08. Tutte le lacrime del mondo

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Kin - Tourist

Solo durante la fallimentare relazione avuta a sedici anni Zaira era riuscita a capire cosa significasse il detto del camminare a metri da terra

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Solo durante la fallimentare relazione avuta a sedici anni Zaira era riuscita a capire cosa significasse il detto del camminare a metri da terra. Da ragazzina, il primo fidanzatino che era stato capace di sopportarla per circa un anno e mezzo l'aveva portata a vivere leggera, con un perenne sorriso stampato sul volto e la sensazione che il mondo intero fosse morbido, fatto solo per accogliere e coccolare la sua spigolosa felicità. Il tutto, alla fine, era precipitato nel nulla, e una simile dolce sensazione era appassita per non tornare - motivo principale per cui i vari dates in cui era inciampata negli anni successivi non avevano portato a niente.

Eppure, Elia era riuscito a far rinascere la leggerezza tanto a lungo cercata. A chiudere gli occhi, cullata dalla voce monotona del professore, Zaira riusciva di nuovo a rivedere gli avvenimenti del giorno precedente, accompagnata da un frullare dell'animo che le faceva solo desiderare di raccontare a tutti quanto si sentisse felice. Certo, una parte di lei ancora le ricordava di non dover fare simili salti di gioia davanti alle schegge di una relazione appena iniziata, riportandola alla lezione e all'assenza di Ginevra che, a dispetto di ciò che le aveva scritto la sera precedente, non si era presentata in università.

"Chissà dov'è finita..." pensò, riaprendo la chat tra lei e l'amica, nella quale spiccava l'ultimo messaggio inviato - in cui le chiedeva se fosse in ritardo - accompagnato da un paio di spunte blu che non promettevano niente di buono. A scorrere indietro, però, si potevano leggere tutto l'entusiasmo e la curiosità di Ginevra, che era arrivata addirittura a promettere di arrivare con mezz'ora d'anticipo pur di scoprire cos'era successo alla Pinacoteca e durante il pomeriggio passato con Elia.

Con un sospiro, Zaira bloccò il cellulare e tornò ad ascoltare la lezione che, a fatica, si trascinò fino alla classica conclusione, con il professore a salutare tutti, alcuni ragazzi che si precipitavano fuori dall'aula per evitare le lunghe code al microonde e altri che, con calma, mettevano via gli appunti o rimanevano a chiacchierare con i loro amici.

"Forse è meglio chiamarla" si disse Zaira, uscendo in corridoio.

Non fu però necessario comporre il numero, in quanto Ginevra era proprio fuori ad aspettarla, con le spalle appoggiate al muro davanti alla porta e il capo chino. Fece per salutarla, ma quando l'altra alzò lo sguardo rimase ammutolita davanti al suo viso arrossato e gli occhi lucidi e carichi di lacrime che, una dopo l'altra, le rigavano le guance.

"Ma che succede?"

Zaira si precipitò da lei che, singhiozzando, l'abbracciò stretta e mormorò qualche frase spezzata di cui capì solo un paio di parole - "Davide" e "malissimo".

"Andiamo a metterci in un posto più tranquillo" le disse preoccupata, per poi recuperare un fazzoletto dal cappotto e porgerglielo. "Così mi spieghi tutto."

Senza aggiungere niente, si diressero verso l'androne delle scale e salirono fino all'ultimo piano, che dava sull'ingresso di un corridoio dove non erano mai entrate; si sedettero sui gradini e rimasero in silenzio per una manciata di minuti, accompagnate dal rumore della pioggia e gli improvvisi colpi delle porte antipanico dei piani inferiori, seguiti dal chiacchierare allegro di qualche studente o il battere frettoloso di passi.

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