Mi sento uno zombie. Sì, perché desidero saltare loro addosso, strappargli la giugulare a morsi e cibarmi delle loro carni stoppose.
Non erano medici, quelli. Non si meritano quell'appellativo. Erano tirapiedi e stupratori.
Il vecchio davanti alla mia cella continua a menarselo fissandomi. Urla che in tre anni che se ne sta chiuso lì, non ha mai visto uno sexy come me. Sorrido al pensiero che, in effetti, da lui non avranno mai neanche un goccio di sperma.
In questa atroce settimana al fresco ho cercato di farlo anch'io. Ho infradiciato le coperte evitando di dare a loro quello che volevano. Col risultato che ogni giorno mi riempiono di botte e minacciano di uccidermi. Ma non ottengono nulla. Ho pieno controllo del mio corpo e, quando mi masturbo da solo e in silenzio, penso sempre e solo a Marco.
Possono essere più chiari di così, i miei desideri? Almeno, sono contento di aver confessato i miei sentimenti prima di essere rapito.
Mi è arrivata una soffiata dalla cella più lontana che riesco a vedere: anche lui è nelle prigioni 'federali' ed è tutto intero, almeno per ora. Nella sua cella c'è stata una brutta colluttazione, ha sistematicamente aggredito gli infermieri ogni volta che si avvicinavano per torturarlo. Ha lottato e sta lottando come un leone.
Io piango spesso, anzi, quasi sempre. Non mi sembra possibile che la spirale della mia vita mi abbia fatto finire in questo buco. Sono esausto. Sto per crollare... Gli attacchi di panico sono tornati e l'insonnia mi scava la faccia.
Mangio a stento quella roba schifosa razionata, ma almeno l'acqua da bere e per lavarsi non manca. Gli altri prigionieri puzzano come capre morte lasciate al sole. Vanno in giro per la cella con la merda attaccata al culo e io non ho intenzione di finire come loro.
Mentre è in atto l'ennesima sessione di (mancata) mungitura, e tre tipi mi tengono a carponi contro la branda dove dormo e uno di quelli mi tira malamente l'uccello, accade qualcosa di inaspettato.
Passa un tizio davanti alle mie sbarre, non è un prigioniero, è vestito abbastanza bene. Si ferma a guardarmi come se fosse stato fulminato sulla via di Damasco.
"Fermi un attimo." Ordina, e mi fa strano sentire che le sei o sette mani addosso a me si staccano immediatamente, facendomi crollare col sedere nudo al suolo.
Chi è questo tizio? Sembra uscito da un libro di personaggi strambi. Ha un cappello a falda larga e il bastone da passeggio. Che se ne fa? Non è vecchissimo, ma neanche giovane.
Gli uomini fanno un cenno di reverenza col capo. "Signore, noi stavamo..."
"Questo ragazzo non dovrebbe stare dove sta. Avvicinatelo, fatemelo guardare meglio."
I gorilla fanno per trascinarmi ma io mi strattono via. "So camminare!"
"Ha del carattere." Commenta il tipo misterioso. Mi avvicino impettito. Gli dimostro che non mi hanno piegato, anche se non è del tutto vero... sono mentalmente a pezzi. Lo strano signore mi scruta intensamente con due occhi piccoli, ma non meschini. La linea delle sue labbra fine è tirata, come se stesse a pensare a qualcosa di profondo. Il minuscolo pizzetto bianco sotto al labbro inferiore lo rende un po' caprone un po' uomo dell'Ottocento. Sono confuso.
"Signor Duford, noi..." prova uno.
"So tutto di questo ragazzo" dichiara, e capisco che deve essere un pezzo grosso della colonia. "Non otterrete niente da lui, non in questo modo. Questa testa calda mi serve nei miei alloggi." Conclude, e scarpetta via.
È basso e secco come un chiodo. Sembra uscito da un cartone animato. Che cavolo è appena successo?
Neanche un'ora dopo mi ritrovo trascinato al suo cospetto.
Dopo sette giorni di agonia nella prigione non mi sembra vero di essere passato sotto alla luce del sole. Due militari mi hanno condotto verso una pila a tre piani di container tenuti un po' meglio rispetto al resto della colonia. Capisco che è casa Duford, a quanto pare.
