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Sfondo il vetro del minimarket e mi fiondo a recuperare qualcosa da mangiare. Dio, sto morendo di fame.

Ho passato una notte infernale per colpa di quei mostri infetti. A trent'anni vorrei piangere come un ragazzino.

Potrei farlo, sono solo. Teoricamente, potrei fare tutto quello che mi pare: pisciare in strada, urlare al vento, spaccare cose. Ma forse non ha senso esprimermi, se non ho nessuno con cui condividere.

In mezzo a calcinacci e resti di cibo spazzatura, avverto uno scricchiolio non identificato dal fondo del locale. Col cuore in gola, mi abbasso dietro a uno scaffale rovesciato e prego di non dover continuare a correre e pregare di sopravvivere. Non ho armi, dannazione! Se sono vivo è solo grazie agli anni di nuoto agonistico.

Strizzo gli occhi, sperando che il mostro se ne vada al più presto. Tuttavia... i passi sono più leggeri rispetto ai tonfi sordi degli infetti.

"Chi va là?"

Una voce. Una voce umana giunge alle mie orecchie e invade i timpani. Non ci posso credere, è reale?

Lentamente, emergo dalla pila di confezionati e vengo allo scoperto. Mi ritrovo un fucile a canna lunga puntato contro. Ma negli occhi dell'uomo c'è solo stupore.

"Sei..." sussurra, mentre io ringrazio il Dio in cui non ho mai creduto.

Mi sento le ginocchia molli, gli occhi si fanno lucidi. È vivo e non è un cazzo di mostro bavoso e cannibale! È come me... ha la barba lunga e i capelli folti e arruffati, completamente sfatto e sporco di macerie.

Ci guardiamo per un attimo, incerti sul da farsi. Stiamo valutando la reciproca pericolosità, ma c'è poco da diffidare, siamo sulla stessa dannata barca che affonda.

"Cristo..." la mia prima parola dopo mesi, forse anni, di silenzio. Mi esce roca, rotta, ché non riesco a credere di aver trovato qualcun altro, per puro caso, poi. È lui a dare voce ai miei pensieri.

"Tutto questo tempo solo come un cane, cazzo!" getta l'arma a terra e mi travolge con la sua massa muscolare. È pesante e avvolgente, meravigliosamente caldo.

Lo abbraccio, anzi, mi aggrappo. È più grosso di me, più barbuto e puzzolente ma, Dio, se sono felice! Qualcosa mi si scioglie nello stomaco: un groppo di ansia e disperazione che mi serpeggiava dentro da troppo tempo. Mi sento scoppiare di gioia.

"Come ti chiami, fratello?" mi scuote, commosso anche lui.

Mi stacco per guardarlo meglio in faccia, avrà quasi dieci anni più di me e una bella faccia con cui condividere il mio cibo, d'ora in poi.

"Alex" dico piangendo, come un demente. Mi vergogno di stare a frignare davanti a lui, ma proprio non riesco a controllarmi. Sono così dannatamente contento, e mi sento improvvisamente più al sicuro. "Dove... Dove hai trovato quel fucile? Hai ancora cartucce? Ah, scusa! Tu sei...?"

"Marco" lui scoppia a ridere, una risata di liberazione. O forse io balbetto come un cretino e faccio ridere, non lo so. "Vengo da sud, sono incappato in uno sgangherato negozio d'armi. Una vera benedizione!"

Marco. Un nome da vivo, di un uomo che respira e cammina e soffre come me. Vorrei strapparmi i capelli dal sollievo.

La mia mano è ancora stretta al suo cappotto logoro, devo sincerarmi che non sia solo un'allucinazione. "Bene, dove sei diretto?" chiedo, tentando di darmi un tono.

"Cavolo, fratello, ovunque tu vada" dichiara, e io gli sorrido a trentadue denti.

Sì, adesso che ci siamo trovati dobbiamo iniziare a marciare insieme. Ho altre due braccia a disposizione per costruire rifugi nella foresta – dove la densità di infetti è molto più bassa – e per cercare armi, cibo e medicine a lunga conservazione. Sono l'essere più schifosamente felice del mondo.

Non smettiamo di guardarci e sorridere come babbei, finché la cosa inizia a farsi imbarazzante.

"Sono già le due del pomeriggio" osserva il suo orologio, col vetro rotto. "Ho trovato un rifugio antiatomico a due isolati da qua, tu dove ti andavi cacciando?"

Infilo qualche pacco di merendine nello zaino e annuso un barattolo di fagioli, trovandolo rivoltante. "Antiatomico? Siamo in Italia, amico, mica nel Kansas. Io cambio tetto ogni notte, ma nelle ultime dodici ore ho fatto il Forrest Gump della situazione."

"Sarai stremato" osserva, e lo vede dalle mie occhiaie e dalle gambe che ancora mi tremano.

"Sto bene" sento l'urgenza di radermi questi quattro pelacci biondi che ho in faccia. Ora che c'è qualcuno con me, posso smettere di fare il barbone e devo cominciare a lavarmi almeno una volta al giorno.

"A proposito," me ne esco "conosco un posto con l'acqua diretta. Andiamo a farci una doccia?"

"E me lo chiedi? Perché non l'hai detto subito? Non mi lavo da due settimane!" sbotta, talmente allegro che pare volermi saltare addosso per abbracciarmi di nuovo. No grazie, puzza troppo.

Marco mi precede e io non smetto di fissare la sua schiena ampia e il passo sicuro. Una persona. Mi sembra di sognare. Ora so che Dio esiste.



















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