Wooyoung.
Apro gli occhi lentamente, cercando di tirarmi a sedere. Mi sentivo stanco, la testa girava, e avevo paura. Mi guardavo meglio intorno e vedevo solo il buio di una cella fredda e sporca. L'unica fonte di luce era una finestrella in alto, troppo piccola per passarci attraverso e scappare. Sembrava di essere in un carcere.
«Dove sono...?» chiedo più a me stesso, che a qualcun altro. Ero solo, e non si sentiva il minimo rumore che potesse farmi pensare il contrario.
Mi faceva male la schiena, e avevo la gola secca. In un attimo tutti i ricordi di quelle che mi sembravano ore fa, riaffiorarono alla mente.
Quanto tempo era passato? Chi mi aveva portato qui?Hongjoong sapeva che ero scomparso... gli avevo detto di chiamare San, in quel momento mi era sembrato l'unico che potesse aiutarmi.
Avevano chiamato la polizia? Mi stavano cercando?Ero seduto su quella che sembrava una brandina, mi portavo le gambe al petto, cercando di scaldarmi e confortarmi.
Non mi ero neanche accorto di aver iniziato a piangere. Avevo avuto troppa paura. Quando quell'uomo si era avvicinato, quando mi aveva stretto la gola, quando aveva iniziato a toccarmi... Era orribile. Sentivo ancora le sue mani su di me e mi faceva schifo.
Poi quell'uomo incappucciato...mi faceva paura anche lui, ma nei suoi occhi vedevo qualcosa di strano, che non riuscivo a capire cosa fosse.
L'ultima cosa che ricordavo era che il braccio pungeva, mi aveva iniettato qualcosa e poi mi ero addormentato.
Tutto quello mi fece provare una rabbia. Cos'ho fatto di male? Perché quelli ce l'avevano con me? Perché mi avevano portato lì?
Mi alzai di scatto, andando verso l'unica porta che vedevo di fronte a me.
«C'è nessuno? Dove sono? Che cazzo volete da me?!» gridai dalla fessura sulla porta, cercando di aprire la porta, ma sembrava impossibile.
All'inizio non arrivò nessuno, nè nessuno rispose. Sentivo solo il mio eco, i miei singhiozzi che avevano ricominciato più forti di prima.
Diedi un calcio alla porta e mi andai a sedere di nuovo sulla brandina.«San dove sei...?» sussurrai tra i singhiozzi. Per me era sempre l'unico che potesse aiutarmi. Non ci aveva pensato due volte a buttarsi nel fuoco al posto mio, a fermare l'uomo che voleva picchiarmi anche nella gelateria stessa.
Lui c'era stato...
Lui mi aveva fatto sorridere...Volevo tornare da lui, da Hongjoong, dalla mia mamma, da Meg...
Perché stava succedendo a me...? Perché?
Piansi ancora, e ancora.
Non mi accorsi nemmeno dei passi che venivano verso la mia cella.
Solo quando la porta venne aperta, smisi di muovermi.Le lacrime per un momento smisero di scendere, i singhiozzi si calmarono, e in me c'era soltanto curiosità.
«Hai finito di piangere come un bambino?» la voce di quello che sembrava un ragazzo di qualche anno più grande di me, interruppe tutti i miei pensieri.
Solo dopo capii ciò che aveva appena detto, e fece sostituire la curiosità dalla rabbia.
Senza pensarci due volte mi scagliai contro di lui, afferrandolo per la camicia blu che indossava.«Chi cazzo sei e cosa cazzo vuoi da me?!» gridai incazzato, guardandolo negli occhi. La sua era un'espressione indifferente, nonostante l'avessi quasi aggredito non si era mosso di un millimetro, rimanendo calmo.
Aveva gli occhi scuri, uno sguardo felino che sembrava potesse uccidere. I capelli erano neri, mentre la pelle bianca, pallida.
«Smettila di fare il bambino capriccioso e seguimi.» il ragazzo aveva alzato gli occhi al cielo, sbuffando. Poi aveva tolto le mie mani dalla sua camicia, stirandosela addosso, e si era voltato uscendo dalla cella.
