13. Una cena maledetta

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Khlo tornò nel tardo pomeriggio, accompagnata dalla nana.

Accolsi entrambe con piroette dettate dalla gioia, infinitamente grata di non essere più costretta all'isolamento.

Alla nana cadde la cesta dalle braccia e tutti i cosmetici si sparsero sul pavimento. L'aiutai a ripulire. Aveva ancora timore di me, che la potessi maledire.

«Siediti Vandelia, non porto buone novelle.» La cameriera aveva subito assunto un colorito rosato.

«Chiamatemi V.» cinguettai.

«V., stasera sei stata invitata alla cena di corte. Per questo siamo qua entrambe, ti dobbiamo vestire.»

Scattai in piedi e iniziai a imprecare.

Perché mai avrei dovuto presenziare? Una prigioniera a un gran galà di corte? Una prigioniera al cospetto del re? Perché? Cosa volevano da me? Non gli bastava avermi intrappolata, avermi resa schiava e orfana in una mezza giornata? Volevano infierire? Mi volevano umiliare? Volevano vedermi crollare?

Khlo mi riportò a sedere con calma. La minuscola demone era così terrorizzata dal mio turpiloquio che teneva una mano sulla maniglia della porta, pronta a darsi alla fuga nel caso avessi iniziato a lanciare anatemi.

Se solo avessero funzionato...

«Ascoltami, sciocchina.» La ninfa si sedette sulla nuova toeletta, posando la sua mano calda sulla mia spalla. «Le voci sul tuo secondo insano gesto si sono diffuse ancora più veloci delle prime. Tutti i cortigiani si sono persuasi che tu sia morta. Sono allarmati. La morte di una fanciulla delle Gemme Sacre a palazzo! Hai idea del flagello che ricadrebbe su tutti noi?»

«Ma siete davvero così superstiziosi?»

«Un tempo, parecchi anni or sono, una ragazza mortale rapita dal tuo arcipelago e venduta al mercato della carne fuggì dal suo padrone e s'impiccò a un cedro che sorgeva nella piazza centrale del paesino che lui, col suo sommo potere, governava.» Era stata la nana a parlare. La sua voce era bassa e pacata, la pronuncia perfetta, senza alcuna inflessione demoniaca. «Portava in grembo il figlio di uno dei suoi stupratori. In seguito alla sua morte, gli abitanti del villaggio perirono dopo atroci sofferenze. A niente servirono gli aiuti dall'estero, l'intervento degli oracoli, i riti propiziatori, gli esorcismi, perfino l'avvento del re in persona. L'ultimo a crepare, dopo una lunga ed estenuante agonia, privo di denti e altri orpelli, con la pelle scorticata e le viscere in fiamme, fu proprio quell'uomo che l'aveva costretta al suicidio. Da allora in quel luogo non cresce più nulla, a parte il cedro. Nessuno vi abita, nessuno osa visitare quelle rovine. La foresta ha inghiottito ogni cosa. Si dice che chi l'attraversi, mancando di rispetto alla defunta e al suo feto, sia destinato a morire nel giro di una settimana.»

Io e Khlo ci scrutammo compite.

«Sì, ma tutto questo cosa c'entra con me?»

«Hai maledetto più volte la corte e poi ti sei gettata dalla finestra. Non trovi qualche parallelismo?» Il tono della nana era un po' spocchioso.

«Primo, io volevo fuggire, non uccidermi. Secondo, sono ancora viva, a quanto pare.»

La ninfa sospirò. «Questo lo dimostrerai stasera. Tranquillizzerai gli ospiti del re e i suoi funzionari. Un conto è rapire la promessa sposa del Principe di Niegek, un conto è istigarla al suicidio.»

«Ma io...»

«V., non hai altra scelta.»

Mi costrinsero a indossare un candido vestito principesco, con una gonna di tulle a campana, un profondo scollo a barca, lunghe maniche di pizzo, un nastro rosato stretto in vita, punti luce diamantati sparsi qua e là. La schiena rimase nuda, i capelli mi vennero acconciati in morbidi boccoli così rarefatti che non parevano nemmeno più capelli, ma spirali magiche aggrappate alla mia nuca. Per fortuna essi si liberarono presto di quella piega fatata e già mentre mi truccavano ripresero a scorrere ribelli sulle spalle scoperte.

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