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Due anni dopo

Tivoli, Italia







Io e Marco ci stringiamo nella stessa coperta, creando un grosso involtino di felicità.

Abbiamo molti letti a disposizione, nella nostra nuova casa, ma dormiamo sempre appiccicati sullo stesso baldacchino d'epoca.

Villa D'Este è uno dei palazzi più belli d'Italia. Abbiamo faticato come schiavi per pulirla da infetti e metterla in sicurezza, ma ne è valsa la pena.

Alla fine abbiamo trovato di meglio, a Monaco: un camper con parecchie taniche di benzina annesse. Abbiamo viaggiato un anno intero alla ricerca di un posto paradisiaco che non fosse Vaduz, dato che i coloni avrebbero potuto cercarci lì – dal momento che avevamo detto loro di venire da là e volerci tornare. Andare in altre parti d'Europa era fuori discussione: l'Italia sarebbe stata la nostra partenza e il nostro arrivo.

Da quando non abbiamo più la smania di trovare altri sopravvissuti, è come se io e Marco fossimo i nuovi Adamo di questo Eden.

Che si fotta la ricolonizzazione del pianeta. Anzi, se l'umanità si estinguesse del tutto sarebbe solo un bene, dopo tutte le porcate che abbiamo fatto alla nostra razza e all'ambiente.

Abbiamo reso il palazzone della villa una vera roccaforte, comunque. Deviato la corrente elettrica in rudimentali sistemi di sicurezza, e ci siamo anche assicurati una perpetua fornitura d'acqua, smanettando col potente sistema idraulico locale. Abbiamo stabilito i nostri punti di rifornimento e andare a caccia non è mai stato così facile, dal momento che questa parte di Tivoli è immersa nel verde e da tempo la selvaggina ha ripopolato i dintorni.

Le nostre giornate sono piene di lavoro e amore.

Dopo i nostri doveri verso la villa e di sostentamento, io e Marco scorrazziamo per tutto il palazzo e scopiamo su ogni mattonella e su ogni scalino di questo posto.

Siamo la coppia sterile di questo nuovo mondo, il ritratto di una felicità sana. Io e lui siamo amici, fratelli, amanti, siamo tutto l'uno per l'altro. Siamo pronti a invecchiare insieme e, ahimè, a seppellirci a vicenda – in un giorno il più lontano possibile.

"Ti amo, Al."

Ci stendiamo di nuovo tra le lenzuola candide. Lo facciamo per la terza volta, oggi. È tutto come a Vaduz, se non meglio.

Non pensavo di meritare questa felicità. Ma ho lottato ed eccoci qua. Marco mi ama, l'ha sempre fatto a modo suo, da uomo a uomo.

"Anch'io" ci abbracciamo completamente nudi, perché in paradiso non c'è bisogno di vestiti.

"Dopo un anno passato a rimettere in piedi questo posto, ancora non ci credo che è casa mia" considera Marco, stiracchiandosi tra le mie braccia.

Gli bacio il collo, gli struscio la faccia dappertutto. Poi pianto una mano sul suo sterno e dichiaro: "È questa, casa mia."

Fine

Fame di carneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora