Capitolo nono- "Non sono morto"

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Mesi dopo

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Mesi dopo...

Il tempo era passato, ma il dolore no: non era più intenso, soffocante e struggente come quello che aveva provato il giorno fatidico della notizia della morte del fratello.

Era ormai diventato un inamovibile tarlo fossilizzato dentro di sé, nel suo io più occulto e inaccessibile, che, a volte, percepiva come pugno allo stomaco, altre come un voluminoso pozzo vuoto che nessuno avrebbe potuto aprire, penetrare e riempire.

La preoccupazione e l'ansia che aveva provate nei primi giorni della scomparsa del fratello si erano ormai da qualche tempo dileguate da sé.

Quell'anno aveva dovuto lottare con una nemica ancora più potente: la certezza inconfutabile del dolore.

I suoi genitori l'avevano spinta a consultare uno psicologo, ma all'inizio si era opposta in modo categorico, pensando all'esperienza del fratello.

Quest'ultimo, infatti, non aveva tratto nessun beneficio dalle sedute alle quali i suoi genitori lo avevano costretto a partecipare fin dall'età di undici anni.

Evelyn, tuttavia, sapeva dentro di sé che non sarebbe riuscita a convivere, contando solo sulle proprie forze, con l'avvilente flagello del dolore; dopotutto la sua coscienza non era altro che quella di una diciassettenne che non aveva mai pensato realmente di doversi preparare a una sfida di vita così indigesta e dura.

I suoi genitori avevano cercato di starle vicino, ma anche per loro continuava a essere difficoltoso vivere con la consapevolezza della perdita di un figlio.

Come avrebbero potuto risollevare Evelyn dal baratro in cui era sprofondata quando loro vi erano immersi quanto lei?

Anche le sue amiche si erano fatte avanti per invitarla a uscire dalla sua angusta camera, ma i loro tentativi erano stati vani: Evelyn non voleva vedere più nessun abitante di quella bigotta e ipocrita città.

Il dolore si era evoluto in odio verso chiunque.

Ai suoi occhi, tutti ormai avevano il volto dell'assassino di suo fratello.

Per di più, la compassione che gli sguardi dei suoi conoscenti facevano trapelare con sfrontatezza non appena si posavano su di lei alimentava ancora di più il sentimento di rancore che tanto le deturpava l'animo.

Colpevolizzava tutto quel meccanismo sociale fondato sull'ipocrisia e l'indiscrezione e, allo stesso modo, accusava se stessa perché anche lei ne era stata organo integrante.

Rispondeva male i genitori, ignorava le amiche, saltava giorni di scuola.

Solo lo studio era capace di rincuorarla, permettendole di sfuggire, anche se solo per del tempo limitato, agli opprimenti ronzii dei suoi pensieri.

Non poteva farcela da sola.

Una volta iniziate le vacanze estive, le sue amiche erano partite per le loro mete turistiche da favola, mentre Evelyn trascorreva il tempo cristallizzata nella sua camera, ostinata nel suo perpetuo isolamento.

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