pt.3 [Train Wreck-James Arthur]

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Sto tornando a casa dopo quello strano, improvviso ma sicuramente stupendo incontro. Nella mia testa sento solamente quella delicata e leggermente roca voce ripetere quel nome, Lexa Woods. Il nome a cui appartenevano quegli occhi verdi, attenti e vispi come quelli di un gatto, il nome a cui appartenevano quelle labbra carnose, morbide e dolci, incredibilmente dolci. Sfioro le mie di labbra con due dita ripensando a quel bacio, chissà che ha capito che era il mio primo bacio. Cavolo il primo bacio, il bacio che ho tenuto per me per anni, che avevo riservato per qualcuno di speciale, di importante e di indimenticabile, mi immaginavo sicuramente che lo avrei donato a qualcuno di diverso, ma non potevo essere più contenta di aver donato quella piccola parte di me alla persona che in un’ora aveva riempito il buco nel mio petto.

Alzo la testa e osservo le stelle, quelle poche stelle presenti nel cielo inquinato di quella orribile città in cui mi sono ritrovata catapultata dal nulla.
In 7 anni non ero riuscita a trovare neanche una cosa di Roma che potesse migliorare la mia permanenza qui, ora forse, dico forse, quegli occhi verdi mi hanno dato una ragione per non odiare del tutto questo luogo, mi sveglierò con l’unico obiettivo di arrivare a sera, camminare verso quel tetto e fumare in compagnia di quella ragazza che in una sola ora aveva scombussolato la mia vita.

Mi trovo davanti casa mia, e vedo una luce accesa, l’avrò dimenticata così presa dalla fretta di uscire. Almeno così ho pensato in un primo momento, peccato che non era veramente così, appena entro in casa mi ritrovo davanti mia madre con le braccia conserte a guardarmi come se avessi appena commesso un omicidio, e non vi sorprendete, perché mi guarda così da quando mio padre è morto, come se fossi stata io l’autista dell’altra auto che lo ha preso in pieno
“Che ci fai a casa tu, non dovresti aver iniziato il turno?”
“Ho cambiato all’ultimo andrò domani mattina, non sei mai a casa quando io ci sono volevo passare un po' di tempo con te”
“Io no, vado in camera”
“FERMA NON TI MUOVERE” mi afferra il polso, e lo stringe, forte, molto forte, probabilmente lascerà un segno, ma non le darò mai la soddisfazione di dirle che mi fa male “Dove sei stata, dove vai ogni volta che sono in casa adesso che ho scoperto il parchetto di drogati in cui andavi”
“Non ti interessa”
“Hai ragione non mi interessa”
“Allora non me lo chiedere” non aveva ancora allentato la presa, anzi forse la stava stringendo ancora di più
“Puzzi di fumo, hai anche iniziato a fumare, sei proprio una delusione Clarke, dimmi c’è una cosa buona che fai nella tua vita? Fumi per diminuire i sensi di colpa, perché lo sai che è solo colpa tua se tuo padre non c’è più. Non meriti neanche di definirti sua figlia, mi fai schifo. Ho trovato il tuo diario, ho scoperto che adesso sei anche diventata lesbica, mi fai vomitare lo sai?”
“E a me fai vomitare tu, Abby, che razza di madre direbbe certe cose alla propria figlia”
“TU NON SEI MIA FIGLIA, NON PIU’” stavo facendo l’indifferente, con il mento in alto, per non darle nessun tipo di soddisfazione, ma dentro stavo morendo sempre di più, ogni parola che usciva dalla sua bocca mi feriva sempre più in profondo, il polso mi faceva sempre più male
“MI STAI FACENDO MALE”
“Ti sto facendo male, per così poco, allora dimmi se così ti faccio male”

il tempo si blocca nel momento in cui sento la sua mano lasciare un forte bruciore sulla guancia destra, poi la sinistra e poi di nuovo la destra “LO SENTI CLARKE, SENTI IL DOLORE CHE PER COLPA TUA MI AFFLIGGE DA 3 ANNI” mi spinge e io cado a terra, si avvicina a me e io cerco di indietreggiare fino a che il muro freddo non blocca la mia fuga “E pensare che io neanche ti volevo, sei stata un errore Clarke, un errore che tuo padre ha voluto mandare avanti e poi LUI STESSO è rimasto fottuto da questo errore, DA TE” vedo che si alza la maglietta leggermente giusto per arrivare e slacciare la cinta, ha una cinta antica di quelle in pelle marrone, la prende e la piega in due, lasciando l’estremità con la fibbia libera “QUESTA CLARKE, ERA LA CINTURA PREFERITA DI TUO PADRE” un colpo arriva dritto sulla mia faccia, lancio un urlo, si mette in ginocchio per essere alla mia altezza e mi toglie la maglietta, non provo neanche a liberarmi dalla presa, mi sono arresa a lei e a me stessa, mi sente a pancia sotto e sento i colpi arrivare sulla mia schiena “LESBICA DI MERDA MI HAI TOLTO TUTTO” un colpo “MI HAI TOLTO L’ADOLESCENZA” un altro colpo “L’AMORE DELLA MIA VITA” ancora un colpo “LA DIGNITA’ ” ancora un altro, sentivo del caldo sangue scorrere fino a colare dai miei fianchi “TU NON VALI NIENTE E MAI VARRAI NIENTE” e dopo l’ultimo colpo molla la cintura, mi alza dal collo, non so neanche da dove abbia preso tutta questa forza “ti ucciderei, ma sarebbe troppo semplice lasciarti morire, tu devi convivere con il senso di colpa, con il dolore che ti mangia viva, ti auguro il peggio, ti auguro di trovare una LESBICA come te, ti auguro di innamorarti e ti auguro di perderla nel peggiore dei modi possibili” poi mi butta a terra, sbatto la testa all’angolo del muro e poi niente buio totale, l’ultima cosa che vedo sono quei due occhi verdi, che mi fanno dare l’ultimo respiro.

