Capitolo Due

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get out, get out, get out of my head

Ogni volta che Harry sogna Matt, il suo risveglio è sempre uguale.

Il dottor Whraton, all'inizio dei loro incontri, aveva chiaramente spiegato quali erano i lasciti che uno stalker faceva alla sua vittima: ansia, disturbi del sonno, rabbia, sensi di colpa, disagio di grandi folle o spazi aperti, eccetera. Harry aveva sempre avuto l'impulso di contrastare quella che lui vedeva come l'ennesima traccia di Matt su di lui, ma il suo analista l'aveva indotto a fare l'opposto: era molto meglio che lui accogliesse tutti quei disagi, per poi esorcizzarli. Non sarebbe stato facile, e nemmeno privo di fatica o dolore, ma l'avrebbe fatto stare meglio, a lungo termine.

Ed è così: Harry si sveglia raramente sobbalzando o urlando, qualsiasi sia la scena ripercorsa nei suoi sogni. Mentre sfarfalla le palpebre alla luce che filtra tra le persiane, ripensa -con la mente totalmente staccata dal sogno, quasi come se stesse esaminando la vita di qualcun altro- a quello che ha visto: il momento in cui ha rifiutato Matt, dopo tre uscite, spiegandogli con gentilezza che in lui non vedeva nient'altro se non un amico, e che quello che avevano provato a far scattare non era scattato. Erano in piedi, fuori un locale di Londra, e faceva freddo: Harry ricorda le nuvolette di condensa del suo fiato, le mani affondate nel cappotto scuro, i capelli allora lunghi a solleticargli le spalle. Ricorda anche il lampo passato negli occhi del giovane, che a posteriori l'ha spaventato, ma che era, in quel momento, solo il riflesso dell'uomo conosciuto all'ennesimo gala di beneficenza. Matt Hughes, venticinque anni, del reparto di marketing di non ha mai saputo quale organizzatore della serata. Ricorda le sue parole velenose e incredule, una promessa di una notte che Harry non ha mai pronunciato, e lo sputo che ha gettato ai suoi piedi prima di andarsene. Ricorda la sensazione di aver scampato una brutta conoscenza, la leggerezza nel tornarsene a casa, da solo, al freddo. Le risate di Liam e Niall al suo comportamento infantile, i loro 'non che mi ispirasse tanto, Harry'. Il peso sul cuore che gli sarebbe diventato familiare, il giorno dopo, quando gli era arrivato un messaggio.

Quella sera ero pronto a dirti di amarti, Harry.

Sì. Più o meno, iniziava tutto da lì.

Harry trae un respiro tremante e irregolare, mentre il suo pollice cerca il polso, pronto a premere sul battito cardiaco. Ricorda le parole del suo analista mentre socchiude gli occhi.

''Un attacco di panico, Harry, non è sempre collegato a un pericolo reale'' gli aveva detto, gli occhiali sapientemente inclinati sul naso mentre lo fissava ''Ma è una reazione di 'fuga' dal pericolo che il tuo corpo attiva quasi meccanicamente. Nel tuo caso, è importante ricordare che l'attacco ti colpisce per quello che ricordi, non per quello che ti succede. Inizia subito col pensare, se ti capita, che Matt non può farti assolutamente nulla.''

Ed Harry lo fa, mentre respira lentamente e con regolarità, le lacrime ancora a bagnargli le guance. Non deve fermarle, o trattenerle, saranno loro ad andarsene. Ignora la fitta di principio di mal di testa per la nottataccia e continua ad incamerare aria. Conta fino a venti, tra le labbra, e quando finalmente si calma sa che sta ancora piangendo mentre si preme i palmi sul viso.

Quella parte è sempre stata la più difficile.

***

Louis non pensava di avere ancora quindici anni.

Eppure, si ritrova, quella sera, dopo una lunghissima videochiamata con Zayn ('il ragazzo della copisteria? Non ci ho dato una vera e propria occhiata, ad essere sinceri') a fissare il suo telefono, mordicchiandosi un'unghia. Perché, tra una sigaretta e degli involtini primavera da asporto, Zayn gli ha fatto caldamente notare che sì, ci ha spudoratamente provato con Harry.

Sky Never Looked So Blue ||L.S.||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora