Capitolo 2

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Lorenzo è seduto sul divano e osserva l'Harbor Scene, un quadro dipinto da Willem van de Velde il Giovane nel 1631. Lo fa per ore, tanto che ormai ne conosce a memoria ogni singolo millimetro quadrato.

Si sforza di cogliere l'effetto della luce pomeridiana sulla tela, ma anche questo gioco si è fatto vecchio.

Il quadro di van de Velde arriva dalla sua vita precedente, quella in cui faceva tanti soldi da poterselo permettere. Più lo osserva, più si ricorda di essersene impossessato come si acquisisce un trofeo; e non potrebbe essere diversamente, visto che non si è mai interessato di arte, se non per questioni che con l'arte hanno poco a che fare.

Per anni aveva pensato che un quadro d'autore fosse il tipo di bene del quale avrebbe dovuto entrare in possesso. Un giorno, durante una trasferta a Londra, gli era capitato di entrare casualmente in contatto con un trafficante di opere d'arte di dubbia provenienza, il quale avrebbe potuto procuragli l'Harbor Scene. Lorenzo non aveva la minima idea di cosa fosse l'Harbor Scene, ma si era mostrato interessato per pura cortesia.

Lorenzo non sa quale sia la sua provenienza, ma sospetta che un improvviso tracollo finanziario abbia indotto gli ultimi proprietari a metterlo sul mercato clandestino delle opere rubate. Qualche volta Lorenzo si domanda come sia possibile che un pezzo di tela di 25 centimetri per 33 possa valere quasi trecentomila dollari. Sospira quando ci pensa, allora si avvicina al quadro e dà l'ennesima occhiata a quella che anche l'FBI ritiene essere la firma di van de Velde: WVV 1631.

Lorenzo aveva acquistato il quadro perché uno dei suoi capi era un collezionista di opere d'arte; in seguito si era reso conto che non avrebbe mai potuto sfoggiare un'opera d'arte rubata, e a quanti indagavano sul misterioso autore dell'Harbor Scene Lorenzo riferiva essere un pittore olandese minore di cui non ricordava nemmeno il nome. Un paio di volte aveva intravisto un'ombra di sospetto sul volto di un'occasionale ospite, ma l'Harbor Scene era sparito dalla circolazione da tanto di quel tempo da non lasciare un ricordo preciso dietro di sé, e anche su internet non si trovano riproduzioni, se non nella sezione del sito dell'FBI dedicata alle opere d'arte scomparse.

Sta scendendo la sera e le sfumature dell'Harbor Scene si incupiscono. Lorenzo resta seduto sul divano fino al momento in cui le ombre hanno il sopravvento e la tela non è che un incidente di percorso lungo una parete altrimenti uniformemente bianca.

Lorenzo si accende una sigaretta, ma poi la spegne subito perché non è di fumare che ha voglia. Il problema è che non sa bene di cosa abbia voglia. Ci starebbe bene una sega, ma già troppe volte si è masturbato per pura noia, quindi prende la giacca ed esce di casa.

Mentre percorre le poche centinaia di metri che lo separano dal supermercato ripassa la distesa dei condomini anonimi che costituiscono il suo nuovo quartiere: non più freschi di intonaco da molto tempo ma ancora in buono stato, secondo gli standard della classe medio-bassa che li abita.

Coglie con un solo colpo d'occhio la trascuratezza dei giardini, dove qualcuno di assai poco qualificato interviene sì e no un paio di volte l'anno, e dove il buon gusto è un concetto sconosciuto.

Ecco dove abita: in una zona modesta e periferica, ma non tanto degradata da poter essere definita popolare. Un posto dove non avrebbe mai immaginato di finire a vivere per sua libera scelta, mentre nell'appartamento di piazza Cavour – acquistato semplicemente perché gli sembrava il tipo di appartamento che avrebbe dovuto sfoggiare un uomo con le sue disponibilità economiche - ora sua madre intrattiene le amiche invidiose per infiniti tè pomeridiani.

Sul muretto che delimita l'entrata del parco è accucciato il gatto bianco e nero a pelo lungo che qualche vecchietta del quartiere nutre e coccola, e che lui ha rischiato di investire un paio di notti prima.

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