40. Un addio

647 59 235
                                        

"Qualunque cosa succeda, sarà sempre meglio di cadere da una torre alta venti metri."



Me lo ripetei mentre indossavo un abito semplice, di un grigio pallido. Non avevo più nessuna intenzione di vestirmi di bianco. La gonna mi arrivava fino alle caviglie, la parte superiore era aderente, con maniche lunghe abbastanza da nascondere le nocche delle mani.

Calzai degli stivaletti, mi avevano detto che a Niegek avrebbe fatto freddo.

Niente sandali, niente tacchi. Austera e sfrontata, gli occhi ancora gonfi d'amarezza e delusione.

"Come hai potuto ucciderli? Erano giovani e buoni. Mel aveva appena scoperto cosa fosse l'amore e dell'altro non conoscevo nemmeno il nome. Avrebbero potuto vivere ancora cento, mille vite, visitare luoghi remoti e sconosciuti, divenire genitori. Antheia l'avrebbe voluto un figlio da Mel, Antheia avrebbe voluto da lui qualsiasi cosa le avesse potuto donare. E invece ha ottenuto solo il suo cuore. Perché l'hai fatto? Perché ne hai sentito il bisogno?"

Strinsi la mano a Persea. Nessun addio, c'eravamo salutate già troppe volte.

La sirena era fuggita e Khloris...

La rividi sulle scale. In forma umana.

Una ragazza dalla pelle color ebano, lunghi capelli lisci e bruni, occhi di un verde così vorace che sembrava aver rubato l'essenza stessa della primavera.

«Khlo?»

Lei annuì, felice che l'avessi riconosciuta. Indossava ancora l'abito di iuta delle donne di servizio a palazzo, avrei scommesso che al collo portasse pure il collare magico. Allora perché quell'aspetto? I lineamenti erano gli stessi, ma i colori mi turbavano. E dov'erano le sue candide e soffici orecchie da lupo?

Mi abbracciò forte, soffocò i singhiozzi sul mio collo.

Ebbi quasi paura a stringerla, era dimagrita ancora.

«Ti ricordi la nostra promessa?»

Scossi la testa, spaesata.

Vivevo imbrigliata in un dormiveglia. Vivevo in un incubo e non riuscivo a prendere fiato.

«Lo sai perché mi sono innamorata di te? Ci avevano dato l'ordine di pulire e vestire una prigioniera. "La puttana di Niegek", così ti avevano rinominata le guardie. Io pensavo di trovarmi davanti un mostro, perfino Persea era spaventata. Invece sei comparsa tu, piccola e fradicia, di una bellezza rara, con occhi tempestosi e una lingua più affilata di un pugnale. Urlavi a squarciagola maledizioni senza possedere un briciolo di potere nelle vene. Eri odio, coraggio, follia, eri vita allo stato puro. Qualunque immagine mi fossi fatta di te, delle mortali, delle Gemme Sacre, tu l'hai sovvertita. Hai ribaltato la mia dimensione. Mi sei entrata dentro e non sei più voluta uscire, piccola Vandelia, nata di lunedì. Non mi hai permesso di festeggiare il tuo compleanno, non ci hai voluto dire il giorno. Ora hai diciott'anni e te ne devi andare. Il tuo animale preferito è ancora il delfino? E il tuo colore l'azzurro? Avrei detto il bianco, sai? O il rosa. Tra i vestiti che ti portava Enyo sceglievi sempre quelle sfumature. Ti piace ancora danzare, V.? Mi sono pentita di non esserti venuta a vedere. La gelosia mi ha uccisa, sapevo che non avresti mai ballato per me. Ti ricordi il nostro sogno? Noi due distese su un prato assolato, stormi d'uccelli che migrano in cielo, una torta agli agrumi. Ti avrei raccontato mille favole pur di tenerti con me per sempre.» Mi baciò una guancia. Era bagnata. «Andrò a Is Nöa. Dovessi metterci quattordici o ventotto anni, dovessi restare in mare aperto a cercare un varco per secoli, io troverò la tua terra natia. Controllerò che tuo padre abbia la tomba più bella di tutte. Ristrutturerò la tua vecchia dimora, riporterò l'orto al suo antico splendore. E sulle pareti di camera tua, inciderò con un punteruolo i nostri nomi, in modo che tu non li possa mai dimenticare.»

La PromessaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora