39. Una rivendicazione

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Di me non era rimasto più nulla.

L'alba scompare quando il sole sorge. Ogni momento trascorso tra le braccia di Anis giaceva carbonizzato in un braciere spento. Il vuoto nel petto dà le vertigini. Puoi caderci dentro, se guardi il fondo troppo a lungo. Riemergere integri è impossibile. La caduta ti spezza l'anima, ti cambia.

C'era nebbia ovunque guardassi, una spessa coltre che mi separava dalla realtà.

Khloris entrò con la grazia di una leggiadra ballerina.

La porta l'avevo lasciata aperta.

«Chiamami il re.»

Non potevo guardarla in faccia, non dopo ciò che mi era successo.

Ripetevo quell'ordine come una litania.

Li avrei presi tutti per sfinimento.

Lui mi doveva una spiegazione. E io la dovevo a lui.

Ero corsa incontro al demone di cui mi ero invaghita, al demone che mi aveva ingannata, al demone che mi aveva dannata. Gli ero corsa incontro... perché? Non riuscivo a ricordarlo. Ciò che provavo per Elijah era un sentimento tossico. C'era odio, sì, ma rimanevano albori di un amore mai lenito, antichi ricordi, frasi smielate, farfalle che dallo stomaco risalivano in gola. E mi veniva da vomitare se pensavo a cosa mi avesse costretta a fare, al modo in cui mi aveva trattata, al modo in cui io mi ero piegata, a come io fossi impotente e me ne rendessi conto solo ora per la prima volta.

Elijah era diverso.

Non avevo mai avuto paura di lui. Mai. Ma da quel giorno, da come mi aveva stretta nella sua morsa, da come mi aveva costretta a smettere di frignare, non mi sarei mai più fidata.

«Non vuole venire.» Si avvicinò di soppiatto. «Vandelia...»

Finsi di agire d'istinto. In realtà erano ore che soppesavo l'intenzione. Tirai un pugno contro lo specchio. Le nocche si sbucciarono, colò sangue sulla toeletta, scivolò sul legno e sui pettini ben allineati. Non riuscii a romperlo, era infrangibile. Vetro fatato.

Temevano il mio suicidio.

Ma ci sono tanti modi per ferire una mortale e tanti modi per recarle dolore.

Convulsamente iniziai a tirare pugni a raffica, sempre con la stessa mano. Khloris mi afferrò per le spalle, mi costrinse ad arretrare, mi cinse la vita con liane cosparse di germogli in fiore.

Il danno però era fatto, il metacarpo si era fratturato, la pelle si era strappata.

La serva chiamò aiuto. Accorsero alcune guardie sconosciute. Il mio bel vestito rosa non sarebbe mai più venuto pulito, nessuno l'avrebbe più indossato. Invece che urlare, risi.

«Vandelia ti prego...» Poggiò la fronte nell'incavo del mio collo, esasperata.

Le rivolsi per la prima volta l'attenzione. «È l'unico modo. Mi ascoltano solo se mi comporto da pazza. E questa è la parte che so recitare meglio. Mi rappresenta. Tu non trovi?»


Il re si fece attendere due ore. Scandii il tempo schioccando la lingua contro il palato, un secondo alla volta.

Se fiutò il mio tormento, non lo diede a vedere. Altero e rigido nei suoi vestiti da soldato, mi fece solo una grandissima pena.

Un ragazzino intrappolato nel corpo di un demone superiore.

Allontanò la servitù. Rimanemmo soli.

Non fiatò. Non disse una parola.

«È così allora che finisce?» spezzai il silenzio.

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