dalla fine, se per te va bene. Che poi è stato l'inizio. Partirò da quel pomeriggio d'estate, te lo ricordi? È lì che per me è iniziato tutto. Non il giorno dopo, né tre mesi prima. No. Iniziò tutto in un assolato pomeriggio d'estate. Gli incubi peggiori non hanno bisogno del buio per incutere timore.»
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La Promessa
FantasyUna giovane mortale costretta a lottare con il suo stesso cuore. Un re obbligato a interpretare un ruolo che non gli appartiene. Un principe oscuro la cui identità è una pericolosa incognita. Vandelia vive spensierata nell'assolata isola di Nöa, des...