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Capitolo 19

A svegliarmi fu la voce di un'altra donna in casa.

Ancora assonnata percorsi il corridoio e giunsi nella cucina.

"Non c'era bisogno... non consumerò mai tutto questo cibo e posso permettermi di fare la spesa da solo." Lo sentii lamentarsi.

"Se non ci penso io a queste cose te ne dimentichi, mi chiedo come si faccia a dimenticarsi di mangiare. Guarda qui, hai solo un pacco di riso aperto latte e pomodo-"

Si fermò quando si accorse di me.

Caroline rimase a guardarmi per svariati secondi, probabilmente non mi aveva riconosciuta subito.

"Zoey!" squittì, sorpresa di vedermi. "Da quanto tempo non ti vedevo?!" fece il giro del tavolo e venne ad abbracciarmi. "Guardati, sei splendida!"

Jason fece un sorrisetto imbarazzato.

"Ti abbiamo svegliata?"

"Oh no, non preoccuparti."

"Vedi, la spesa che ho fatto non basterà neanche per due persone."

"Sei esagerata." Ribatté lui.

"Sono preoccupata. Mangi troppo poco e lavori troppo. Per non parlare delle ore di sonno accumulate che ti porti dietro. Finirai per svenire in strada, in doccia... potresti sbattere la testa o venire investito..."

Jason rise.

"Questa è una conversazione seria." Lo sgridò. "Adesso con la faccenda di Ben... sono sicura che ti stia trascurando ulteriormente. Sei sciupato.   Sarei più tranquilla se avessi scelto un lavoro più... sicuro."

"Mi piace questo lavoro."

"Lo so, e sei bravo a farlo. Ma dovresti prenderti più cura di te stesso. Se non sei al massimo delle tue energie come fai a dare il massimo mentre lavori?"

"Ha ragione." Mi azzardai a dire.

Jason mi fulminò con lo sguardo. "Vogliamo proprio parlarne?"

Alzai gli occhi al cielo.

"Ti chiamerò per chiederti se avete mangiato."  Sembrava quasi una minaccia. "Non mi accontenterò di una bugia per voce. Voglio la foto."

"Agli ordini." Ubbidì.

Prima di andarsene di casa si prese del tempo per salutarlo. Jason brontolò sotto le attenzioni di Caroline.

"Chi si salva più ora che ti ha vista." Esclamò.  "Quella donna ha un'ossessione per te. Se potesse, adotterebbe anche te."

Io risi. Era vero: Caroline aveva sempre provato molta simpatia nei miei confronti.

Approfittai dei nuovi cereali per fare una colazione gustosa. Feci a tempo a mangiarne una cucchiaiata che Jason mi tolse la scodella di mano.

"Che fai?" mi corrucciai. "Ho fame."

"Dobbiamo parlare."

E improvvisamente mi si chiuse lo stomaco.

Mi morsi le labbra.

"Riguardo a cosa?"

"Riguardo a quello che è successo ieri."

Sentii il mio viso prendere fuoco.

"sei buffa. Ieri mi hai sbraitato contro come una tigre, quasi mi mangiavi vivo e oggi quasi ti sciogli."

Si stava avvicinando sempre di più, mettendomi alle strette contro alla cucina.

Aprii la bocca ma uscì soltanto una risatina.

"Zoey, voglio sapere se ti piaccio." Non mi aspettavo tale schiettezza. "Ho fatto le mie considerazioni, certo. Ma ho bisogno di sentirtelo dire. Ho bisogno di sapere se mi vuoi ancora in quel senso o se questo... tra noi... è solo..."

"No" risposi. "Cioè... no, non è solo... si, mi piaci." Ammisi.

"Per qualche secondo ho sentito il terrore attraversarmi il corpo." Sorrise. Un sorriso ampio e luminoso che non vedevo da parecchio.

Una mano scivolò sul mio collo. L'altra prese ad accarezzarmi il viso dolcemente.

Mentre mi scrutava, come se volesse esser certo di star facendo la cosa giusta, si avvicinò fino a far sfiorare i nostri nasi.

Poi il campanello suonò e lui imprecò, veramente.

