16. Un ambasciatore

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Mentre Persea mi arricciava i capelli e Khlo cercava di truccarmi, leggevo ad alta voce alcune pagine del libro che mi era stato donato.

Ora, non vorrei suscitare commozione o pietà, ma non avevo mai ricevuto un vero regalo in vita mia. Lupus aveva intagliato per me un lupetto nel legno, Orso rubacchiava spesso al mercato festivo qualche gingillo di scarso valore, Liliana mi donava di sovente i suoi vestiti dismessi, Rosaspina mi aveva scritto una storiella spinta su un quadernino quando avevo compiuto sedici anni, Ortensia cucinava sempre, con l'aiuto della madre, una torta di mele cotogne per il mio compleanno. Leon mi aveva concesso se stesso, il suo amore. Non che non gliene fossi grata, anzi, se l'avessi accettato probabilmente tutta la mia triste storia non si sarebbe verificata...

O forse sì, chi lo sa.

Quello era a tutti gli effetti il mio primo vero regalo: un libro tutto mio. Gongolavo come una bambina davanti agli sguardi perplessi delle due domestiche, rimiravo le illustrazioni curate, la dovizia di dettagli, i titoli delle storie, l'indice dei capitoli e altre corbellerie.

Loro non potevano capire.

Mi dovevo aggrappare a qualcosa, dovevo aggrapparmi a un barlume di speranza, una gioia, una qualunque sporgenza, come quando ero appesa nel vuoto, pochi giorni prima, fuori dalle mura del palazzo. Mi dovevo aggrappare a qualcosa per sopravvivere. Dovevo farlo. Per non crollare.

Era sciocco e infantile.

Ma era la mia unica possibilità.


L'aura del re arrivò pochi istanti prima che facesse il suo ingresso.

La nana si inginocchiò, rimpicciolì come una coniglietta impaurita. Khloris rimase più composta, seppur intimorita, la sua riverenza fin troppo solenne aveva un non so ché di irrispettoso.

«Perché è ancora confinata nelle segrete? Ho vagato ore nel palazzo alla sua ricerca.» Una frustata magica si abbatté sul pavimento, lasciando una scura faglia tra le mattonelle. «Ero stato chiaro, doveva essere spostata nelle stanze dell'ala est.»

Khlo chinò il capo. «La regina madre...»

Questa volta la fustigazione le sfiorò le gambe. La vidi vacillare, impallidire, mi si contorsero le viscere in grembo dal nervoso.

«Io sono il re» sibilò con rabbia.

Un lugubre silenzio aleggiò nella cella. Mi parve che perfino le pareti rimpicciolissero.

«Oggi stesso, oggi stesso sarà fatto, mio re.» La ninfa si inginocchiò a terra, vicino alla compagna.

Rimasi scoperta, ancora seduta alla toeletta, con il libro in mano.

Lui soppesò dall'alto al basso la mia figura.

«Chi la sta vestendo in questo modo osceno?»

Era un abito molto simile a quello del giorno prima, un taglio moderno ed elegante, come non se n'erano mai visti nel mio arcipelago. Una scollatura generosa e spallini sottili lasciavano le spalle e la schiena scoperte. Il colore era di un rosa argentato, minuscoli brillantini rilucevano ogni volta che la luce li scalfiva. Non mi dispiaceva affatto, in altre occasioni mi sarei vantata con le mie sorelle di aver indossato un vestito di tali fattezze.

In altre occasioni.

«La principessa Enyo, Vostra Maestà» rispose prudente Khlo.

Il re era senza maschera, il viso affilato era sempre più stanco e dimesso. Forse era per quello che non lo mostrava in pubblico. Mi incantai a soppesare se potesse essere considerato bello o meno, secondo canoni oggettivi, eliminando ovviamente le corna e gli occhi da cervo. Il naso era troppo dritto, il mento troppo a punta, gli zigomi troppo pronunciati, ma nel complesso, aveva qualcosa, qualcosa che non mi incuteva timore o disgusto, qualcosa che in maniera contorta me lo faceva sembrare quasi... umano.

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