8. Un risveglio inaspettato

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"Il problema, adesso, sarà che di te non ne avrò mai abbastanza."



«Elijah!» lo chiamai al mio risveglio.

Davanti ai miei occhi apparve una figura esile, con una tunica sgualcita da cui sbucavano lunghe e ossute braccia verdi, i capelli dello stesso colore erano raccolti in una lunga treccia scomposta.

Le sue candide orecchie pelose fremettero di preoccupazione.

«Ti sembra che io possa assomigliare al tuo Elijah?»

Mi rialzai rabbrividendo, e d'istinto mi portai il lenzuolo fin sopra il petto, come fosse uno scudo in grado di proteggermi da quella immonda creatura infernale che giaceva ai piedi del mio materasso.

«Ma dico, sei impazzita?! Mi hai fatto prendere un colpo! "Di' loro che sono morta". Mi prendi in giro? Quando l'ho saputo, mi sono sentita male. Ho vegliato su di te per tutta la notte.»

I suoi occhi erano affossati sotto due occhiaie spesse e raggrinzite. Sembrava sinceramente preoccupata.

Intravidi sulla sua schiena ampi screzi di un rosso acceso, cicatrici infuocate di una punizione che io le avevo provocato, non permettendole di truccarmi. Lei si sciolse veloce i capelli ondulati, per coprirsi.

«Non è questo il problema adesso, lascia perdere.»

Aveva colto il mio sguardo, le sue guance si tinsero di rosa. Per la seconda volta riflettei che in fondo, nonostante fosse un mostro, era anche in un certo senso molto carina.

«Ti sei accoltellata!» strillò a pieni polmoni, trapassandomi i timpani.

Sussultai di nuovo e mi scoprii rapida l'addome; alzai fin sotto il seno la vestaglia da notte che qualcuno mi aveva fatto indossare, seta, pizzetto e merletti dai motivi floreali.

La ninfa si portò le mani davanti agli occhi, lasciando solo due dita leggermente separate per permetterle di sbirciare il miracolo che le stavo palesando.

Non c'era più nulla.

Ebbi un capogiro. Lei accorse verso il comodino e mi porse solerte una tazza ricolma di quel liquido dal profumo agrumato che avevo rifiutato durante la fatidica cena.

Le afferrai il polso e la costrinsi a sedersi vicino a me.

La pelle del suo viso era rossa come se si fosse scottata sotto il sole.

«Cos'è successo?»

Balbettò un po' prima che riuscissi ad afferrare il significato delle sue parole.

«T-ti hanno curata. Non potevano permetterti di morire.»

Notai solo allora le mie mani e le mie gambe. Un brivido le scosse con veemenza. Ogni cicatrice era stata cancellata dal mio corpo. Controllai febbrilmente da ogni parte: lividi, lesioni, calli, piaghe, smagliature, le bacchettate che mi erano state inflitte a scuola, le ustioni provocate dal forno a legna, quello sfregio causato dallo zoccolo di una delle nostre vacche... Tutto scomparso.

«Un effetto collaterale. Eri quasi morta, ha richiesto moltissima magia. Ma la magia, quando è così forte e intensa, non ha mai un pieno controllo di sé, per questo ha guarito tutto il tuo corpo.» Mi posizionò una mano sulla spalla. Era ancora insicura nonostante quel sorriso triste e dolce allo stesso tempo. «C'era qualche cicatrice che volevi mantenere?»

Scossi la testa. Non sapevo cosa stesse a significare.

«Secondo le nostre usanze, alcune cicatrici sono un simbolo venerabile della vita trascorsa, alcune di loro portano tracce delle sfide che abbiamo combattuto, delle vittorie, delle perdite, dei sacrifici che...»

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