Capitolo quattordicesimo - "Amare disillusioni"

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La campana che annunciava la fine dell'ultima ora suonò ed Evelyn si accorse che, mentre il tempo era avanzato con la stessa noncuranza con cui i professori avevano tenuto la lezione della giornata, lei aveva trascorso gran parte di quelle ore a p...

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La campana che annunciava la fine dell'ultima ora suonò ed Evelyn si accorse che, mentre il tempo era avanzato con la stessa noncuranza con cui i professori avevano tenuto la lezione della giornata, lei aveva trascorso gran parte di quelle ore a pensare al volto e allo sguardo diabolico del signor Williams.

Era stata anche quella un'allucinazione creata dalla sua malata mente? La sua ragione si stava sforzando di dare risposte concrete ai punti interrogativi che pullulavano nella sua testa, tacciandola di follia, ma i suoi occhi non avevano dubbi su ciò che avevano visto.

Almeno però, quando rimise piede nel corridoio, dopo la fine delle lezioni, non lo trovò vuoto. Mai la folla di studenti era stata così rassicurante come in quel momento: se la figura del signor Williams si fosse ripresentata nel suo campo visivo, non sarebbe stata sola. Ciononostante, si sentiva prigioniera di una paura contro la quale non avrebbe potuto chiedere aiuto.

Le sue amiche non facevano altro che evitarla e, anche se tutto si fosse sistemato, che cosa avrebbe detto loro? Come avrebbe potuto descrivere un fatto del genere ad altre persone pretendendo che vi credessero, quando persino lei stessa non riusciva ancora a realizzarlo?

Si sforzava di formulare una spiegazione razionale che cassasse l'ipotesi di pazzia e che potesse allo stesso tempo attribuire un significato plausibile allo spiazzante avvenimento. Per un attimo pensò alla possibilità che il pallore del preside fosse sintomo di un malessere fisico, ma l'immagine, incisa nella sua mente, dei suoi occhi innaturali, interamente neri, e della sottile malizia espressa dal suo volto le facevano apparire quella congettura sempre più improbabile.

Era frustrante lambiccarsi il cervello senza arrivare a una conclusione appagante, ma non ne riusciva a farne a meno. Anche se la conoscenza di Evelyn era troppo esigua perché riuscisse a imprimere una forma di certezza a fatti aberranti del genere, sapeva che la sua anima non avrebbe trovato requie per molti giorni se non avesse ottenuto delle risposte. Questo nuovo tarlo si sarebbe aggiunto alla lista di problemi e tormenti da tenere custoditi come segreti che difficilmente avrebbe confidato a qualcuno.

Si sentiva sola e fragile. Era stata per tanto tempo nel suo porto sicuro che, una volta arrivata la bufera, era stata spinta in mare aperto, perdendo la capacità di ritrovare la retta via di ritorno. Non faceva, infatti, altro che vagare invano, imbattendosi in ombre che era ormai in grado di individuare, ma mai di attraversare.

La ragazza avanzò impensierita lungo il corridoio, ma a un certo punto scorse Ava: era appena uscita dalla porta dell'aula in cui aveva fatto lezione e sul suo volto pulito era stampato uno dei suoi più radiosi sorrisi. Nel vederla in tutta quella luce, Evelyn pensò alla Ava gioiosa conosciuta in prima media, quella che l'aveva strappata al rischio della solitudine e accolta nel suo tripudio di affascinante e vivace allegria; il suo animo si sentì accarezzato da quel dolce e intimo ricordo dei tempi passati.

Presto, però, non appena riconobbe l'interlocutore con cui l'amica stava interagendo, Evelyn si irrigidì all'istante e tutto l'affetto per la ragazza, che era riemerso vedendola così sorridente, sparì, e lasciò il posto all'amaro sapore della disillusione. Vicino a Edward la figura di Ava aveva perso quella grandezza e autentica vitalità che aveva subito catturato l'attenzione di Evelyn alle medie.

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