09. Un'altra galassia (II)

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La notte chiama – Ex-Otago (feat. Izi)

Leggerezza

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Leggerezza.

A Zaira pareva di star camminando su torbide acque alcoliche, con Elia a sostenerla per la vita e a ridacchiare davanti a ogni inciampo o vagheggio di cui non esisteva un senso, per poi chiederle ancora una volta se volesse dell'acqua fredda o mangiare, oppure un caffè o qualsiasi altra cosa che l'aiutasse ad abbandonare il mondo ovattato e da ridarella in cui era scivolata. Una parte di lei le sussurrava all'orecchio di smetterla con un simile teatrino e pregare l'altro non decidesse di piantarla su due piedi al suo destino, esasperato dalla follia latente e i capricci che faceva, ma le era difficile essere razionale quando il marciapiedi le traballava sotto i piedi.

"Senti, cosa ne pensi se ti riporto a casa?" le chiese Elia, aiutandola a sedersi su un muretto che delimitava un piccolo parcheggio sotto un murales dedicato all'Inter. Zaira pensò che a suo padre sarebbe piaciuto, se solo si fosse degnato di rimanere a Milano.

"Sì, forse è meglio ti riporti a casa" sospirò Elia, prima di mettersi al suo fianco.

Zaira si appoggiò sulla sua spalla e chiuse gli occhi, nel tentativo di placare l'oscillare delle automobili posteggiate davanti a lei, mentre il ragazzo le cingeva la vita per lasciarle leggere carezze in punta di dita.

"Certo che con te è difficile annoiarsi..." commentò Elia. "La prima volta mi fai sentire un cretino, la seconda mi offri del caffè con formiche e la terza scandalizziamo a vita la Mazzanti Vien dal Mare."

Zaira aggrottò le sopracciglia. "Ti ho fatto sentire un cretino?"

"Abbastanza" ammise il ragazzo, continuando con le carezze da farfalla. "Quando ti ho chiesto se potessi farti una foto mi hai guardato come se fossi folle. Mi sono sentito molto folle, in effetti."

"Eri quasi a livello degli adescamenti con le collezioni di francobolli" commentò lei con uno sbadiglio.

Si rannicchiò meglio sull'altro, che intanto si era lasciato sfuggire una risata leggera che le risuonò per tutto il corpo, e aprì gli occhi, nella speranza il mondo le apparisse più stabile. Il condominio dall'altro della strada, illuminato da alcuni lampioni giallastri, le parve abbastanza saldo da convincerla a mettersi in piedi; alzarsi dal muretto fu più complesso del previsto, con le cosce che parevano essere state inglobate dal cemento, così come rimanere dritta sulle sue stesse gambe ancora tremanti si rivelò un'impresa.

"Siano ringraziati gli anfibi" borbottò, mentre Elia si alzava a ruota e le porgeva un braccio, a cui lei si aggrappò subito. "Forse un po' d'acqua non sarebbe male..."

Sempre sostenuta dal ragazzo, fece un paio di passi storti, la testa che le pulsava e le palpebre pesanti, e inspirò a pieni polmoni la fredda aria notturna illudendosi che, buttandola fuori, venisse eliminata anche la nausea. Poco per volta, mormorando nuove parole a mezza voce che non riusciva neppure lei a sentire, si fece accompagnare verso un baretto ancora aperto, dove Elia le comprò una bottiglietta d'acqua gelida; la mandò giù a lunghe sorsate, rendendosi conto di quanta sete avesse man mano che beveva.

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