*due settimane dopo*

Sono sdraiata su un letto di ospedale, ieri mi sono svegliata da un coma durato circa 12 giorni, da quanto mi è stato detto, una sera sono uscita di casa e dei ragazzi ubriachi mi hanno menata a sangue.

Ma io la so la verità, non potrei mai dimenticare le parole che sono uscite nel modo più spregevole dalla bocca di mia madre, nessuno mi crederebbe, lei lavora in questo ospedale ed è molto rispettata, in più il mio cervello non ha funzionato bene per parecchi giorni quindi le mie testimonianze non sarebbero completamente affidabili.

Mia madre, anzi no, Abby, non è passata di qui neanche una volta, neanche per un veloce saluto, mi tengono qui chiusa in questa stanza bianca che puzza di disinfettante e di morte, portandomi ogni tanto del cibo che mangio e poi vado a vomitare in bagno.

Non riesco a smettere di pensare a Lexa, le ho detto che sarei ritornata e invece non l’ho fatto. Si sarà dimenticata di me, potrà aggiungermi alla lista di ragazze che si è baciata e sicuramente in questo momento starà cercando un’altra ragazza da sedurre. Ma io voglio sperare che lei sia ancora lì ad aspettare un mio arrivo, e spero che non molli perché appena uscirò di qui, anche se tutta dolorante, anche se piena di lividi e secca come un foglio tornerò su quel tetto.

“Allora Griffin, come ti senti, ti ho portato la cena”
“Tra quanto posso andarmene?”
“Questo non lo so Clarke, dovresti chiedere a tua madre, credo che abbia paura a farti uscire dopo quello che è successo, e poi il dottore vuole controllare che il tuo cervello stia bene”
“Non ho fame, puoi portarlo indietro”
“Dici sempre così poi finisci per mangiare tutto” si e poi lo vomito nel cesso “Te lo lascio qui ok? Qualsiasi cosa, premi il pulsante”

Ogni fottutissimo giorno così, mi sveglio fisso il muro, mangio e vomito, fisso di nuovo il muro, mi lavo, mangio e vomito e poi dormo. Un loop infinito, almeno nei miei sogni mi diverto, Lei è sempre presente, o comunque una parte di lei, i suoi occhi, le sue labbra, le sue mani e quell’accendino, ancora mi ringrazio mentalmente per averlo dimenticato quella sera.

*altre due settimane dopo*

Oggi sono uscita, a quanto ho capito sto alla grande e Abby ha firmato per farmi uscire, non abbiamo parlato, neanche un “ciao” o un “come ti senti”, mi ha fatto recapitare un biglietto in cui c’era scritto -non farti trovare in casa mia quando ci sono o ti ammazzo, trovati una casa con qualche lesbica- perfetto no?
Sono tornata a casa, mi sono fatta un bagno caldo e ho provato a mettermi una pomata sui lividi e le ferite, che mi fanno ancora un male cane. Ho deciso che andrò sul tetto questa sera stessa, non voglio perdere tempo, spero solo che lei ci sia. Poi troverò il tempo di prendere le mie cose e andarmene come mia madre vuole.

Mi metto dei jeans, una felpona che mi possa coprire tutti i lividi, anche se sicuramente morirò di caldo, le mie solite convers e lo zaino, prendo il mio pacco di sigarette ma lo sento leggermente vuoto, lo apro e trovo un biglietto -queste le ho pagate con i miei soldi, sono mie, come tutte le cose presenti in quella casa, da oggi in poi dovrai trovarti dei soldi per vivere, non avrai niente da me- “AHHH FANCULO”.
Prendo lo zaino e mi incammino verso il tetto, sperando di non perdermi e sperando di trovarla.

Salgo e LA vedo, è ancora lì, la vedo posare un foglio e poi prendersi una sigaretta, decido di farmi avanti e di parlare

“Me ne dai una anche a me?”
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N.A.
Scrivere questo capitolo è stato piuttosto complicato, volevo che in qualche modo si riuscisse a percepire il dolore di Clarke, ditemi se ci sono riuscita.
Come sempre, richieste, consigli e critiche sono ben accetti e vi ringrazio ancora per perdere tempo a leggere questa storia.
P.s. credo che il prossimo capitolo lo pubblicherò già stasera, devo solo rileggerlo, visto che oggi non sono stata bene e ho avuto del tempo per scrivere una paio di capitoli in più.
-iram.

su un tetto per una sigaretta- CLEXA FFDove le storie prendono vita. Scoprilo ora