Mi mollano dentro come un cane da abbandonare e se ne vanno. Tiro un (mezzo) sospiro di sollievo, ma non posso fare a meno di bestemmiare mentalmente, chiedendomi che cosa cazzo deve succedere ora. Che cosa può accadere di peggio. Quando lo vedo scendere le scalette – che portano al container 'piano di sopra' – retrocedo verso il primo angolo che trovo.
"Che cazzo vuoi da me?"
"Calma, chérie."
Pure un francese mi doveva capitare. "Chi sei?" riprovo, fingendo la suddetta calma.
Duford sbuffa. È vestito decisamente più casual. Ciabatta fino all'angolo cottura e si versa una tazza di tè. "Sei uno molto diretto, vero? Ebbene, io sono... il creatore di tutto questo, ragazzo."
"Ho trenta, dannati anni. Non sono un ragazzo."
"Sei un ragazzo rispetto a me."
Ho difronte il fondatore della colonia, quindi. Un uomo piccolo e insignificante. Eppure, deve essere sopravvissuto al peggio, per avere la forza di tirare su questa brutta copia di recinto per bestie.
Mi guardo intorno, trovando casa sua un'accozzaglia di mobili e pezzi di mobilio racimolati dalla strada. Alcuni di valore altri no. Un sacco di vintage usurato che mi fa sentire un po' meglio, devo ammetterlo. Non so cosa voglia farne di me, ma a questo punto... posso immaginarlo.
Sorseggia la sua tazza e continua a fissarmi. Sì, come il vecchietto ninfomane della galera.
"Mi servi come galoppino. E come compagno di letto, chérie, naturalmente. Sei di una rara beltà."
Eccolo qua. Il senso di nausea, così familiare, torna a battermi nello stomaco. In cuor mio immagino che, rachitico com'è, avrà un pisello minuscolo. Si vede da qua. Mi sento vagamente rassicurato.
"Tzé. Non è proibita, qua, la 'pederastia', come la chiamate voi?" sputo velenoso.
Duford mi sorride in modo paterno. Con una calma quasi ridicola, si mette a sciacquare la tazzina nel lavello e a pulire le stoviglie rimaste. "Piccolo mio, le regole non valgono mai per i piani altri."
Sto ragionando. Sto seriamente riflettendo su qualcosa di importante, mentre Duford mi costringe a scoparlo sul materasso a molle dell'ultimo piano, nel container-casa.
Devo dire questo mollusco mi ha sorpreso. Ha un pisello talmente piccolo che ero pronto a dargli serenamente il culo, a conti fatti, invece mi ha chiesto di montarlo. Mi fa senso, ma poteva andarmi peggio. Ho gli occhi chiusi evitando accuratamente di guardarlo in faccia mentre lo fotto come vuole. Se mi concentro e penso di scoparmi Marco, ecco che il mio pene diventa la gioia di Duford. Però, il sedere di Marco è grosso e peloso, faccio fatica a immaginare la consistenza, in mezzo a due chiappe ossute e mosce. Nel frattempo, assecondo Duford perché ho un piano.
Un piano banale, cliché, ma è l'unico che mi è venuto in mente: fare lo psicologo, il doppio gioco.
Dopo tre giorni di sesso fetish e lavori da corriere di approvvigionamenti da un punto all'altro della colonia, Duford si fida ciecamente di me. Mi guarda con occhi ingenui e io so che il vegliardo cercava solo un po' di compagnia. Lo sto facendo parlare, sto sfruttando la debolezza della sua età. Il suo attaccamento ai ricordi e 'all'impero' che ha costruito.
Ho già scoperto che altre piccole colonie sono sparse per l'Europa, - forse anche in Italia - che ci sono effettivamente auto elettriche a Monaco e che esiste un modo per tirare Marco in salvo.
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Fame di carne
AdventureAlex e Marco credono di essere gli ultimi rimasti sulla Terra. Si abbracciano appena s'incontrano, non credono ai loro occhi. Hanno vagato singolarmente per anni, disperati, soffrendo la mancanza di contatto fisico. Più che per gioco, il sesso tra...