- Mi senti? – disse la voce maschile.
Evelyn aprì lentamente le palpebre e scorse un'immagine offuscata che divenne sempre più nitida finché un bagliore azzurro rese inequivocabile e distinto il volto di colui che le stava sollevando le spalle per farla rinvenire.
Jason.
Il ragazzo la aiutò ad alzarsi sostenendola per la vita. – Tutto bene? – le chiese. I suoi occhi la osservavano fermi e gelidi, come le altre volte in cui si erano incontrati. Il suo tono, però, era diverso: esprimeva una certa premura contenuta.
Evelyn si massaggiò le tempie con la fronte aggrottata. Percepiva un lancinante dolore presso il sopracciglio destro e la testa continuava a dolerle: era come se due appuntiti chiodi premessero da sotto la pelle, in prossimità delle tempie.
Per un attimo tutto quello che stava vivendo prima di svenire le era parso come un'oscura reminiscenza di un fosco e remoto passato, persino la scomparsa del fratello.
Tuttavia, le fu sufficiente riconoscere lo sguardo gelido del ragazzo che le stava accanto per ricomprendere la realtà che stava effettivamente vivendo.
- Ho un pesante capogiro, ma per il resto è ok. Per quanto tempo sono rimasta senza sensi?
Jason si allontanò da lei una volta accertatosi che quella era in grado di tenersi in piedi. – Il tempo che sono accorso in tuo aiuto e ti sei svegliata – spiegò lui. Non c'era più traccia di quella premura appena percettibile: il suo tono di voce aveva perso di nuovo ogni colore.
A Evelyn non era mai accaduto niente di simile: non aveva mai sofferto di pressione bassa e allucinazioni. Si ricordava solo di aver visto due immagini alternarsi a una velocità sempre più accelerata; la sua mente era stata teatro di guerra tra sogno e realtà finché, non riuscendo nessuna delle due alternative a prevalere sull'altra, aveva vinto il nulla e una scura e torbida nebbia l'aveva sopraffatta.
- Grazie per avermi aiutato. Adesso è meglio che ritorni a casa... - disse la ragazza affrettandosi a indossare la borsa a tracolla che aveva tempestivamente raccolto da terra.
- Casa tua è lontana?
- Un po', ma non preoccuparti. Nel caso, chiamerò mia madre...
Jason la guardò impassibile, senza dire niente. Evelyn aspettò che anche solo una parola la facesse uscire da quell'acquario in cui il disagio aumentava e saliva sempre di più come acqua, arrivandole prima alle ginocchia e poi al petto, fino a sopraffarla e toglierle il respiro.
La ragazza difficilmente si agitava per uno sguardo che un ragazzo le rivolgeva, solo le occhiate di pochi giovani avevano avuto il potere di accelerarle il battito cardiaco.
Tra questi vi era quello fiero dell'aitante Noah.
Dalla prima volta in cui Ava glielo aveva presentato come amico del suo fidanzato di allora, Evelyn lo aveva desiderato così tanto da arrivare persino a pensarlo, ogni volta, prima di prendere definitivamente sonno.