14. Orgoglio

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Serotonin – Call Me Karizma

Durante le lunghe sedute con la psicologa, biglietto necessario per tornare a muoversi tra le persone, Zaira aveva detto più volte quanto la spaventasse la sensazione di nulla che l'avvolgeva

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Durante le lunghe sedute con la psicologa, biglietto necessario per tornare a muoversi tra le persone, Zaira aveva detto più volte quanto la spaventasse la sensazione di nulla che l'avvolgeva. Le pareva di affogare nel miele, così viscoso da far apparire la sua futura morte come lontanissima, qualcosa di cui non valeva la pena preoccuparsi perché era ancora sostenuta dalla spinta del liquido stesso – cosa le poteva importare se già le lambiva le labbra nel tentativo di insinuarsi nei polmoni?

Col tempo e molta, moltissima fatica, aveva imparato a dare i giusti calci per tornare a galleggiare e tenere lontano tutto ciò che provava ancora a trascinarla verso il fondo. Era stato così liberatorio tornare a stare bene, poter frequentare nuove persone e lasciarsi alle spalle il goffo tentativo bloccato giusto in tempo da Michele, cullata dalla certezza che non ci avrebbe provato mai più.

Eppure, in quei giorni le pareva che qualcuno l'avesse afferrata per le caviglie e la stesse strattonando in basso con tutta la prepotenza necessaria per vederla affogare davvero, come se non meritasse più niente. Il fatto che lei stessa si sentisse in tal modo non aiutava. Una parte di lei avrebbe solo voluto lasciarsi andare, nascondersi e aspettare che il resto del mondo si dimenticasse della sua esistenza.

"Ma non hai preso nessun appunto?"

Zaira si girò a osservare Ginevra che, con tutta la calma del mondo, stava riponendo il materiale nello zaino, per poi portare lo sguardo sul foglio steso davanti a lei, nero solo delle righe stampate come guida. Non ebbe neanche la forza di rispondere a quella domanda che, alla fine, era solo una constatazione di commiserazione, tanto che iniziò a mettere via il poco lasciato sul banco in silenzio.

"Rà, ascoltami un attimo." Ginevra le prese i polsi e la fermò. "Non puoi continuare così."

Zaira le rivolse uno sguardo stanco e vuoto quanto l'aula in cui si trovavano. Sapeva che non avrebbe potuto sostenere un ritmo di simile ancora a lungo, che sarebbe finita schiacciata dalla sua stessa apatia, ma non riusciva a far altro; non poteva far finta di niente, non poteva fingere ancora di essere una persona in grado di sopportare tutto ciò che le era successo, perché a quanto pare non lo era.

Ginevra sospirò, sedendosi davanti a lei. "Senti, quando sei scappata via, l'altro giorno, ho parlato con Elia..." le disse, e a Zaira bastò immaginarli vicini per sentirsi crollare. Erano due fari luminosi a cui lei stava rinunciando.

"Abbiamo discusso di un po' di cose" continuò l'amica, mordendosi l'interno guancia. "Vuoi sapere cosa mi ha detto?"

"No."

La risposta le scappò via dalle labbra più rapida di quanto avrebbe mai potuto immaginare, nata dal prevalere dell'istinto di autoconservazione che cercava di non farla cadere tra le spire di una conversazione che l'avrebbe distrutta una volta per tutte.

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