CAPITOLO 7 - NOSTALGIA DI CASA

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OSMAN

Da qualche giorno mi trovavo nel sud della Francia a Saint Tropez, per le riprese di uno spot per una nota marca di abbigliamento locale. Da tanto tempo mancavo da casa, il mio lavoro ormai mi assorbiva totalmente, sorridevo tra me e me pensando che ero diventato un viandante senza fissa dimora. Mi mancava il mio quartiere, le persone che lo abitavano erano diventate la mia famiglia da quando io e Ayhan eravamo rimasti soli e mi mancava mia sorella. Decisi di fare quattro passi e raggiunsi così lo splendido porto. Saint Tropez era un'antica città di pescatori e ancora oggi conservava il suo antico fascino. Mi sedetti su una panchina per lasciare andare i miei pensieri guardando i gabbiani volare e, immediatamente, il mio pensiero andò alla mia Sanem, quanto amava i volatili! Pensai a quanto l'era accaduto negli ultimi anni, a quanto aveva sofferto e a quanto poco tempo le avessi dedicato a causa del mio lavoro. Sperai in cuor mio che la scelta di sposare Yigit fosse stata fatta con sentimento e che quest'ultimo l'avrebbe resa felice. Pensai inoltre con rammarico che non avevo potuto esserle vicino nemmeno in quel giorno.

Il mio sguardo si spostò sul molo e sui marinai indaffarati con le loro imbarcazioni. Ce n'erano di ogni foggia: grandi, piccole, di lusso, da nababbi e di gente comune, tutti accomunati dal darsi da fare con le proprie forze. Uno più degli altri attirò la mia attenzione, forse la nostalgia di casa mi stava giocando un brutto scherzo ma a centinaia di chilometri di distanza dalla mia Istanbul mi parve di vedere un volto conosciuto. Mi avvicinai incuriosito, non potevo credere a ciò che i miei occhi vedevano. Can Divit era di fronte a me. Ci guardammo sorpresi e allo stesso tempo compiaciuti, come due esuli in terra straniera. Scese agilmente dalla sua imbarcazione con il suo fisico possente e mi si parò davanti. Mi abbracciò commosso e rimasi sorpreso da questo gesto. C'eravamo conosciuti e frequentati durante la sua storia con Sanem ma non avevamo mai approfondito la nostra amicizia al punto tale da aspettarmi questo. Anche per lui non doveva essere facile vivere lontano dai propri affetti pur avendolo scelto. Quando ci staccammo da quell'abbraccio, lo guardai. Quello che vidi fu un uomo diverso da quello che avevo conosciuto, del Can Divit forte, fiero, determinato, sicuro di sé, l'uomo che con la sua barca aveva sfidato mari e tempeste per permettere al mondo di vedere ciò che la sua macchina fotografica aveva catturato, non ne era rimasto nulla. Aveva lo sguardo assente, profonde occhiaie che gli solcavano il viso e lunghi capelli trascurati a incorniciarglielo. Persino il suo abbigliamento non era da lui. Il suo fisico statuario ora altro non era che l'involucro di un uomo in frantumi. Ancor prima di parlargli mi resi conto di avere davanti a me una persona che aveva sofferto molto e che lo stava facendo ancora. Il tempo non l'aveva aiutato, nonostante il lungo periodo di lontananza la sofferenza che gli provocava il ricordo della sua Sanem era ancora viva nel suo cuore ed era così tangibile da essere percepito da chiunque.

Mi chiese educatamente che cosa mi avesse portato in quella città e gli raccontai che ero lì per uno spot pubblicitario che si sarebbe svolto il giorno successivo in una spiaggia vicina, che avevo qualche ora libera dalle riprese e che avevo deciso di prendermi una pausa facendo una passeggiata avendo nostalgia del mare. Arrivò anche il mio momento di fare domande e gli chiesi che cosa ci facesse lì. Era in evidente difficoltà, non era facile dirmi così su due piedi che stava scappando dalle sue colpe, dai suoi rimorsi e dalla sua Sanem. M'invitò a salire sulla sua barca e a bere qualcosa con lui e poi, come un fiume in piena, come una persona che ha raggiunto il limite, con gli occhi pieni di lacrime si liberò di tutte le sue angosce e di tutti i suoi pensieri. Mi raccontò che dopo quell'ennesima discussione e l'accusa a lui mossa aveva vagato per mari per quasi tutto l'anno toccando la terra ferma solo per approvvigionamenti, non mi nascose che tra le varie possibilità aveva considerato anche quella di farla finita, la vita senza Sanem non aveva senso e tutti avrebbero vissuto meglio senza di lui. Nessuno avrebbe sentito la sua mancanza ad accezione del padre, disse. Mi parlò di Yigit, del diario bruciato, della spinta datagli (che aveva irrimediabilmente compromesso la sua vita per sempre) del suo sentirsi profondamente in colpa per quel gesto ma più di tutto mi parlò di Sanem, di quanto lo avesse fatto soffrire capire che non fosse dalla sua parte, leggere nei suoi occhi la paura di poter essere trattata nello stesso modo un giorno e soprattutto il non aver tentato di fermarlo. Inevitabilmente mi chiese di lei, se avevo sue notizie, se stesse bene. E qui cominciarono le mie difficoltà. In un attimo dovevo capire cosa fosse meglio fare. Tacere una verità scomoda oppure mentire spudoratamente? Con che parole potevo dire a un uomo visibilmente distrutto che la sua Sanem, vittima di un terribile incidente stradale dal quale era uscita viva per miracolo, non ricordava più nemmeno di averlo conosciuto e soprattutto che aveva sposato il suo peggior nemico?

La fortuna fu dalla mia parte. Un enorme trambusto all'esterno della barca catturò la nostra attenzione. Ci sporgemmo e fummo spettatori di un rocambolesco inseguimento terminato con l'arresto da parte dalla polizia di un pericoloso trafficante di droga al quale davano la caccia da parecchio tempo. Una soffiata li aveva avvisati che si trovava su una delle barche armeggiate al porto. Tutto ciò portò scompiglio e interesse allo stesso tempo da parte di tutti gli occupanti delle barche. In seguito all'arresto, tutti i proprietari delle imbarcazioni presenti furono interrogati come persone informate sui fatti ed anche a Can toccò il medesimo trattamento.

Il parapiglia verificatosi e l'interrogatorio esaurì, fortunatamente, il tempo a mia disposizione, era ora di tornare al mio albergo e prepararmi per la partenza. Il mattino successivo le riprese sarebbero cominciate all'alba pertanto saremmo partiti durante la notte.

Salutai Can che, ancora alle prese con la polizia, mi rivolse uno sguardo interrogativo, non avevo risposto alle sue domande ma, ne ero certo, non avrebbe sprecato l'occasione di sapere qualcosa di Sanem, sarebbe venuto a cercarmi. E quel giorno avrei dovuto avere le risposte pronte.

LA FIAMMA DEL RICORDODove le storie prendono vita. Scoprilo ora