"Quale tempismo!" borbottò.

Andò ad aprire la porta. Trovandosi Caroline davanti.

"Ciao di nuovo tesoro, ho dimenticato la borsetta sul tavolo. Menomale che me ne sono accorta prima di esser tornata a casa."

"già." Annuì lui.

Ci salutò un'altra volta.

"Dovremo andare in ospedale." Gli dissi.

Lui grugnì, poco entusiasta.

Jason sembrava di nuovo piombato in un vortice di tristezza che lo stava trascinando a fondo.

Gli toccai la spalla, lui strinse le labbra.

"Non ho mai passato così tanti giorni senza parlare con lui. Neanche quando litigavamo. Passava al massimo un'ora prima che uno dei due dicesse qualcosa e tornassimo come sempre. Come due fratelli." Disse. "Da quando l'ho conosciuto non ci siamo più separati. È come se fossimo connessi con un filo. Se dovesse... se dovesse succedergli qualcosa mi crollerebbe il mondo addosso."

Se a Ben fosse successo qualcosa il mondo di ognuno di noi sarebbe crollato un po' in pezzi.

"Il mondo smetterebbe di esistere senza Ben Dessen." Intervenne Clarissa. Non l'avevo vista arrivare, troppo immersa nelle parole di Jason. "Ecco perché si sveglierà." Aggiunse. "Quindi Ben, se ci stai ascoltando, sappi che andrei all'inferno per te, per riportare il tuo culo tra noi. E tu non vuoi che questo accada."

Riuscì a farmi ridere.

"raccontatemi qualcosa di quando eravate più piccoli" chiese Arya. Lo sguardo perso oltre al vetro.

"Okay." Fece Clarissa. "Eravamo in prima liceo. Era San Valentino. Io e Jason eravamo al cinema per vedere una stupida commedia di cui non sapevamo neanche il titolo. Era iniziato da poco quando Ben entrò nella sala, passando senza badare alle persone che si lamentavano. Mi strappò i pop corn di mano e si sedette tra me e lui sostenendo che fosse lui l'amore della nostra vita e che non avremo potuto festeggiare senza di lui. Da quel giorno è diventata come una specie di tradizione, ad ogni San Valentino ci riunivamo e facevamo qualcosa. Cenavamo insieme, andavamo al luna park. Un anno, sola e single, mi ero ubriacata. Non eravamo più in contatto. Ho preso il telefono e l'ho chiamato per augurargli un buon San Valentino. Ci siamo visti al bar e abbiamo brindato insieme."

"È stata la prima persona a cui ho detto di esser stato adottato. Avevo paura. Non sapevo come avrebbe reagito la gente. E lui mi disse che era una figata, che la mia era una storia da film con un finale felice, che era come se avessi avuto un'altra possibilità. Era tutto ciò che non mi aspettavo. Ogni volta che qualcuno dei nostri amici, compagni di squadra, chiedeva di vederci a casa mia lui trovava una scusa pronta per me. Un giorno, si inventò che dovevamo andare a prendere un gattino. Una scusa davvero insolita che lasciò perplessi i nostri amici. La sera andammo veramente a prendere un gattino al gattile. Aveva due anni, era stato abbandonato dai vecchi proprietari sul ciglio della strada. Nero, con una macchietta bianca sulla testa. Lui disse che mi assomigliava, lo chiamò JJ." Raccontò Jason, un sorriso nostalgico gli nacque sul viso.

"Ha fatto così anche con me." Dissi. "Ero piccola, un po' spaesata. Ma lui mi ha accolta nella loro cerchia. Come un fratello e la sorellina minore rompi scatole. Ben è così. O sei uno sconosciuto o ti rende parte della sua vita. Quando entri nel suo cuore puoi stare sicuro di avere sempre qualcuno su cui contare, qualcuno da cercare in qualsiasi parte del mondo lui sia."

Arya sorrise commossa.

Ogni giorno, per due settimane rimanemmo lì, a raccontare qualche episodio che ci faceva mantenere vivi i ricordi e ci mantenevano vicini e uniti.

Colpo di fulmine Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora