32. Un bacio sofferto

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«Principessa, ti sei mai chiesta se siamo davvero noi demoni i cattivi in questa triste storia?»

«Cosa vorresti dire? Noi mortali non abbiamo poteri magici, non abbiamo l'immortalità, agiamo solo per legittima difesa.»

«Essere deboli non vi rende buoni, amore mio. La crudeltà sfocia da una debolezza estrema.»



La giacca era caduta ai miei piedi, insieme a un miscuglio di emozioni contraddittorie, di ricordi dolciastri e di vampate di calore che parevano ormai un ricordo lontano.

Mi riebbi a fatica, morsi forte il pugno della mano, lasciando il segno degli incisivi sulla pelle. Soffocai la sofferenza crescente proprio in mezzo al petto. Il dolore fisico mi restituì la lucidità mentale che il dolore emotivo mi aveva sottratto.

Mi guardai attorno.

La camera era illuminata da fioche luci che galleggiavano appese ai muri, legate a spesse catene d'ottone.

Individuai subito l'arazzo. Il letto era disposto quasi al centro di quella cupa stanza di mattoni grezzi e tessuti antichi. Dietro di esso, un cervo dorato dalle corna arzigogolate mi fissava sprezzante con la fronte corrucciata. Ai suoi piedi giaceva una corona nascosta tra gli arbusti, alle sue spalle le vette innevate fornivano l'ambientazione ideale per elevare la sua imponenza.

Mi aggrappai a esso, strappai i passanti e lo gettai al suolo.

La porta era in legno massello, dischiusa.

Stava andando tutto troppo bene, era stato troppo facile, troppo plateale.

Scoprii che la mia mano tremava quando mi avventai sulla maniglia.

"Mi sarai fedele, sciocca di una mortale?"

Lacrime aspre come gocce di limone negli occhi.

"Io sempre. Yhun."

Combattevo una battaglia spietata. Volevo davvero fuggire? Amavo davvero così tanto la libertà? C'era una speranza, là fuori, che io potessi tornare a casa?

Cosa mi sarebbe accaduto, se fossi rimasta?

Nessuna promessa, nessuna possibilità. Il re di Airene in più occasioni aveva cercato di infarcire le sue chiacchiere con velate informazioni sulla mia futura dimora. Io l'avevo ignorato, avevo finto di non capire, di non voler sapere, di essere troppo ottusa per recepire il messaggio.

Ma in realtà avevo inteso l'antifona.

E d'altra parte, era stato questo a fermarlo, il motivo per cui non si era spinto più in là.

Ero la promessa sposa del principe di Niegek.

"Mi sarai fedele, sciocca di una mortale?"

«Col cazzo, Elijah!»

Una parte di me lo vide ridere sinceramente divertito. Illuminato dalla luce lunare riflessa in una fonte d'acqua immersa nella fitta vegetazione, mi stava ancora aspettando, non avrebbe mai smesso di farlo.

Quella fu la scossa di adrenalina che mi servì per agire.


Il corridoio era umido, le pareti strette, altissime, ma senza finestre. Avanzai a tentoni, nel buio più totale. I demoni non avevano bisogno della luce per vedere. L'illuminazione per loro era solo uno di quegli aspetti culturali che avevano adottato senza alcuna ragionevolezza.

Calpestai qualche coda di topo, li sentii squittire alle mie spalle, mentre le mura riecheggiavano il frastuono della festa che era ancora all'apice della sua follia.

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